martedì, dicembre 30, 2008

Il ragazzo delle consegne


Passato il caotico lavoro natalizio, in questi giorni l'enotecaro recupera ritmi e dimensioni umane. Ci sono lavorini residui da ultimare, dettagli, scartoffie, e qualche rissa col corriere; cose normali, comunque. Bisogna verificare alcune consegne, non performate dal team di ragazzi che collaborano a recapitare pacchi e pacchetti. "Come mai questa non l'hai consegnata?" - "Non si trova la strada, non è sullo stradario, nessuno la conosce". Poi guardi su gùgol màpz, e manco a dirlo, c'è. Così, ora che l'enotecaro ha tempo, cavalca il destriero d'acciao (il vecchio scooter, insomma) e s'addentra per boschi e per valli - e non è un modo di dire, questo. Genova è una città costiera, lunga e stretta, basta fare un chilometro nell'entroterra per essere sull'aspro Appennino. Oggi ero in uno di questi perigliosi ed avventurosi tour, su una stradina appena asfaltata, che appunto qualsiasi corriere o consegnatario si guarda bene dal percorrere. Tra una salita ed un fosso si è realizzato così un sublime cortocircuito disintermediante: consegnavo un paio di bottiglie dello Champagne ultimamente importato - di cui ho in agenda di recensirvi meraviglie - e quindi mi trovavo ad essere, contemporaneamente, svariate figure coincidenti: l'importatore, certo; il venditore, con la mia irresistibile loquela; il commesso addetto al packaging; ed il ragazzo delle consegne.
Arrivato a destinazione, niente mancia; ma io lo so, e voi lo sapete, questo è un mondo imperfetto.

[Nell'immagine: il destriero d'acciaio, e l'Appennino di cui sopra]

giovedì, dicembre 25, 2008

A Natale siamo tutti più cattivi (noi enotecari)

I gurmet più snob dovrebbero sapere che, secondo una norma di bon ton, non sta bene augurare "buon appetito" ai commensali; ignoro il fondamento (preciso: non ho voglia di googlare) ma, da buon snobbone, io ho adottato da tempo l'assunto. Così, ad ogni pranzo o cena, sollevo il ciglio ogni volta che l'augurio viene profferito. Stoicamente, sopporto.
Io sogno, pure, che con altrettanto spirito snob sia bandito dal consesso delle umane genti l'augurio di Buon Natale. Principalmente l'augurio fasullo, quello spedito per email a mo' di spam da miliardi di umanodi per lo più sconosciuti. E ad alcuni di questi, segnatamente produttori di vino, che si sentono in dovere di intasare il mio inbox lavorativo con scansioni da due giga del loro biglietto natalizio, voglio dire chiaramente: io vi sto schedando. Io, purtroppo, al momento non conto una cippa quanto ad enocomunicazione online; ma un giorno diverrò caporedattore da qualche parte, in qualche genere di rivista o pubblicazione; e quel giorno vi verrò a cercare, uno per uno, casa per casa, e scriverò recensioni agghiaccianti delle vostre produzioni. Ve lo giuro, lo farò.

martedì, dicembre 23, 2008

Client of the day

Normale concitazione da ultimi giorni di Pompei di Natale. Normale cliente che apre la porta col relax di un centometrista che si tuffa sul filo di lana. Lui mi guarda, io lo guardo.
E mi dice: "lei è Alessandro?"
"No" - dico - "io sono Fiorenzo. Fio-ren-zo".
"Ma questa non è l'enoteca *******?? [nome dell'enoteca concorrente a cinquecento metri da qui, ndr]
"Eh, no" - rispondo - "non lo è".
Fuga concitata del tizio. Sipario.

martedì, dicembre 16, 2008

Sogno e son desto


Cari colleghi, se avete ricevuto un email da questa tipa, stanotte, annullate l'ordine:
"L'ultima scoperta dei medici in materia di sonnambulismo riguarda internet: una donna è riuscita, mentre dormiva, ad inviare alcune email ad amici chiedendo vino e caviale".

Mandare segnali

La questione è semplice. Se passa la leggina dello 0,2% di tasso alcolemico per prevedere la sospensione della patente, non si potrà bere nulla prima di salire in auto. Alla fine il nostro legislatore ha scoperto che le tabelle affisse nei locali pubblici sono inefficaci (ma pensa un po') ed è passato alla misura draconiana: niente, e basta.
Il primo elemento di discussione è: ma così crollano i consumi; si comprimeranno enormemente i consumi in un periodo già tragico per ristoranti e bar. Ma sai che c'è? La crisi è così nera che qualcuno potrebbe non accorgersene. Chi ci governa è comunque disgiunto dalla realtà, non vive una vita connessa col mondo reale: se per ridurre gli incidenti si deve intervenire con modalità devastanti su uno dei pochi settori produttivi della nostra economia, quelli lo faranno senza complimenti, e del resto la giustificazione principale è appunto questa: per salvare una vita dobbiamo essere disposti a passare sopra qualsiasi argomento.
Ora, sia chiaro, data questa premessa ogni ulteriore discussione è inutile. Non saranno certo le lamentazioni degli ultimi spacciatori dell'unica droga legalizzata (non so ancora per quanto) ad intralciare i nostri solerti salvatori. Ogni altra considerazione su ciò che sarebbe auspicabile, dalla qualità dei controlli all'educazione dei consumatori, sembrerà solo un lamentio irritante.
E dunque, venga la misura draconiana. Cosa succederà? Il mio primo pensiero (non ci crederai) è andato al Vinitaly.
La rassegna veronese mi impegna svariati giorni, nei quali assaggio centinaia di vini. Chi mi conosce sa che uso sputare sempre ad ogni assaggio tecnico, praticamente come fosse una religione; del resto l'alternativa è impossibile; questo mi consente, alla fine di ogni giornata di assaggi, di salire in auto senza patemi.
Ora, però, senza essere un medico od un esperto di alimentazione, temo che il limite dello 0,2% non mi conceda alcuna speranza; spero di essere smentito, ma la verifica di un numero rilevante di bicchieri di vino, pure sputando, potrebbe certamente portarmi fuori limite; magari uno 03-04%, peraltro legale al momento, ma che con la nuova legge prevederebbe una serie di misure, per me, disastrose. Vediamo nel dettaglio: la sospensione della patente mi costringerebbe ad una specie di trattamento obbligatorio, tipo il tossicodipendente che deve recarsi, periodicamente, presso le strutture sanitarie per controlli e per rieducazione, magari. Ma questo non sarebbe l'aspetto peggiore; purtroppo prevarrebbero elementi personali (non so poi quanto, però) su cui vi intrattengo brevemente; io sono costretto ad usare un mezzo privato, data l'insufficienza di mezzi pubblici che coprono le mie trasferte mattutine: casa-scuola del figlio-lavoro. Se dovessi mai perdere la patente si aprirebbe un quadro tragico del genere: taxi (ogni giorno!) per scuola e lavoro, e riduzione quasi totale della possibilità di visitare clienti e fare consegne (certo, ho pur sempre la bicicletta). Questa configurazione ha solo un puro valore teorico, siccome non so immaginare la mia giornata secondo uno schema così impraticabile, nei costi, nei tempi, e nella mancata produttività: sarebbe semplicemente una tragedia.
E allora: quale soluzione? Non si tratta solo di non bere, mai, ogni volta che ci si mette alla guida; si tratterebbe, anche, di smettere di frequentare rassegne di ogni tipo - od, in alternativa, frequentarle con mezzi pubblici, con costi esorbitanti e/o tempi biblici di trasferimento; e ancora: fine delle visite in cantina, alla scoperta di produttori, o a visitare quelli già noti; niente più assaggi di lavoro, che sono (è il caso di spiegarlo?) semplicemente l'essenza del mio mestiere. Certo, ci si potrebbe attrezzare con l'aiuto di amici astemi e autisti che ti seguirebbero (gratis) per riportarti a casa, dopo; lo stesso dovrebbe fare chiunque, che visitasse qualsiasi tipo di rassegna (il Vinitaly di cui sopra). In definitiva: le soluzioni non sono proprio impossibili; sono solo un po' difficili da praticare.

