mercoledì, febbraio 25, 2009

Schede, appunti, note di degustazione. Sopravvivere ad esse.


Eric Asimov, durante l'ultimo Symposium for Professional Wine Writers, ha criticato la "tirannia degli appunti di degustazione": intimoriscono gli enofili alle prime armi, e non hanno comunque utilità descrittiva. Il mio post, per la verità, riporta quanto ha scritto Alder Yarrow, che era presente al symposium e ha trascritto le affermazioni di Asimov, a cui ora faccio riferimento. Tuttavia, se leggete il post di Vinography e i successivi commenti (lunga lettura) vedrete che l'assunto non è poi troppo sottoscrivibile. Nel vedere perché, vi annuncio che riassumo-il-riassunto di Asimov ad opera di Alder, e ve lo traduco pure. Tranquilli, è meno caotico di quello che sembra.

Eric Asimov, via Alder, afferma:
il maggiore ostacolo all'apprezzamento del vino nel pubblico consiste nell'ansietà dell'enofilo apprendista; questa ansietà deriva dall'idea comune, per la quale bisogna intendersi bene di vino, se vuoi goderlo appieno. E infatti afferma cose tipo: "vorrei capirci qualcosa di più, dovrei fare qualche corso... che libro mi consiglieresti?" - Insomma: molti pensano che bisogna mettersi a studiare, piuttosto che bersi serenamente un bicchiere di vino; gran parte mette il vino su un piedistallo, quasi fosse riservato a pochi. Questo, poi, non avviene certo per ogni ambito di consumo; tuttavia, accade col vino. Da qui derivano una serie di fatti disdicevoli, tipo identificare l'esperto di vino con l'insopportabile snobbone, che nemmeno ti considera se non conosci il tale produttore o la tale annata. Di chi la colpa? Forse (secondo Eric) questo è dovuto al fatto che il consumo di vino non sia (tra gli americani) un fatto di cultura quotidiana, quindi che sia necessario leggere un manuale di istruzioni, prima di avviarsi a questa costumanza. E proprio qui nasce il problema: le pubblicazioni in materia sono piene zeppe di tasting notes, di appunti di degustazione; sembra che i critici del settore sappiano fare solo quello, scrivere veloci schede di degustazione fatte di termini descrittivi lunari, e punteggi, cosicché il vino sembra essere solo questo, ormai. Quasi come se per descrivere un concerto, ci mettessimo a misurarne i decibel. E più la gente legge schede e punteggi, meno riesce a ritrovarsi in questi parametri, e l'ansietà cresce. Per far loro un favore, dovremmo smettere di scrivere schede, e trovare un altro sistema per trasmettere l'esperienza e l'emozione del nostro rapporto col vino.
Ecco, fin qui la critica. Tuttavia, come dicevo, la proposta "zero schede" non vede tutti favorevolissimi.
Credo di poter dire che le affermazioni di principio di Asimov siano, da queste parti, abbastanza recepite; come d'uso indulgerò nell'autocitarmi, ma io, come molti, sento da tempo il bisogno di rifondare gli elementi di descrizione critica del vino; si tratta, in sostanza, di trovare un modo nuovo; si tratta di contestualizzare il prodotto al produttore, e soprattutto di compiere una narrazione di persone e storie, piuttosto che compilare una pagella. Se poi guardo all'ambito comunicativo che frequento di più, quello dei blog, mi pare che questo sia da tempo l'atteggiamento prevalente - e molte sono le voci che chiedono di eliminare una volta per tutte il sistema stesso dei punteggi. Per farla breve, il rigido schematismo da tasting notes non appartiene a chi ha scelto da tempo di raccontare, nel modo più articolato possibile, il vasto enomondo.

Discorso a parte credo si debba fare per la terminologia. E' un dato di fatto che la narrazione di cui sopra passi per elementi di linguaggio che siano descrittivi. Sta a noi, di volta in volta, individuare una terminologia che riesca ad essere tecnica, e nello stesso tempo comunicativa. Si va dalla prosa maroniana al suo opposto (mi viene in mente Il mio vino, che fa un punto d'orgoglio l'uso di termini basilari: buono, non buono). Il punto è che, piaccia o no, a volte bisogna pur descriverlo, questo benedetto vino. Parto dal mio orticello, che mi viene facile: quando un cliente in enoteca mi chiede "com'è questo Lambrusco" significa che io devo lanciarmi in una delle mie funamboliche scene descrittive; e da quel che vedo, l'audience apprezza, ancora non m'è capitato il cliente che trovi ostico "spuma orgogliosa, naso fitto di frutti rossi" (o forse temono la mia stazza, boh).

