giovedì, settembre 04, 2014

Pinot nero e Borgogna: cosa avrà mai quella, che io non ho

Normalmente vendo cose italiane. Non è sciovinismo né altro che abbia a che fare col nazionalismo o peggio. Semmai è piacere da chilometro zero (o quasi) per cui se ho un vino soddisfacente a poca distanza da qui, è facile che lo preferisca ad un omologo, chessò, neozelandese. Su alcune cose però posso fare eccezione, e una di queste è il pinot nero.

Si sono versati fiumi d'inchiostro per spiegare come mai la Borgogna sia il cuore del pinot nero, quindi nello spazio di un post non proverò più di tanto a dire perché da quelle parti quel vitigno dia risultati pazzeschi rispetto ad altre aree del mondo. Se si pensa, però, che in quella regione francese si lavora al culto della qualità da cinque secoli, bisogna dire che i borgognoni hanno una specie di vantaggio strategico probabilmente incolmabile. Pace.

E' così che spesso, quando devo decidere cosa mettere a magazzino quanto a pinot nero, guardo con più favore alla Borgogna, rispetto ad aree tipo il Trentino Alto Adige - per dire una zona interessante, in Italia, nella produzione di pinot nero. A questo si aggiunge volentieri il rapporto prezzo/prestazioni che a volte in Borgogna è favorevole in misura rilevante.

L'assaggio dell'etichetta che vedete nell'immagine è stata solo l'ultimissima conferma in ordine di tempo. Nel bicchiere apre ad un ventaglio di profumi che passano dai piccoli frutti rossi ad un sottofondo più selvatico e accigliato, come una nota di pellame/cuoio, ma nobile, e comunque non invadente. Tutto nel corredo aromatico pare accennato, evocato e mai urlato, in una compostezza che declina perfettamente piacevolezza e stile. Anche in bocca il vino ha la piacevolezza di una bontà immediata, facile da comprendere, e nello stesso tempo ha la classe un po' elettrica dell'incedere di una modella: si muove sicuro, non sbaglia una mossa, ha corpo ma con una gradazione non pesante (i 13 gradi alcolici ormai sono i nuovi 12 gradi). Stile, classe, bellezza, leggiadria, e infine la noblesse che gli deriva dall'area produttiva. Che, evidentemente, forma il gusto. Almeno per me.

Questo vino viene venduto, in enoteca, a 26 euro. Ad un prezzo cioè concorrenziale rispetto a molti pinot nero italiani di fascia medio alta. La mia ricerca di italiani alternativi non si interrompe, ma il Santenay Beauregard 2010 di Roger Belland resta in alto, nella mia personale classifica.

lunedì, settembre 01, 2014

Cose scritte altrove, vino di Coronata, e blogghitudine (tre post in uno)

A fine agosto ho fatto un giretto per vigne a chilometro zero, a proposito del vino di Coronata qui a Genova, come narro su Intravino:

"Le vigne di città sono un fatto abbastanza raro, soprattutto se si pensa alle grandi città del nord. Genova però ha una strana conformazione, è una striscia di case lungo il litorale, con due punte che si infilano nell’entroterra seguendo i principali corsi d’acqua, il Bisagno e, appunto, il Polcevera. Questa conformazione fa sì che anche oggi la città cerchi di strappare via spazio alla macchia dei primi rilievi appenninici, per cui non è difficile, salendo a monte, infilarsi in pochi secondi in panorami boscosi, verdi, quasi selvaggi, avendo lasciato le case dietro una curva. Partendo da Cornigliano (il quartiere dell’ex Italsider) si può salire verso la collina di Coronata. Questo nome qui a Genova da sempre significa una cosa: vino. Bianco, per la precisione. E di fatto, le vigne sono in città". (Il resto del post sta qui).

La storiella di cui sopra mi dà modo di parlare anche d'altro, adesso. Per esempio, serve a riprecisare quel che penso della condivisione in rete. Il post in questione parla di un mio fornitore, in definitiva, visto che quel vino adesso è in vendita anche nella mia enoteca. Tuttavia si tratta di un tipo di posizionamento sui generis, siccome sia nel post che a bottega io consiglio ai miei clienti di passare dal produttore per comprare il vino. E per convincerli meglio, in questi giorni il vino lo tengo aperto in degustazione gratuita. Come minimo, a comprare direttamente risparmieranno (io infatti vendo quel vino a euri 9,50, ma dal produttore costa 7,32). Ma soprattutto, potranno vedere un vigneto, parlare con chi produce, insomma otterranno info di prima mano e in definitiva miglioreranno la loro conoscenza. Tutto questo non è paradossale, e non è nemmeno folle o autolesionista. E', invece, un espediente puramente virale, cioè un modo di far circolare qualcosa che attiene in termini generali al mio lavoro: in definitiva serve a lavorare meglio. Potrei narrare numerose storie di clientes che restano un po' spiazzati da questo atteggiamento, ma alla fine si fidelizzano in modi che vanno oltre alle formule fuffose di un certo marketing. Ma non voglio nemmeno dilungarmi (comunque spero serva ai colleghi timorosi: l'economia del dono funziona).

Infine mi consente pure di togliermi un sassolino dalla scarpa nei confronti di quei quattro malpancisti (segnatamente sarebbero giornalisti o addetti alla comunicazione paracadutati nel mondo del uebbe senza nemmeno sapere perché) che continuano a miagolare nel buio di conflitti di interessi. Nel post ho fornito il link ad un paio di altre enoteche di città che sarebbero più convenienti della mia, già che c'ero. Quindi, adesso, alla fine di tutto questo indegno pippone, ho titolo ed elementi per dire ai malpancisti dove lietamente devono andare una volta per tutte:

(no vabbe', non lo dico. Ci siamo capiti).