Oppure c'è una soluzione definitiva e finale. Mettersi a vendere tondino di ferro, anziché vino. Hai presente quando il mondo ti manda segnali? Ecco, forse questo è un segnale.

lunedì, dicembre 15, 2008

Thunderbird spietato (e privo di spirito natalizio)


Ogni tanto nel cestino in cui, automaticamente, Thunderbird spedisce lo spam trovo qualche sorpresa. Questo povero produttore, per dire, ti spamma un innocuo augurio natalizio, e il client di posta, spietato: "Thunderbird sospetta che questo messaggio possa essere un tentativo di frode". Esagerato.

mercoledì, dicembre 10, 2008

Una certa idea di crisi

Un segno esteriore del mio stato di crisi (ne abbiamo quasi tutti qualcuno) è il cambiamento nelle dinamiche di vendita e pagamento che quest'anno concedo ai clienti; in sostanza, spiego alle aziende acquirenti di omaggi natalizi, che le dilazioni di pagamento (che si prendevano) non sono applicabili; come spiego in questi casi, io so fare bene svariate cose, so comprare e so vendere vino, ma sono un pessimo banchiere, non è il mio lavoro. Il discorso l'ho rivolto, finora, ad un paio di allegre pecore nere, che comprano a Natale e pagano a Pasqua; una di queste ha detto "non c'è problema" - ergo, preparato l'ordine e la fattura, oggi arriva un loro dipendente a ritirare la merce; e indovina un pò? Non aveva alcun assegno con sé. Ora, domanda: che faccio, lo uccido? Ovviamente gli consegno tutto, e faccio finta che vada bene.

sabato, dicembre 06, 2008

Per una rifondazione dei criteri di analisi valutativa del vino

[Ovviamente potevo darmi un titolo meno roboante. Ma vuoi mettere?]

Chi scrive di vino sulle guide, sulla carta stampata in generale e pure in rete, adopera svariati criteri di valutazione critica. Ci sono i famosi metodi di analisi valutativa dell'Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino, o quelli dell'Associazione Italiana Sommeliers, o quelli di Luca Maroni - differiscono tra loro, ma in definitiva servono a fornire una misura, magari per stilare classifiche sui migliori. Perfino chi, come Porthos, rifugge non solo dal punteggio, ma probabilmente dal concetto stesso di classifica, esprime pareri comunque approfonditi, e magari dirimenti, sul vino. Ora, questi metodi hanno grande risalenza ed efficacia, ed io stesso li uso sia nei corsi che tengo, sia nell'ambito del mio lavoro ogni volta che valuto un vino: solito esame cromatico, olfattivo, gustativo, a cui segue voto, centesimale secondo la mia preferenza. Il metodo è affermato, direi quasi stabilizzato, eppure non smette di generare dibattito sui possibili miglioramenti da apportare al sistema di valutazioni: il concetto di superamento dell'attribuzione del punteggio è figlio di questo dibattito, ed è, credo, segno dell'insoddisfazione che deriva, nonostante tutto, dal complesso sistema di tecniche valutative di cui parlavo.

Ora, il mio intento, qui, non è, nonostante le premesse, quello di proporre un sistema nuovo; questo, onestamente, va al di là delle mie capacità peraltro sovrumane; l'idea sarebbe quella di suggerire una forma di superamento del concetto di valutazione, senza abbandonare del tutto la valutazione per come la conosciamo. L'idea consisterebbe, specificamente, nel focalizzare per un po' l'attenzione sul produttore, e non sul prodotto.

Nel corso degli ultimi anni, nel mio lavoro, mi rendo conto di aver rinunciato all'idea di trovare, ad ogni vendemmia, il vino perfetto per una data tipologia; questo resta sempre un prodotto figlio della stagione, degli eventi climatici, e talvolta pure di caso e sfortuna (o fortuna). Il prodotto della natura è una variabile; c'è, forse, una costante a cui fare riferimento, in alternativa? Ecco, io credo che la costante sia la persona che produce. Il contadino, diciamo, il vigneron come dicono i francesi, insomma colui (o colei) che segue il processo produttivo imprimendogli le sue condizioni, i suoi gusti, convinzioni e visioni. Nel dire questo, ho la netta impressione di seguire piste già tracciate da altri, prima; ma spero ugualmente di fornire una serie di elementi utili ad approfondire il concetto. La Guida ai vini d'Italia edita da Gambero e SlowFood, per esempio, da tempo, oltre a premiare i vini, si incarica di fornire una classifica degli stessi produttori: quelli più "performanti" ottengono la stella - avendo esaurito l'iconografia di bicchieri ed altre stoviglie, sono dovuti ricorrere all'ipeuranio. Ma questa forma di classifica dei produttori fa riferimento, a sua volta, alle performances di classifica dei loro vini, da cui appunto volevo (solo per un po', come detto) affrancarmi.

Quindi, adesso, quello che posso fare è introdurre il mio personalissimo criterio di analisi valutativa di un vino, che non si fonda, pensa tu, sulla valutazione del vino, ma su chi lo fa; si tratta, chiaramente, di applicare veri e propri elementi di pre-giudizio, per cui questo si avvia ad essere un discorso alquanto ideologico. Un po' come la guerra preventiva, ma meno cruento e soprattutto, mi auguro, meno infondato. Il fatto è che un elemento qualitativo di qualche sicurezza dipende pure da chi fa il vino, prescindendo dal prodotto stesso. Così, io ho una mia personale scala di valutazione del vigneron, che è funzionale al vino stesso. I punti principali sono tre.

1. Il produttore qualitativo è (spesso) piccolo.
La piccola produzione si identifica, normalmente, in una superficie vitata non immensa; è un fatto che molte cose encomiabili assaggiate ultimamente provengano da produttori nel range dei dieci-venti ettari; le eccezioni superiori ci sono, ma comunque oltre i cento ettari difficilmente si parla di viticoltori; per lo più si tratta di grosse realtà industriali, o semi-industriali, che fanno capo a SpA. E questo ci conduce al punto due.

2. Il produttore qualitativo fa il produttore.
Io trovo significativo che il produttore lavori fisicamente in vigna ed in cantina; di fatto mi pare bizzarro valutare un vino che non è prodotto dalla persona che mette il nome e cognome in etichetta - per non dire poi di certi vini assolutamente senza volto, figli di scorribande enofinanziarie - tipo il famoso architetto che fa il vino, o lo stilista, avete presente questi fenomeni. Capisco, questi delegano il lavoro ad operai sicuramente capacissimi, ma questa forma di catena produttiva andrebbe disintermediata, ed io preferisco interfacciarmi (scusate il termine) con chi ci mette la faccia e le mani.

3. Il produttore qualitativo ha qualche risalenza.
Un altro elemento di interesse è la risalenza produttiva; chi fa il mestiere del vigneron da generazioni ha, effettivamente, qualche appeal in più, su di me. E comunque la risalenza non deve essere certo secolare, ma quando un produttore ha, dietro di sé, dieci-quindici anni di vendemmie ha comunque svariati titoli di merito in più rispetto a quello che "abbiamo cominciato la produzione l'anno scorso" (e magari a listino stanno al doppio della media di mercato: mah).

Concludo; troverei interessante rivedere il concetto di guida sui vini partendo da questa riformulazione: prima classificare il produttore, secondo questi (od altri) prerequisiti, e poi valutare il vino; sempre col vecchio punteggio centesimale, magari. L'approccio alla "bevanda odorosa" risulterebbe più antropocentrico, e forse meno freddo ed impersonale. In fondo si tratta di mettere la persona che fa, davanti alla cosa che si produce.

mercoledì, dicembre 03, 2008

E bravo il Jap antiproibizionista


Parrebbe che in Giappone, in questo periodo dell'anno, riccorra qualche genere di roba per cui ci vadano giù parecchio duro, con l'alcol. Posto che ciò è male, non si dovrebbe, l'alcolismo è un flagello eccetera-eccetera; leggendo qui la notiziola, trovo rilevante il manifesto diffuso nelle metropolitane, dal tono fatalmente antiproibizionista: se proprio vi va di esagerare, almeno fatelo a casa. Troppo avanti, gli orientali.

lunedì, dicembre 01, 2008

La maturità insolita

Ci sono vini fatti per maturare, e vini fatti per essere bevuti giovani. Però, se l'enomondo fosse riassumibile così presto, noi non ci divertiremmo poi molto; dalle variazioni, dai distinguo e dalle devianze nascono piaceri inaspettati, ed una tantum confessabili. Prendi, ad esempio, il Moscato d'Asti, nella sua versione appena vivace - e tralascia l'Asti Spumante, su cui infierirei un altro giorno; oggi mi sento buono. Il Moscato d'Asti, dicevo, esprime il massimo nell'annata, in estrema gioventù, con la sua prorompente carica aromatica, tanto ampia quanto riconoscibile. Uno dei piaceri enoici che ci concediamo volentieri, insomma.
Ma una sua release da bersi matura, a due-tre anni dalla vendemmia, può essere veramente emozionante. Il Moscato d'Autunno di Paolo Saracco deriva il suo nome dalla vendemmia ritardata rispetto agli standard astigiani; la lieve surmaturazione delle uve in pianta consente la produzione di un Moscato che non ha praticamente rivali; ma soprattutto, genera una versione di questo vino, in apparenza facile e basta, in grado di divenire altro; nel corso degli anni affina ed evolve, fino a rivelare, bevuto nella maturità, una stratificazione complessa assolutamente esaltante. Ieri ho riaperto la vendemmia 2006 del Moscato d'Autunno - resistendo alla tentazione di prelevare dallo scaffale il 2007 - e mai scelta fu più goduriosa. Oggi il 2006 è inarrivabile, ha note di agrumi glassati, di fiori; armonioso, lungo, esaltante perché concettuoso; ancora una volta il tempo gioca un ruolo prezioso, e costituisce misura della qualità. E qui la maturità, insolita per il vitigno, è veramente una bella sorpresa. Un assaggio notevolissimo, per me 88/100, ma pure di più.