Due parole infine sui malefici punteggi. Ribadisco quanto già detto, a proposito di una lettura recente. Andrea, dopo Benvenuto Brunello, ha fatto quello che io considero quasi un favore personale: ha elencato su Facebook(*) la lista totale dei Brunello assaggiati, con due-tre parole per ognuno, ed il relativo punteggio centesimale; questo mi ha consentito, praticamente in due minuti, un punto di vista esauriente (e affidabile, per quel che so). Chiaramente, quella lista aveva un valore riassuntivo, da addetti ai lavori; perché appunto la narrazione di tutto il resto, del contesto, delle persone, è cosa ben più lunga.

(*) Se ancora non ti sei dotato di feissbucc, fai lo sforzo.

martedì, febbraio 24, 2009

Bisogni


Il mondo del vino in rete ha bisogno di nuovi portali (delle strade e dei gusti, eccetera). Quello in questione pare ancora traballante - nessuna risposta infilando pigato oppure chianti nella ricerca. In attesa che il megaportalone s'attivi, auguri.

venerdì, febbraio 20, 2009

Sarà un lungo lungo secolo

Questo secolo è appena iniziato, ma io credo d'avere visto già due o tre annate del secolo. O forse è solo un problema di terminologie desuete.

martedì, febbraio 17, 2009

Il modernismo italico (oppure territoriale)

Se c'è una una rissa in cui eviterei sempre di ficcarmi, è quella tra modernisti e tradizionalisti. Potrei dire che sono tendenzialmente pacifico, oppure che sono pigro, oppure che non ho le idee chiare in proposito, siccome in realtà sono lib-lab e ondeggio; oggi sono l'uno, domani sarò l'altro. Quando la voglio spiegare facile ai miei clienti inquisitori, dico che non mi precludo nulla, per prendere il meglio di due mondi. Un po' pilatesco, ma efficace. Il fatto è che pure il termine modernista è vago, e non identifica con precisione un vino; negli ultimi tempi ho assaggiato qualche roba potentemente internazionale (California) ed indubitabilmente modernista; la faccio breve: quel genere di interpretazione enoica m'ha annoiato e non ha acceso in me il sacro fuoco del buyer, quindi niente ordine d'acquisto. Ieri, invece, sono ritornato, per la seconda volta in poco tempo, sul Bric du Luv 2003 di Ca' Viola. Altro modernista. Eppure.

Io credo che esista, per fortuna, una via italica al modernismo. Il vino in questione è composto da Barbera, al 95%, e Nebbiolo per il restante; il vitigno maggioritario segna il prodotto finale, con la sua carica vibrante, resa meno dura dal tempo (parlo di un 2003, dicevo), dove la componente della maturità ha esaltato la stratificazione olfattiva; la modernità non prende il sopravvento sul vitigno, e l'esecuzione non stravolge il territorio (ecco, l'ho detta, la parola magica). Probabilmente questa capacità di esibire carattere, ed identità, rende certo modernismo italico più comprensibile, e per me più gradito. Per inciso, questa bottiglia guadagna facile 87/100, ed in enoteca costa ventisette euri.

[Linx: Beppe Caviola pare non avere un sito proprio, a parte questo. Alcune degu interessanti: qui quella performata da Roberto Giuliani, e qui quella ad opera di Andrea Scanzi].

lunedì, febbraio 16, 2009

Tantovale che me ne sto a casa

Il liveblogging della settimana delle anteprime toscane sta qui. Sì. d'accordo, non è proprio come assaggiare, ma è quasi come.

martedì, febbraio 10, 2009

Quattro pezzi facili

A mano a mano che si avvicinava il mio quarantacinquesimo compleanno, mettevo via la bottiglia che mi pareva adatta a celebrarmi. Però, dopo qualche tempo, le bottiglie esorbitavano il numero del possibile; così si sono accumulate, e sono state libate in un arco di tempo un po' dilatato; come per certi re od imperatori, il mio compleanno è durato una quindicina di giorni. Per alcune di queste etichette, ho serbato gli appunti.

1. Invecchiare male.
Ah, i bei tempi in cui ero un maroniano militante. Dove sono andati, quei tempi? Che ne è stato del giovine assaggiatore che sbicchierava marmellate? Che ci faccio, ora, con questa bottiglia di Brunello Biondi Santi 1998? La apro e medito sul tempo che passa. Ci sono griffe e griffe: Biondi è il genere di griffe dalla fama meritata; la nobiltà di questo naso vola alto sulle omologazioni vanigliose; il colore, semplicemente, non degna di nessuna considerazione la massa dei vinoni color melanzana. La somma finezza è somma grandezza. Sciapò, inchino, sospiri, e lacrima di commozione. 90/100, per 89 Euros.

