venerdì, maggio 12, 2006

L'inconoscibile.


Il numero ventitre' di Porthos, da poco arrivato, viene annunciato anche sul loro immoto sito in questa presentazione. Nelle poche righe di anticipazione leggo pure un passaggio alquanto suggestivo; lo ripropongo pari pari.

"Leggendo vi accorgerete delle assonanze che tengono insieme i personaggi e le situazioni raccontate. Una per tutte è la percezione così selettiva della possibilità di ottenere e produrre un vino di qualità. E’ questione di fortuna, talvolta; l’impegno e la bontà delle intenzioni sono fondamentali ma risultano sterili se si è nel posto sbagliato; l’amore non basta, e anche se ciò può apparire cinico depone a conferma dell’eccezionalità del liquido odoroso. Bevanda nobile per antonomasia, il vino ha bisogno di una congiunzione favorevole cui anche la persona migliore del mondo potrebbe non avere accesso".

Il passaggio fa certamente riferimento al noto concetto di territorio, ma evoca pure altro. Come spesso accade leggendo Porthos, c'e' molto afflato in quello che scrivono; nello specifico, mi riconosco molto in questo atteggiamento, che in un certo qual modo definisce l'inconoscibilita' di parte del processo di "creazione" (passatemi il termine) del vino -- o, come lo definiscono loro, del "liquido odoroso". E' lo stesso processo che si innesca ogni volta che ci si accinge ad assaggiare, e si sa cosa si apre, ma comunque quello che si trovera' nel bicchiere e' inaspettato, in quanto imprevedibile, e sfugge ad ogni tentativo di predeterminazione.

4 commenti:

  1. Interessante commento, Giampaolo. Dato che io ho una certa propensione, diciamo, ludica, per quei vini che si definiscono "globalizzati", tendo pure io a non pormi troppo il problema. Va comunque segnalato che, in via del tutto generale, l'uso di determinate pratiche contribuisce a rendere il vino "omologato" e quindi, almeno in parte, prevedibile; facendo un esempio facile facile, potremmo citare la famigerata barrique e lo chardonnay, che assieme generano "normalmente" corredi aromatici tra il vaniglioso e la frutta tropicale. Altra cosa e' il passare del tempo, e l'imprevedibilita' dell'evoluzione in vetro, che, soprattutto nelle degustazioni comparate cieche, e' sempre fonte di sorprese.

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  2. Ops! Volevo dire.. GiaNpaolo, naturalmente! :)

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  3. Perche' non condividi l'assunto? La pratica di vinificazione non riesce a determinare, in misura assoluta, l'evoluzione del vino ingenerata dal passare del tempo; cioe' a dire, le caratteristiche (in partenza)un po' prevedibili e a volte banali da "vino internazionale" possono livellarsi, armonizzarsi, e pure perdersi col tempo; in effetti, mi pare che stiamo dicendo la stessa cosa, e come detto, non ho mai considerato un male in se' il fatto di essere "vino internazionale". Semmai in questo mio discorso sono un po' troppo vago, e sarebbe piu' utile se io facessi esempi concreti, riferiti alla mia esperienza. In ordine di tempo, ricordo di aver aperto un Merlot di Planeta, rosso notoriamente esecrato dai viniveri-oriented, che, con qualche anno di vetro, esibiva un corredo aromatico di gomma bruciata che ho trovato assolutamente godibile. E, aggiungo, inaspettatamente godibile.

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  4. Che nemesi, devo difendermi dall'accusa di essere tradizionalista :)
    No, naturalmente il mio assunto non voleva generalizzare, solo fare un esempio, dove il normalmente era virgolettato. Il corredo aromatico nel caso chard+barrique e' spesso omologante. Spesso, non sempre.

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