Noticina finale: il Moscato d'Autunno non si fregia della Docg Asti, ma rientra nella più plebea Doc "Piemonte" - e non so bene il perchè; probabilmente il periodo vendemmiale ritardato lo tiene fuori dalla denominazione controllata e garantita; quel che è certo, è che ancora una volta la politica delle denominazioni si dimostra, perlomeno, incomprensibile; a questo Moscato, uno dei migliori del Piemonte (ergo, del mondo) è riservata la denominazione minore.

giovedì, novembre 27, 2008

Se lo sa Silvio


Naturalmente la notiziola per la quale (grazie al sempiterno resveratrolo) nel vino si celi l'elisir di lunga vita, non me la faccio sfuggire. Ma cerco di evitare l'ottimismo sfrenato. Quoting:
"A new insight into the reason for aging has been gained by scientists trying to understand how resveratrol, a minor ingredient of red wine, improves the health and lifespan of laboratory mice. They believe that the integrity of chromosomes is compromised as people age, and that resveratrol works by activating a protein known as sirtuin that restores the chromosomes to health".

lunedì, novembre 24, 2008

Umoristi a bordo


Ma io mi domando: fossi tu al posto del patron di Air Dolomiti, faresti servire, a bordo dei tuoi aerei, un vino che si chiama Rompicollo?

domenica, novembre 23, 2008

La carta (stampata) ed io

Pippone domenicale dove si dice che io sono stupendo ed il resto del mondo al massimo arranca. Qualora tu approvi, e desideri saltare il pippone, vai dritto ai commenti e scrivi pure "sei stupendo". Grazie.

Nei mesi scorsi, durante un riordino del magazzino più tellurico del solito, ho affidato al cassonetto differenziato della carta il poco che restava delle riviste specializzate che compravo. Non ho il feticcio del collezionista, e nei vecchi numeri del Gambero Rosso (ma pure di Wine Spectator, pensa tu che gusti avevo) non c'era nulla che meritasse d'essere accatastato su qualche scaffale. Ma l'aspetto curioso che ora mi va di annotare è che tanta lettura, tanti acquisti cartacei, sono compresi in una specie di arco temporale, che va dall'inizio degli anni '90 (quando ho cominciato a fare sul serio con questo mestiere) e si chiude, all'incirca, con la fine dello stesso decennio. Dal 2000 i miei acquisti cartacei si sono via via ridotti, sino a diventare prossimi allo zero. Probabilmente il mio comportamento si presta a più di una critica, e verificando questo fatto, cioè la sparizione degli acquisti cartacei, io stesso, tra uno svuotamento di cartoni e l'altro, ero alquanto sorpreso e perplesso riguardo tale accadimento; ad un certo punto, quasi inconsapevolmente quindi (spero) incolpevolmente, ho smesso di spendere denaro per settimanali, mensili, guide: qualcosa è successo, e non aveva a che fare con la finanziaria prudenza dei liguri.

La Rete aveva sostituito la stampa nella mia gerarchia delle fonti, perlomeno quelle riferibili al mio àmbito lavorativo; le conversazioni reperibili su Internet avevano preso il sopravvento sugli operatori professionali dell'informazione, in un modo quasi subdolo, visto che, a un certo punto, ho ritenuto superfluo passare dall'edicola per leggere Civiltà del Bere, per citarne una - ed ancor oggi mi chiedo che diamine ci trovassi mai, nel 1993, in quella roba. Di fatto la natura e la qualità dell'informazione orizzontale, o dal basso come si ama dire, aveva in sé così tanti e tali elementi di superiorità, freschezza, veridicità rispetto a gran parte della stampa di settore, che abbandonare certi acquisti si è rivelato naturale, indolore, e perfino testate che hanno fatto la storia della cultura enogastronomica in Italia (il solito Gambero Rosso, intendo) hanno perso, ai miei occhi, ogni genere di appeal.

Oggi per chi scrive quella gente? Da come la vedo, la funzione comunicativa di questa stampa di settore non è più rivolta, in misura ristretta, all'utenza critica; parla, semmai, in misura massiva e (scusate) un po' fuffosa a lettori con scarse capacità di focalizzare gli elementi; mi pare che la stampa stia derivando nello stesso tragico precipizio in cui è sprofondata la televisione: ho difficoltà a trovare umani senzienti che delegano la funzione di reperire notizie e conoscenza al TG1, o al TG4, - e se li incontrassi, consiglierei loro un buon medico. Per venire poi al mio settore, quando la televisione parla di vino o cibo lo fa (o deve farlo) nei famigerati tempi televisivi che, tra uno spot e l'altro, comprimono ogni elemento di approfondimento serio fino ad azzerarlo, e riducono il racconto di cosa sia un vino ad una sarabanda di bicchieri roteanti e tre-parole-tre del guru di passaggio. Conoscenza? Zero. Sembra proprio che questa comunicazione fuffosa e superficiale sia inevitabile, dati i limiti del mezzo e dato il fatto che si "deve" raggiungere un'audience quanto più vasta; tuttavia guardare la televisione è evitabilissimo, e certamente obbligatorio se, per esempio, vuoi sapere qualcosa di food-and-wine. E allora ci sarebbe, appunto, la stampa specializzata. Forse questa si dimostra adatta all'utenza allargata, ma succede, come dicevo, che la Rete sorpassi a destra, per freschezza, velocità e possibilità interattive, gran parte dei più volenterosi giornalisti di settore.

Ah, i giornalisti di settore, poi. Certo, ci sono quelli bravi, e quelli bravissimi. Poi ci sono tutti gli altri (molti) che se non avessero una sedia calda in una bella redazione, in un giornale tenuto in piedi dai contributi statali, potrebbero solo mettere a frutto le loro competenze lavorando come garzoni dal salumiere (absit iniuria) - oppure potrebbero proprio fare i salumieri, caricandosi sulle spalle la croce di una partita IVA, e così sperimenterebbero, forse per la prima volta, cosa significhi far quadrare i conti senza che arrivino i contribuenti a rimetterti in piedi.
Ma non è questo il punto che mi sta a cuore; non volevo focalizzarmi sul finanziamento agli organi di stampa - anzi, arrivo a dire, io sarei pure favorevole, se serve a tenere in vita una forma espressiva minoritaria ma con elementi di valore storico-culturale. Non facciamo così pure per la lirica? Di nuovo, il punto non è il valore più o meno verificabile della stampa che parla (specificamente) di cibo e vino, ma della sua capacità di dire cose interessanti, della sua efficacia, in contrapposizione ad Internet.

Per non dire, poi, della stampa generalista. Questa settimana L'espresso ritorna a parlare del mio àmbito con un'articolessa che, come d'uso, dice molte cose interessanti frammiste a schiamazzi, strilli di copertina acchiappagonzi, e qualche osservazione discutibile (in quanto inevitabilmente superficiale). Ora, si dà il caso che io sia un affezionato acquirente del settimanale cartaceo, e pure questa settimana la sua copertina mi appaia dal mio cesto delle riviste; tuttavia, per la prima volta in tanti anni, mi sono chiesto perché compro L'espresso: oddio, qualche dubbio era già sorto ai tempi della memorabile copertina "Velenitaly", ma oggi il dubbio si fa quasi certezza: L'espresso ha fatto l'ennesimo scivolone fuffoso, scarsamente efficace in termini di informazione - che poi, voleva informare davvero qualcuno di qualcosa, o voleva semmai fare il solito polverone? La sostanza potrebbe pure, in parte, essere interessante, ma la forma rivela il solito chiacchiericcio un po' superficiale. Quelli come me, abituati ad informarsi attraverso canali forse underground, non trovano elementi di informazione, di conoscenza, di confronto e di dibattito in questo articolo; questo articolo non parla a me, non mi serve. E allora: che compro a fare L'espresso? Due giorni fa pure Franco Ziliani rilevava la discutibile qualità dell'articolo; ma il triste paradosso è che, ancora, la stampa sembra aver rinunciato a dare informazioni chiare, circoscritte, in favore di un sensazionalismo finalizzato solo, probabilmente, a vendere qualche copia in più; ora, chiedo: per cosa pago il prezzo della copertina? Soprattutto (e qui mi ripeto) perché devo usare la Rete per ottenere, davvero, informazione? E, infine: quanto manca, prima che io smetta di comprare L'espresso?

venerdì, novembre 21, 2008

Aperitivo del sabato, anyone?