2. Di male in peggio.
Non guardarmi storto, o Barolo Riserva 2001 Broglio, di Schiavenza: tu non sei un rincalzo, non sei un ripiego di Biondi; non ti tenevo come ruota di scorta. Tu sei una storia a parte, sei altra cosa, altre vigne e altri vitigni. Certo che questo naso, non lo dimenticherò facilmente. Ma quanto ci starei, sul tuo bicchiere? Quante volte t'ho fatto girare e rigirare, e ogni volta a trovare qualcosa di nuovo? E ogni volta, alla fine, lo stesso pensiero: "ecco perché faccio questo mestiere". Ancora un grande, sontuoso, senza muscoli dopati. 90/100, per 46 euri.

3. Sweet home Alabama Alsazia.
Qualcuno può spiegarmi, per favore, che diamine hanno gli alsaziani? Ma perché devono lasciare nel loro Traminer certi residui zuccherini da stordimento papillare? il Gewurtztraminer Wintzheim 2006 di Zind Humbrecht è una roba da pasticceria secca. Già il colore ti butta giù dalla sedia, quando lo versi: ma che è? Pare ambra liquida. E poi la dolcezza: sì, va bene, non è una cosa tipo passito, ma è ugualmente mieloso; ci vuole quel suo nerbo deciso, salino/minerale, in bocca, a tenerlo in piedi, a giogioneggiare amabilmente su un risotto thai con gamberetti e curry. Dopo lo spiazzamento iniziale, that's ammore. Oh, esageriamo: è pure bio. 88/100, al modico prezzo di Euro 21.

4. Hahaha! Nero d'Avola! No, dai, davvero, cosa bevi...?
Evabbe', alle solite, se uno beve Nero d'Avola pare un mentecatto. Ma il Rosso Eubea 2005 di Adele D'Angelo, appena arrivato, a me piace troppo. Ci risiamo coi rossi a-muscolari, che non vogliono dimostrare nulla, eccetto ciò che sono: naso di frutta rossa finissimo (more), bocca soffice, bottiglia perfetta. 82/100, e costa la bella cifra di euri 8,90.

[Postfazione: per la prima volta nella storia di questo blog, finalmente pure io esibisco una determinante foto presa da iPhone. Ovviamente non mio, io resto ancorato a Nokia]

venerdì, febbraio 06, 2009

Karma police

Qualche giorno fa a bottega ho avuto l'ennesima epifania di due tipi dell'Agenzia delle entrate. La vicenda merita una descrizione approfondita, anche per spiegare, a tutti quelli che sognano un'attività in proprio, cosa sia veramente questo garrulo mondo.

Quando succede che due di questi entrano in negozio, il tempo e lo spazio subiscono una distorsione dimensionale, e tu sei contemporaneamente personaggio di Orwell, Kafka, e Walt Disney. I due non profferiscono altra parola che "siamo dell'Agenzia delle entrate" con tono misto, tra il solenne e l'addolorato, ed in quel momento io penso solo: vorranno comprare del vino. Eh sì, perché io nemmeno per un attimo mi immagino oggetto di ispezioni poliziesche: a chi, a me? Io che sono la bontà personificata? Così me ne esco con un surreale "cosa posso fare per voi?" - mentre quelli hanno già messo mano al tesserino identificativo, tanto per significarmi che non è uno scherzo; un uomo ed una donna: questa, più silenziosa, sembra pure la più dura; l'altro è loquace; comunque, scene già viste svariate volte, l'ultimo controllo risale all'estate scorsa; così, non mi sorprendo poi molto quando ordinano "ci faccia vedere un documento d'identità; ed il registro dei corrispettivi, il registro d'emergenza, il libretto di dotazione del registratore di cassa". Consegno la patente, vado in ufficio, prendo i plichi; comincia la verifica.