Come anticipato su Facebook (e se non hai feissbucc, malissimo, ma ora rimediamo) ho un nuovo produttore di Cinqueterre da assaggiare. E' arrivata or ora la pre-release-beta-campionatura, e mi accingerò a valutarlo domani, sabato. Se passi (tu, e pure amici) in enoteca domani, puoi testarlo con me: durante la mattinata sarà disponibile l'aperitivo "in prova", ovviamente gratis. Accorri, manco a dirlo, numeroso.

martedì, novembre 18, 2008

Almeno una segnalazione


Almeno una segnalazione, dopo la gita domenicale a Critical Wine (post quassotto). Tràttasi di segnalazione quasi local e quasi a km. zero, per coerenza: Valle Ponci ha presentato il Pigato ed il Vermentino 2007 in forma notevolissima, due assaggi memorabili; profumi nitidi, assai puliti (e considerando la vinificazione-sulle-bucce, è una notizia) col rinfrancante sentore salmastro-mediterraneo dei bianchi della riviera. Ma l'elemento quintessenziale di questo produttore bio è la sorprendente capacità di affinamento che i loro bianchi dimostrano: era disponibile l'assaggio del Pigato 2004, con spettacolare naso quasi idrocarburico, e tenuta senza compromessi. Produzioni omeopatiche, per una superficie vitata inferiore ai due ettari - che, tra l'altro, non dispone di rete vendita per la mia città e per il levante: quindi segnalazione multipla, se possibile, pure per qualche rappr che desideri inserire a listino un produttore non banale.
Società Agricola Valleponci (pure ristorante, e bed&breakfast)
Valle Ponci, 22 - Finale Ligure (SV)
329/3154169
[Peccato che il blog di Valle Ponci sia defunto nel 2007, ma che, stai a guardare al capello...]

venerdì, novembre 14, 2008

Critical (again)


Riponi la pashmina e tira fuori la kefiah, è nuovamente tempo di Critical Wine a Genova. Io farò un giro nel pomeriggio di domenica. Per quanti si chiedono che genere di umanità si incontri in questa rassegna, viene in soccorso il video qua sotto; la prima produttrice intervistata è la mia fornitrice di Dogliani di riferimento. Ammirate, per il resto, il tranche-de-vie di vera cultura contadina; con buona pace del mai-abbastanza-citato fighettodromo reperibile altrove.
Spero non serva precisarlo, ma il mondo Critical-qualchecosa ha la mia stima.

mercoledì, novembre 12, 2008

La dura vita dell'enosnobbone


Via Alder, stamattina, l'elenco dei vini più bevuti dal consumatore medio americano. Nella lista, come si vede, il terzo classificato è un italiano; il Pinot Grigio di Cavit.
E' dura la vita dell'enosnob; il mondo ovviamente non si nutre di esosi brunelloni ma di abbordabili prodotti quotidiani. Questi, per dire, sono la colonna portante del fatturato di molte aziende; probabilmente, sono pure la fonte finanziaria che consente loro qualche excursus lassù, dove si respira l'aria rarefatta delle altissime vette enoiche.
Giorni fa, intervenendo nella trasmissione radiofonica di Davide Paolini, il vostro bloggarolo del cuore si è lanciato in una difesa delle sorti del vino novello - anzi, a questo proposito, ecco il podcast, siccome qui si indulge nell'autocitazione autoreferenziale iperombelicale.
Dovendo dire bene del novello, alla fine ho fatto rilevare un elemento assolutamente a-enoico, ma quasi totalmente finanziario; saranno i tempi cupi, ma io osservo che qualunque wine expert, pur aborrendo l'incompiuto novello, oggi deve riconoscere la capacità di questo vino di generare cash; per le aziende il novello rappresenta un fattore di veloce guadagno e quindi, piaccia o non piaccia, bisogna parlarne bene. E' appunto la dura vita dell'eno-evoluto, che coltiva la poesia ma adopera la prosa, che sogna ad occhi aperti ma poi si scontra con la dura realtà; è la solita metafora trasferibile dall'enomondo a molti altri mondi possibili.

martedì, novembre 11, 2008

Come a Paperopoli

Mediobanca dice che "il vino di qualità è un bene rifugio, in tempo di crisi". Tuttavia, provate a mostrare la vostra collezione di Yquem al vostro direttore di banca: per concedervi il mutuo preferirà, comunque, una ricca pila di titoli di stato. Inutile illudersi.
Semmai, è interessante annotare che, come fosse Paperopoli, il nome dell'economista enofilo e' Gabriele Barbaresco.

La ritrovata utilità di feissbucc


Circa Facebook, devo riconoscerlo: agli inizi sono stato troppo severo. Lo sto usando sempre di più, ed indubbiamente mostra notevoli elementi di utilità. Come da capture.

mercoledì, novembre 05, 2008

The color orange


A proposito di crollo delle certezze: Alder mette giù una rece superpositiva per l'Ageno; vino controverso che molti ricordano come un simpatico puzzone aranciato; e combinazione, cosa è piaciuto, tra l'altro? "Orange wines aren't easy to come by, but to my mind they represent some of the most exciting wines being made on the planet".
Ci ritiriamo nelle nostre stanze a meditare pensosi sui nostri errori.

lunedì, novembre 03, 2008

Contrordine, il novello piace

Fresco di lettura su Kela, circa l'ormai indifendibile novello, inciampo nella roboante Reuters: "Vino Novello: ripresa made in Italy, ora piace anche a esperti". E che diamine, mai una certezza a questo mondo. Noi simpatici soloni tromboni enosnobboni faremmo meglio ad abbassare lo sguardo, visto che "gli appassionati che finora tendevano a snobbarlo iniziano a ricredersi: per il 38% degli amanti del buon bere acquistare e degustare una bottiglia di novello è diventata una consuetudine dell'autunno". Vabbè, ci tocca dire che ci eravamo sbagliati.
Se poi uno volesse avere chiaro, davvero, cosa sia endorsabile in quanto novello, tenga presente che, come qualcuno opportunamente disse da qualche parte, il novello italiano può essere prodotto da uve solo parzialmente sottoposte a macerazione; questo non implica che è ammissibile l'aggiunta di vini di precedente annata, ma differenzia sostanzialmente il novello italiano dal nouveau francese. La parola magica è macerazione carbonica al 100%, ovvero vino prodotto col sistema di macerazione preventiva delle uve, tutte, dell'ultima annata. Cosa che accade raramente, e che quasi tutti si dimenticano di precisare.

venerdì, ottobre 31, 2008

L'organo ufficiale


Probabilmente questo blogghe si candida a diventare l'organo ufficiale di Porthos, giacché il post che sto scrivendo contiene solo una lunga serie di rimandi all'ultimo numero uscito. Sono letture ponderose quanto basta (sennò che Porthos sarebbe) quindi tenetevele per i momenti d'ozio del lungo finesettimana che si appressa. Il fatto è che i pezzi che vado a linkare sono tutti, per varie ragioni, imperdibili; mi rassegno alla mia funzione di passacarte porthosiano, pensando che poteva andarmi peggio, potevo finire cassiere all'Ipercoop.

giovedì, ottobre 30, 2008

Metallo pesante


[Ovviamente l'immagine non c'entra alcunché col post, col vino, eccetera]

Cominciamo dalla cattiva notizia: i soliti solerti scienziati rilevano nel vino la presenza di metalli, in misura eccessiva, del genere cancerogeno o foriero del morbo di Parkinson, per dire. Specificamente, fissata una soglia di rischio pari a 1, hanno rilevato livelli tra 30 e 40 in vini rossi o bianchi, consumando la misura ipotetica di un bicchiere di vino (25 cl.) al giorno. Esisterebbe pure una distribuzione geografica dell'incidenza, per cui i vini "from Hungary and Slovakia" sarebbero quelli messi peggio; seguono, quanto a pesantezza metallurgica, i vini di Francia, Spagna, Germania e Portogallo. Ma ecco la buona notizia: solo i vini provenienti dall'Italia (e dal Brasile e dall'Argentina) mostrano incidenza di metalli sotto il livello di rischio.

[Update del mattino: Alder è scettico; tra l'altro, rileva: "This story originated at the pinnacle of respectable journalism that is WebMD (their top topics this week include penis enlargement)"]

sabato, ottobre 25, 2008

In bacheca

Piccolo avviso: nella giornata odierna l'enoteca è chiusa; l'enotecaro è impegnato nel battesimo dell'amata nipotina. Ci si rivede, e scusate l'assenza.

giovedì, ottobre 23, 2008

Maturità


Il prelievo da scaffale di qualche sera fa è servito a misurare lo stato evolutivo di una piccola partita di Cabreo Il Borgo che ho a magazzino; è un'annata 2000, quindi in una fase di maturità che presumevo non troppo avanzata, ma comunque rilevante; insomma, andava testato. Si è trattato di un assaggio significativo, per vari motivi; il primo, forse, consiste nel fatto che questo rosso toscano è un uvaggio di Cabernet Sauvignon al 30%, e per il restante 70% è Sangiovese: si tratta, cioè, di un matrimonio da molti criticato, una specie di unione impura che stipicizza il Sangiovese a favore di un piglio modernista tipico del Cabreo e di mille altri uvaggi toscani che rientrano nei parametri descritti dal termine supertuscan: legno piccolo, estrazione cromatica, morbidezza, californication, e via modernizzando. Data la caratterizzazione global del concetto enoico, questo è il classico vino da dibattito; tra gli elementi criticabili di tali release c'è spesso la longevità, che non sembrerebbe essere il punto di forza quando la piacioneria immediata è in definitiva la cifra qualificante: da giovane sono giuggiolone e succulento, da maturo bah, chissà. Quindi, ribadisco: l'assaggio già si preannunciava interessante. E comunque, l'aspetto centrale in questi assaggi resta sempre, a mio modo di vedere, l'imprevedibilità del decorso: lo stato evolutivo sulla maturità è spesso inaspettato, scarsamente prevedibile; la bottiglia matura assomiglia alla scatola di cioccolatini di Forrest Gump, non sai mai cosa c'è dentro. Inutile dire che trovo in tutto ciò notevoli elementi di fascinazione.

Il colore è stato il primo punto di forza, credo: assai vivido, con pochissimi cedimenti. Ancora gioviale e giovanile, direi. Olfattivamente l'apertura era dichiaratamente terziaria, con la bella serie di note tostate (caffè e cacao) in prima fila a fare la parata, e la frutta appena nascosta; il godimento maggiore è arrivato con le sensazioni di cuoio, ma soprattutto di foglia di tabacco: sensazioni niente affatto stanche, ma rinfrancanti, caratteriali, eloquenti della maturità raggiunta con successo e con un discreto stile. Un vino forse al culmine della sua vita - e qui sarebbe ammissibile la critica: "ma come, dopo solo otto anni siamo al capolinea?" - ma in realtà il capolinea pare lontano: in bocca ha saldezza acida, solo i tannini si mostrano levigati e assai meno duri del previsto; ma questo favorisce l'armonia, il palato è armonico e segnato da una certa setosità; anche qui, volendo trovare un elemento critico potrei indicare (quasi conseguentemente) la mancanza di imponenza, di elementi asfaltanti. In conclusione l'assaggio ha notevoli punti di piacevolezza, è il genere di test che amo protrarre a lungo, tra olfazioni e riassaggi: lo stato evolutivo è pronto, ma il vino non è al termine delle sue potenzialità. Punteggio: 87/100.

Considerazioni finali. Il produttore è tutt'altro che piccolo, la famiglia Folonari risale attraverso generazioni di veri industriali del vino (potete dare al termine l'accezione che credete). Tra le griffe aziendali c'era la stessa Ruffino, per dire. Ciò premesso, alcune realizzazioni del gruppo continuano a sembrare notevolmente significative, e con un bel rapporto prezzo/prestazioni; l'universo del supertuscanesimo è costellato di vinoni che costano il doppio, o il triplo, rispetto ai 34 euri di Cabreo, magari restando sugli stessi punteggi centesimali.
Terminiamo con una bella orgia di duepuntozerismo: di seguito l'assaggio performato da Andrea sul ben più maturo Cabreo 1985.



E, apoteosi finale, un Carosello Folonari: anni '70, e tappo a vite: troppo avanti!

mercoledì, ottobre 22, 2008

Oggi ho visto una cosa

Oggi ho visto una cosa che, per qualche motivo difficile da spiegare, mi ha fatto stare bene.
Dunque, si tratta di questo; ero sulla via di casa in sella al centauro e passando davanti ad un bar vedo un tipo, sulla porta, che si sbraccia a salutarmi, con in mano un panino; rallento e restituisco il saluto, e lo riconosco: è un venditore del mio enomondo, un rappr (rappresentante). Proseguo e, buttando l'occhio sull'orologio che segna le quattordici, penso: sta pranzando.
Il pranzo frugale di un venditore: in piedi sulla porta di un bar, sotto un cielo piovoso in una giornata freddolina di inizio inverno, mentre la civiltà occidentale sta crollando lentamente. E nemmeno stacca del tutto, perché vede il cliente (sarei io) e lo saluta cordiale. Questo è il genere di venditore che si sbatte da morire, ha iniziato da poco, direi un paio d'anni, e non smette di fare strada: ha raccolto qualche mandato interessante, più due-tre simpatici industrioni che gli consentono di fare volumi di fatturato significativi; ma non smette di darsi da fare, è sempre in giro, lo vedo spesso a piedi, a passo svelto, con una cartellina sottobraccio, jeans e maglione; consuma le suole, ha l'auto ma la posteggia sempre chissà dove, e io lo vedo perennemente a piedi. E' simpatico, mai invadente, quasi umile ("ma conosci quest'azienda? Come lavora?").
Se c'è un Dio che assiste le partite IVA, questo è uno che ce la farà, che supererà questi giorni ingiusti. Ripenso alla sua faccia sorridente, che mi saluta col panino in bocca, ed il pensiero di uno che combatte nonostante tutto mi fa stare bene.

giovedì, ottobre 16, 2008

Bottiglia che sa di tappo (istruzioni per l'uso)

Comunicazione interna: questa enoteca cambia le bottiglie che sanno di tappo, senza troppe menate. La contestazione della bottiglia buchonee è lecita, ovviamente, e di solito accade che io poi mi rimetta alla bontà del produttore, il quale a sua volta sostituisce a me la bottiglia problematica (oddio, ciò non avviene sempre, ma sappiamo che questo è un mondo imperfetto).
La sostituzione tuttavia è sottoposta ad un paio di pre-requisiti, a cui vi prego di attenervi, o voi clientes: e questi sono validi per me, ma pure, direi, per tutti gli altri miei colleghi enotecari.

1. Tenete la bottiglia ed il tappo. Tornare in enoteca mugugnando "quel vino sapeva di tappo" senza avere con voi la bottiglia imputata, ed il tappo, vi costringerà a sorbire gli intollerabili sarcasmi di certi enotecari, senza con ciò risarcirvi del danno. Quando aprite una bottiglia col (mefitico) sentore di tappo, abbiate l'accortezza di metterla da parte, con il tappo stesso. Vi garantirà la sostituzione.

2. La bottiglia non deve essere vuota. Parrà strano, ma tornare in enoteca con la bottiglia del tutto prosciugata, affermando "sapeva di tappo, ma comunque ce lo siamo bevuto - adesso però cambiamelo" vi riporta alla condizione del punto 1: no joy. Ironia a parte, a me serve constatare il sentore di tappo sia nel vino che nella chiusura di sughero; entrambi gli elementi devono essere verificabili.

Ed infine, un piccolo consiglio logistico. La sensazione sugherosa e fastidiosissima del tappo è una specie di spada di Damocle, pende su ogni bottiglia e purtroppo non c'è nulla da fare; tralascio il discorso relativo al perché e percome (googlate un po' pure voi, pigroni); vorrei, ora, consigliare un espediente facile facile. Mettiamo che abbiate preparato la vostra cena ideale con gli amici (o l'amica) - tutto è pronto, perfetto e ritualizzato al punto giusto; e stappando il vino, il malefico tappo annulla ogni piacere. Che fare? Semplice: tenete, sempre e comunque, una bottiglia di riserva, pronta per l'evenienza.

[Della sostituzione da tappo già scrissi, ma repetita iuvant]

sabato, ottobre 11, 2008

Sì, stavolta si parla di borsa

[I link relativi a questo post stanno tutti in fondo; il perché te lo spiego poi]

Alcune notti l'insonnia sembra fatta apposta per mettere in ordine le idee del giorno. Il giorno trascorre leggendo le notizie che leggete tutti (le leggete, sì?) poi la notte ripensi a cosa questo significhi per te, in che modo tu possa essere incastrato in quelle meccaniche.

Ora ci dicono che bisogna riscoprire l'etica. Ogni battuta è lecita, compresa quella "e io, quandomai l'ho persa?" - soprattutto, ci spiegano che l'economia deve basarsi su elementi reali e non fittizi, cartacei. Ancora: e che altro facciamo, noi? E dico "noi" intendendo il magma di genti che lavorano nel mio settore; un settore produttivo, contadino, connesso a fatti naturali, visibili, verificabili nella quantità e nella qualità; un settore di eccellenza, si dice, che genera beni non riproducibili in modo seriale, quindi speciali, quasi unici, difficilmente imitabili. Perfino nel comparto vitivinicolo più chiaramente industriale gli operatori devono sottostare, piaccia o no, ad elementi naturali. Questo è un mondo antico, fatto ancora di parole, strette di mano che si fanno per sentire le durezze sulla pelle, sguardi; cose che c'erano prima di me, e che continueranno dopo di me. Quindi, coerentemente, ora che mettete in galera i direttori di banca, darete il potere agli enotecnici, giusto? Vediamo se ci ho preso.