Il registro dei corrispettivi è un quaderno su cui va scritto, giornalmente, l'incasso; questo si ricopia da un foglietto da allegare che, alla fine di ogni giorno, il commerciante stampa dal registratore di cassa (difatti si chiama "riepilogo"); il dato risiede, quindi, nella memoria fiscale della macchina, ma va comunque ricopiato su un supporto cartaceo. Evitate di fare obiezioni sul senso della cosa, da adesso dovete cercare di sospendere le facoltà logiche, e comunque dovete farlo sempre, in simili contesti. Il registro d'emergenza serve in caso d'emergenza (l'avevate indovinato, sì?) cioè quando, per un qualsiasi guasto, non posso usare il registratore di cassa, e quindi, temporaneamente, devo segnare le cifre di ogni mancato scontrino. La loro somma va inserita nel registro corrispettivi, poi. Il libretto di dotazione del registratore di cassa, infine, oltre a provare che ne possiedi uno (è quello lì, lo vedi?) serve a riportare gli obbligatori interventi periodici di punzonatura del rivenditore, la manutenzione, e tutta la risma di tasse occulte connesse con tali obblighi.

La verifica procede bene: il più umano dei due scartabella i papiri ed ogni tanto dice "bene, molto bene". Io lo so che faccio tutto per bene, e so pure che, se in uno di quei fogli ho sbagliato una virgola, estrarrà la Luger e mi finirà con un colpo alla tempia. Entra un cliente, vede i due che stilano un verbalone su carta intestata all'Agenzia, sbarra gli occhi e riguadagna l'uscita, balbettando "torno dopo". Scorrendo il registro corrispettivi, il loquace chiede: è aggiornato fino alla fine di gennaio? No, dico io voltando la pagina: vede? E' aggiornato al 3 febbraio.
Ma qualcosa non gli torna: ma scusi, mi dice, al rigo uno (il registro ha le righe numerate) lei ha scritto tre febbraio: doveva scrivere uno febbraio al rigo uno, due febbraio al rigo due... "l'uno febbraio era domenica, ed il 2 lunedì, sono giorni di chiusura in cui non emetto scontrini, quindi non stampo chiusure; non ho nulla da riportare". Ma la cosa non gli piace, si consulta con l'altra, sento che ci siamo. Adesso spara. Considerando che faccio così dal 1991, e che la sanzione si moltiplica per il numero di infrazioni, sono morto. La mia vita mi scorre davanti veloce. Il buono però conclude "mah, è una convenzione, non è obbligatorio... non è sanzionabile" e qui accade un fatto strano: appoggia la sua mano sulla mia, come per confortarmi, poi ripete con un sorriso "non è sanzionabile". Probabilmente il buono sa quanto terrore incutono, si sente in qualche modo responsabile.

La cosa si avvia alla conclusione: viene redatto un lungo verbale in cui si constata che tutto è nella norma, complimenti, sorrisi, e si trova il tempo di parlare di vino (ma pensa un po'). Il buono è reduce da un assaggio tragico, dice lui, un bianco frizzante di una certa cantina cooperativa delle Cinque Terre che evoca De André (di cui non farò il nome, ma solo il cognome: Creuza de mä). Dice che era una schifezza, ma come mai, lui credeva che nelle Cinque Terre il vino fosse buonissimo. Io avvio una breve spiega sulle dinamiche connesse alla banalizzazione del prodotto-vino finalizzato alle più bieche logiche commerciali. Mentre ripongo i registri in ufficio scherzo pure "e magari è stato un regalo..." e lui conferma, era un omaggio natalizio. Io dilago "ecco, e al mittente poi l'avete fatta, una bella verifica approfondita?" Il buono sembra non capire, ma alla fine se ne esce con "eh, no, quelle cose non possiamo farle..."

Quando se ne vanno rientro nella mia dimensione. Sono passati venti minuti, ma potevano essere pure un'ora, o due. Questa polizia tributaria è come il Karma Police della canzone, ristabilisce gli equilibri: ho più chiare le priorità, sono ancora vivo e non ho i ceppi ai polsi; stasera farò ritorno da mio figlio, e domani si ricomincia. In attesa della prossima irruzione.

mercoledì, febbraio 04, 2009

Dal dire al fare

Ve l'avevo detto che non ho più voglia di far l'enotecaro: comincia la mia collaborazione col nuoverrimo Tigulliovino.it. Ecco qua.

Cosa non farei per svuotare la cantina


Arneis è il nome di un bianco del Roero, ed è pure una voce dialettale per "arnese", cioè tipo intrattabile, caratteraccio. Come il vitigno, pare. Così, l'Enoteca regionale del Roero ha pensato bene di individuare, per il 2008 (duemilaotto?), il caratteraccio di Antonio Cassano come testimonial. Poco importa se il talentuoso giocatore sia astemio: i produttori "hanno già pronte 365 bottiglie da donargli, tante quanti sono i giorni dell'anno, e sperano proprio che il fuoriclasse accetti di andare a ritirarle sulle loro colline, tra Alba e Canale". Dimmi tu cosa non farei, pur di svuotare le cantine; maledetta crisi.