Questa specie di disordinata porta dimensionale che è la Rete non conduce attraverso corsie chiare, assomiglia piu' al Bateau ivre. Io non so bene come mai, ma sono capitato, stanotte, sulla home della cantina (cantina si fa per dire) di Petra. E Petra rappresenta quasi tutto quello che mi lascia indifferente circa il mio mondo; sfarzo, lusso, supertuscanesimo eretto a sistema, sito in flash, ultimo aggiornamento 2006, nessuna interattività, sbrodolamento autoreferenziale, Oliviero Toscani, brochurismo, architetto famoso (badate, potrei andare avanti per una pagina intera). Petra rappresenta un'idea di vino che mi annoia, mi stressa pure un po', mi evoca target di vendita, business plan, pierre, eliporti e fighettodromo, fuffa insomma; e - attenzione - mi sto riferendo unicamente al piano formale; non ho idea del livello qualitativo di quei vini, non ricordo assaggi significativi: forse qualcosa all'ultimo Vinitay, colpa di Andrea. E comunque, il mio anarcoinsurrezionalismo enoico basta a farmi scoprire il canino, peggio di Billy Idol, ogni volta che incrocio queste robe.

Il fatto è che saltando da un link all'altro, fino allo sciagurato Andana, ma avendo in testa le premesse scritte quassopra, un tarlo ha cominciato a rodermi dentro, come per dirmi: smettila di giudicare. Ho cominciato a cercare notizie sulla famiglia Moretti - vabbe', già sapevo, Bellavista, Albereta, ma volevo le facce, le storie. Anche se quel che ho trovato non è definitivo, ho fatto abbastanza pace con quest'idea di vino esibito; alla fine, condivido con loro un'idea di produttività concreta, difficilmente falsificabile, che - spero - non si presta a troppe cartolarizzazioni. Condivido un'idea di produzione nazionale basata sull'eccellenza del territorio e di molte persone che inventano, elaborano, fanno il fatturato e magari pure il PIL, senza sprofondare nel linguaggio vomitevole di pattichiari.it (ci siamo capiti, credo). Soprattutto credo che in un momento di totale incertezza come questo, sia giusto identificare chi mi (ci) assomiglia, e chi invece continua a prendermi(ci) in giro.
Se tutto va bene, il mondo lo salviamo noi.

Ed ecco, come promesso, alcuni linx:

Le bateau ivre, insomma il battello ebbro, la poesia di Rimbaud, conosci...
La home di Petra
E già, colpa di Andrea, assaggiai con lui qualcosa, di Petra
Billy Idol che scopre il canino, fondamentale
Intervista a Francesca Moretti, thanx Teatro Naturale
Andana, sciagurato per modo di dire, che poi ne vorremmo sciagure così
Patti chiari, quei bei tipi che mezz'ora dopo il fallimento Lehman han deciso che le loro obbligazioni non erano mica tanto a basso rischi
o.

I collegamenti stanno qua, disgiunti dal resto, per non interrompere il flusso creativo. E chi coglie la citazione, vince la mia sempiterna simpatia.

mercoledì, ottobre 08, 2008

In questo post non si parla di borsa

Il mondo sta lentamente sprofondando in chissà quale baratro; prima del botto finale, ieri sera ho prelevato dallo scaffale una new entry tra le bollicine francesi, il Brut Idéale Cuvée di Abel Lepitre. Benché appunto ovunque si odano sinistri scricchiolii di cedimento strutturale, qui a bottega ci stiamo attrezzando per le vendite - ed ora ci starebbe bene la metafora del Titanic e dell'orchestrina che suona. Un po' abusata ma sempre efficace.

Vabbe', scacciando i pensieri neri, convinti pure che abbia ragione Antonio, ecco qua la spuma esorbitante nel bicchiere; perlage forse non dei migliori (bollicina appena un po' troppo ciccia per i miei gusti delicati) e naso, appena aperto, non ampio. Questo sembra il classico vino che necessita di qualche minuto nel bicchiere per mostrare le sue qualità aromatiche. E difatti, dopo poco, ecco uscire note tostate, estremamente belle, di nocciola e mandorla, direi; olfazione croccante, godibile, di grande soddisfazione. In bocca mostra finezza ed eleganza, è sottile, dichiarando la sua preferenza di abbinamento a piatti delicati, come ideale apertura di un pasto; l'assemblaggio di Chardonnay, Pinot Noir e Meunier è in proporzioni uguali, e la maison fa confluire un 20% di vini riserva nella cuvée. 80/100, e ne berresti ancora.

[Fotina lietamente prelevata in questo post di VG]

sabato, ottobre 04, 2008

Indignodromo a paletta (ed un capro espiatorio)

Urge dichiarazione, the day after il match Ziliani-Rivella; sul quale tornerei con altri sbrodolamenti digitali, vista la massa di enormità profferite dal signor Rivella - per inciso, una delusione pazzesca, quest'uomo, mai sentiti argomenti così poveri, in compenso espressi in tono di rara arroganza - ma appunto, su questo tornerei quando qualche anima buona metterà online i video, e potremo linkare copiosamente, anche per non indulgere troppo nel mood ombelicale; siam qui per comunicare, com'è noto.
Orbene, la dichiarazione, si diceva. Ecco, dato che il Rivella afferma di far "vini che piacciono, quelli premiati dalle guide" (virgolettato mio, ma le parole potrebbero essere diverse; non la sostanza) questo blogghe, almeno quest'anno, ignorerà pervicacemente ogni chiacchiera relativa a trebicchierati, cinquegrappolati, polistellati ed altre garrule classifiche guidaiole. Le guide siano capro espiatorio di tanta roboanza.

[Update: Filippo pubblica la prima parte del filmato, qui]
[Update #2: ecco qui il filmato completo. Tre intense orette; i popcorn non li abbiamo, magari al prossimo update...]

lunedì, settembre 29, 2008

Panel pure io

Grazie a Luca, mi sono lietamente imbucato nel mittico (due ti) tasting panel di Poggio Argentiera; ed ora che ho testato, come minimo, racconto. Here it comes.
Guazza 2007. E' un bianco brillante e nervoso alla vista, ed e' estremamente easy e bananone (ammappala quanta banana c'è ora) al naso. Un bianco concettualmente appagante per l'utente entry level - "potevamo stupirvi con effetti speciali, e difatti eccoli qua". Non è niente male, ed ha un prezzo abbastanza convincente: 6,70 euri nello shop di PA. 75/100

Fonte 40 2007. Questo bianco è progettualmente superiore rispetto al Guazza, ha certamente maggiori ambizioni, ma soffre una freddezza quasi tecnica nell'esecuzione. E' curioso parlare in termini critici di un vino che non ha, chiaramente, elementi di difetto, anzi; ma della sua complessità, rilevabile, risalta soprattutto (appunto) la mancanza di passionalità. Boh, giudizio su cui sono maggiormente controverso con me stesso - figuriamoci col resto del mondo. 77/100 per euri 10,80.

Principio (Ciliegiolo) 2007. Che è successo a questo ciliegiolo? Me lo ricordavo lieve e cuccioloso, e me lo sono ritrovato ipertrofico ed ipertannico. Un po' eccessivo e disarmonico per la durezza, non supera i 73/100, nonostante il naso piacevole. Circa 8,40 euri.

Morellino Bellamarsilia 2007. Assai meglio: più composto, fine, quasi più serio. C'è altra materia, direi, ed il risultato è notevole, sia al naso che in bocca. 78/100, costa euri 9,15.

Morellino Capatosta 2006. Yummy wine. Ha una materia prima imponente, giogioneggia ed esagera, ma non esonda. Che dire, è tanto senza essere troppo, oppure eccede con carattere: 85/100, per euri 21,60.

Finisterre 2006. Uff e ri-uff. Ecco, questo esagera. Diciamo che ha una gran possanza, ma sembra lontano dall'essere pronto, e la sua gioventù lo penalizza, assieme pure a questa esibizione di muscoli che, sinceramente, mi perplime. Accade quasi come col Fonte 40, vince ma non convince. 86/100, costa 33 euri.
Un paio di considerazioni finali.
Nel complesso i vini di PA sono contrassegnati da una notevole, a volte proprio tanta, voglia di piacere, di incontrare il favore dell'utenza newbie grazie all'abbondanza di frutta, all'estrazione di colore, alla morbidezza: insomma, cerco di evitare la parola "modernismo" ma alla fine, ops, cedo. E' un modernismo che mi piace - anzi, tengo a dire, il Capatosta è uno dei dieci vini che amo di più, che bevo per me e con gli amici. Ma come dissi, ho spesso momenti post-maroniani.
Nelle brevi note ho indicato il prezzo a bottiglia; anche qui ripeto cose già dette, ma io continuo a pensare che il giudizio su un vino non può essere del tutto disgiunto dal suo costo: per esempio trovo che il giudizio sul Capatosta sia, fatalmente, migliore che quello riferito al Finisterre: prendendo in prestito una frase ricorrente di Gianpaolo Paglia "il vino lo si fa per venderlo". Quanto ai prezzi, sono appunto presi dal sito di PA, e differiscono di poco dal prezzo finale in enoteca - giusto quei dieci euro a bottiglia.
Oh, non penserete mica che qui si guadagni bloggando.

mercoledì, settembre 24, 2008

S'irradia l'ottimismo


Ammetto di avere una perversa attenzione alle notizie salutiste connesse al vino; inutile girarci attorno, portiamo acqua (sic) al nostro mulino. Però, il resveratrolo che protegge dalle radiazioni, ecco, quello andava al di là delle più rosee aspettative.
"Tests in mice showed that resveratrol, when altered using a compound called acetyl, could prevent some of the damage caused by radiation, the researchers told the American Society for Therapeutic Radiology and Oncology meeting in Boston".

lunedì, settembre 22, 2008

Corso di lettura veloce

"Da oggi scatta l'obbligo per i locali di esporre la tabella per il calcolo del tasso alcolemico. Per renderla leggibile a tutti verrà affissa all'interno dei coperchi dei water".

[Spinoza dixit]

sabato, settembre 20, 2008

Aridatece er puzzone

C'era una volta, tanto tempo fa, un giovane enotecaro che frequentava i corsi della locale sezione AIS (Associazione Italiana Sommelier), dove una simpatica docente gli insegnò, tra le altre cose, che il Rossese di Dolceacqua doveva puzzare: una puzza nobile, merde-de-poule per la precisione. Il giovane enotecaro crebbe così nell'osservanza, non si sa quanto fallace, di tale dogma. Sono passati molti anni da allora, ma l'enotecaro, meno giovane, ogni volta che apre un Rossese ripensa a quell'insegnamento.

Ancora non so se questo assunto sia fondato, e del resto non siamo certo qui per risolvere i dubbi della conoscenza che ottundono le umane genti; semmai siamo qui per stappar bottiglie. Oggi, per esempio, ho aperto il Rossese di Dolceacqua Superiore 2006 di Enzo Guglielmi, produttore che si iscrive a pieno titolo all'albo dei tradizionalisti (mica un Altavia qualsiasi che peraltro vendo e bevo). L'aspettativa di puzzette era quindi elevata. Olfazione dopo olfazione, devo dire che elementi pungenti, sulfurei, non sono mancati; il vino si annuncia con note puzzettose non troppo marcate, e comunque con un naso sottilmente stratificato, nel quale hai piacere ad insistere nei riconoscimenti: dopo una buona mezz'ora il bicchiere, per dire, aveva assunto un temperamento cioccolatoso (polvere di cacao) sorprendente; certo, l'attacco è stato ruvido, temperato solo in parte da note di ciliegia sotto spirito, ed espressioni sottilmente floreali. La bocca non flette i muscoli (non ha di che flettere) a parte un buon corpo alcolico, è l'esatto contrario di certi inchiostroni rotomacerati: anzi ha un rosso trasparente, di quasi nulla concentrazione, che ti predispone appunto ad un vino non asfaltante; forse questa è la pecca maggiore, volendo essere severi, che limita il punteggio finale: è appena un po' troppo corto, e si assesta sui 79/100. Eppure, è stato un piacere; questo è il classico caso nel quale il punteggio deve, onestamente, riferirsi ad elementi "dimensionali" ed oggettivi, per quanto possibile, della degustazione, anche se l'aspetto di piacevolezza che lascia in ricordo questo vino, probabilmente, è maggiore del punteggio che consegue.

[Immagine tratta dalla home di Guglielmi]

giovedì, settembre 18, 2008

Trasporti, temperature, tecnologia


Uno dei maggiori problemi connessi al trasporto del vino è la variazione di temperatura alla quale le bottiglie possono essere sottoposte, durante il tragitto. Ogni volta che osservo un mezzo che rechi le insegne di un corriere noto, o addirittura il logo di qualche azienda vinicola, parcheggiato presso un autogrill a ferragosto, cerco automaticamente di verificare se il vano merci rechi qualche segno di termoregolazione; spesso, no. Oggi, nei meandri del quotidiano girovagare digitale, leggo del PakSense, un gadget tecnologico che, direi, non è affatto male: una specie di documento allegabile alla cassa di vino, dotato di un sensore che verifichi quali e quanti sbalzi di temperatura abbia subito il prodotto durante il trasporto: con tanto di led verde (a significare che le temperature sono rimaste nel range prestabilito) oppure led giallo lampeggiante ("Houston, we have a problem"), ed il software è in grado di comunicare nel dettaglio i dati dello specifico "sforamento" ad un computer. In attesa che qualcuno inventi un crack per hackerarlo in qualche modo, potrebbe essere uno strumento di notevole utilità.

[Update: Liz già ne scrisse, qui]

martedì, settembre 16, 2008

Il winebloggah non dà (quasi mai) i numeri

Mentre scrivo ho sul monitor l'intervento filmato di Aristide all'Ewbc 2008; al centro del suo discorso sta la blogghitudine come novità comunicativa dell'enomondo, ed io ovviamente concordo (come non potrei) - anzi, spero, prevedo ed auguro ricchi futuri impieghi per noi enobloggaroli. Nel frattempo, proverò qui a trattare altro topic, che comunque era prospettato durante la conferenza: l'uso dei punteggi nella descrizione e nella classificazione del vino.

Essendo un long-time-bloggah (cioe': siccome scrivo da un po', qui) ho naturalmente il mio bel link da autocitazione, per il quale nel 2006 dichiaravo di preferire il voto a punteggio centesimale. Riaffermo il concetto, magari con qualche aggiustamento: il punteggio centesimale è rapido ed efficace a circoscrivere il rating. L'aggiustamento consiste nel precisare che il punteggio ha senso quando desideri essere breve, telegrafico; nella massa di appunti durante una rassegna, magari assaggiando in piedi destreggiandosi tra bicchiere e bloc notes, il punteggio sembra un ottimo sistema per ordinare i dati. Nel dibattito pro o contro l'uso del punteggio emerge che questo metro di giudizio ha senso per gli addetti ai lavori, per gli operatori professionali; e questo mi conforta almeno un po', data la mia preferenza, forse minoritaria nei confronti dei molti wine blogger, che cercano un sistema più articolato, colorato ed innovativo di raccontare l'esperienza enoica.

Il punto probabilmente è che l'archittettura del blog stesso, avendo come costituenti la narrazione e la conversazione, pare essere l'esatto contrario dello schematismo del punteggio; è quindi opportuno restringere un tipo di descrizione enoica così rigida ad un uso professionale; questo poi dimostra che io stesso, bieco utilizzatore di punteggi, trovo che il racconto del vino sia un fatto estremanente più elaborato e complesso di un breve voto centesimale: non per niente, da anni e annorum, io bloggo.

domenica, settembre 14, 2008

Scopri l'inganno


La fotina che vedete quassù ritrae un cartellone stradale; normalmente questo annuncio, espresso negli incerti diodi luminosi che ci passa il Comune di Genova, è scrutabile nei giorni in cui si tengono eventi sportivi. Serve a dire, anche, che la locale amministrazione ha a cuore gli abusi che derivano dall'alcol, soprattutto quando questo viene ingurgitato da certi umanoidi altrimenti noti come tifosi.
Vabbe', dice: e allora? E' una buona idea, no? Boh, forse. Il punto è che il cartellone campeggia nel quartiere di Multedo, a circa 15 km dallo stadio; prima di arrivare nel quartiere sottoposto alla dura lex proibizionista, si attraversano Sestri Ponente, Cornigliano, Sampierdarena, Dinegro: territori nei quali non vige la legge, e dove si spacciano ovviamente alcolici di ogni tipo; terminato il transito, si arriva al quartiere dello stadio. Ecco la mappa:


Visualizzazione ingrandita della mappa

Ora, sarà che io riesco a vedere il trucco e l'inganno un po' dappertutto, però ogni volta che incrocio questo avviso, mi pare che l'effetto principale sia: "spicciatevi a comprare alcolici, finché potete, che comunque siete ancora in tempo". Effetto sicuramente indesiderato, si capisce, ma ugualmente irritante. Il solito proibizionismo di facciata.

venerdì, settembre 12, 2008

Hai presente il boomerang?


Hanno shuttato il Papero Giallo.
Uh, aspetta... e invece no, ha riaperto qui. Bella mossa, bravi, manco Pirate Bay hanno zittito, anzi. Solo un giramento di feed.

[Via Kela. Prima che shuttino pure a quella]

giovedì, settembre 11, 2008

Manga e bevi


In Japan basta che un eroe dei fumetti (500 mila lettori alla settimana, ahem) si atteggi a sommelier, che le vendite di vino hanno un quasi-boom locale.
The sales records of Japan's largest wine merchants have been smashed because, in a single frame of comic, the hero has uttered a dreamy sigh over a 2006 New Zealand Riesling or closed his eyes in appreciation of a Saint-Aubin Premier Cru.
Qui da noi, al massimo avevamo Superciuk.
[Immagine scippata al Times Online]

martedì, settembre 09, 2008

Ripensandoci, questo blog parla di fisica delle particelle

Gli enonauti (anche loro) sono in fibrillazione, perché, come saprete, siamo a T meno uno dalla fine del mondo: domattina al Cern succede il botto, si aprono i buchi neri, eccetera eccetera. Io speravo di fare il fatturato vendendo le bottiglie da ultimo giorno, ma le cose, pare, non stanno proprio così.

Dando un'occhiata approfondita alle pagine dedicate al Large Hadron Collider del Cern si evince che domani abbiamo, solo, una specie di prova generale. Le particelle saranno difatti sparate con la modesta (pfui) potenza di 0,45 Tev (Tera ElettroVolt), anziché alla ben più performante, e tellurica, soglia dei 5 Tev; questi si vedranno in azione, probabilmente, verso la fine di quest'anno: "the first attempt to circulate a beam in the LHC will be made on 10 September at the injection energy of 450 GeV (0.45 TeV)" - mentre "the eventual acceleration and collision of two beams at an energy of 5 TeV per beam [...] is foreseen to take place by end 2008". Niente collisione, parrebbe, ma solo una accensione dei motori, qualche sgassata, e si spegne subito.

Come mai? Possibile che al Cern temano l'apertura di porte dimensionali, dalle quali notoriamente transita un sacco di gentaglia aliena? E soprattutto: come mai i giornali parlano, per domani, di collisione? Nel frattempo, ecco la buona notizia: ogni enofilo genovese potrà risparmiare le bottiglie epocali per altro evento. Io mi aprirò una birretta, stasera.

[Qualora desideriate apprendere elementi divulgativi sull'argomento, ecco il Rap del Large Hadron; sottotitolato in inglese, ma si sa che questo è un mondo imperfetto]

Se ben ricordo questo blog parlava di vino

[Voglia di bloggare saltami addosso]


Sarà il caldo, sarà qualche tipo di salutismo, ma in questo tiepido settembre non indulgo troppo nell'opera di prelievo di scaffale. Comunque, ierlaltro ho ceduto alla tentazione di associare un rosso alla canonica griglia di carni suine (ho appena detto "salutismo"? Devo essermi sbagliato). La scelta cadde, felicemente, sull'Aglianico 2004 di Lonardo. Ora, nel tentativo sempre attuale di scrivere la summa definitiva, compilativa della mondiale eno-conoscenza, pure io sono affascinato dall'ansia di catalogare i generi enoici; ma proprio quando credi di aver esaurito la compilazione (modernisti e tradizionalisti, barrique e cemento, simpatici e lazzaroni, eccetera) ti càpita sempre quello sfuggente, riottoso, che non sembra voler rientrare facile nelle categorie. Poco male, il compilatore ha pronta una nuova enumerazione, un nuovo scaffale in cui impilare il tomo che rilutta. Ecco qua un paio di (nuove? Bah) classi. Ci sono i vini desiderosi di mostrare e dimostrare qualcosa, con l'ansia da prestazione, alquanto muscolari e comunque agghindati molto fashion; poi ci sono quelli "e chi se ne frega", che escono fuori come la natura, l'annata e l'esecuzione lo consente; pochi fronzoli e tanta sostanza, pure se con qualche tono dimesso rispetto ai primi; una specie di understatement enoico. Per quella che è la mia recente esperienza, i prodotti di questa seconda categoria stanno uscendo assai allo scoperto, guadagnano terreno rispetto ai primi, in ragione della loro minore prevedibilità; hanno un aspetto che amo definire "significanza" (e con questo ho segnato i miei cento punti quotidiani di creazionismo verbale).
L'Aglianico in questione rientra nel corpus numero due; non ha un attacco troppo asfaltante, anzi, il naso è ancora (forse un po' troppo) composto, segno di grande gioventù e di lunghe, promettenti potenzialità; adesso è fine, peposo, le nuance di frutti rossi sono sottili; in bocca prosegue saldo senza durezze, eppure serio, con qualche austerità da tannini: non attacca ma si adagia; l'elemento di significanza che prevale è, in definitiva, una certa piacevolezza di beva, senza eccessi ridondanti che risultano, appunto, ormai un po' prevedibili. Un 81 (ma pure 82) in punteggio centesimale, misurazione sulla quale pervicacemente insisto, tanto per far arrabbiare il caro Ari.

martedì, settembre 02, 2008

101 consigli per ottenere facilmente lo sconto dal vostro bottegaio

Mai entrare nel negozio ai primi di settembre cantilenando "finite le ferie, eehh?"

[Gli altri 100 prossimamente. Questo però era fondamentale]

lunedì, settembre 01, 2008

Dimmi qualcosa che ancora non so

Due bicchieri di rosso a pasto sono un classico rimedio per prevenire l'infarto. Dico, è una notizia, questa? Ebbene sì. L'Agi però si riferisce ad un nuovo (questo è nuovo, ecco) studio dell'Universita' Cattolica di Campobasso, una ricerca che è "una metanalisi presentata dal professor Giovanni De Gaetano, e' un sofisticato metodo statistico che permette di mettere assieme risultati di diversi studi considerandoli come fossero uno solo. Studi recenti - sostiene De Gaetano - indicano che il grado di protezione cardiovascolare dovuto al consumo moderato di alcol e' influenzato da altri fattori legati allo stile di vita, ma l'effetto dell'alcol rimane comunque significativo. Supponiamo, ad esempio, che l'alcol possa risultare benefico perche' associato con altri fattori protettivi quali l'attivita' fisica. Correggendo con tecniche appropriate i dati in modo da separare il solo effetto prodotto dall'alcol, la protezione cardiovascolare risulta comunque significativa, indipendentemente dagli altri fattori presi in considerazione". Cribbio, bella questa metanalisi.
Sempre Agi, poi, ci informa oggi del solito sequestro di robaccia contraffatta. Sempre di vino si parla, ma a pensarci bene, non è esattamente la stessa roba.

[Ah, sì, siamo tornati dall'ozio. Chissà poi perché, si stava tanto bene, via dalla pazza folla. Sigh]

mercoledì, agosto 27, 2008

Prove tecniche di grande boh

[Si, vabbe', si riparla di Brunello, porta pazienza, ci infilo pure altro]

Probabilmente la principale annotazione, il primo titolo di merito che mi va di enfatizzare principiando questo post è: il grande Gaja-le-roi ci guarda da lassù; Angelo Gaja, o qualcuno per lui, ci legge e ci considera in qualche misura, a noi bloggaroli. Altrimenti non si spiega perchè abbia inviato a svariati influenti enoblogger[z] la sua ultima statuizione riguardo alla possibile modifica del disciplinare del Brunello di Montalcino. Per inciso, al momento i miei feed mi segnalano Franco, Ari, Marco come destinatari della missiva in questione; per motivi del tutto imperscrutabili, pure chi vi scrive è stato fatto segno della comunicazione, e questo ovviamente ci confonde e ci perturba, costringendoci ad assumere pose da persona seria - cosa notoriamente ostile alle nostre naturali inclinazioni. Vabbe', comunque grazie, o voi che lassù mi leggete. Anzi, già che ci sono ne approffitto: ciao Angelo, io ti ho sempre ammirato, lo sai. Ricordo ancora con emozione la tua rapida epifania nella mia bottega molti anni fa, che mi lasciò ammutolito, appunto perché emozionato.
Oh, ognuno ha i suoi culti delle sue personalità, che volete farci.

Ma veniamo alla sostanza della notiziola: non serve che ripubblichi tutto il testo, se come sempre altri già l'hanno fatto; posso solo registrare brevemente l'aspetto centrale dell'assunto: "occorre individuare una formula che consenta agli artigiani di esprimere nei loro vini la straordinaria dignità del Sangiovese e di poterla dichiarare in etichetta rendendo così riconoscibile la loro fedeltà al 100% della varietà, ed ai produttori di grandi volumi di poter operare con maggiore elasticità: e tutti e due i vini debbono potersi fregiare del nome Brunello di Montalcino".

Traduzione: si adoperino vitigni migliorativi (caberlot, et similia) per i grossi industriali che hanno vigne poco vocate, e alla fine si evidenzi, in qualche modo in etichetta, chi e' purista e chi no.

Commenti possibili: il primo che mi andrebbe di rimarcare ora, è: io l'avevo detto che finiva così. Secondo commento possibile: io sono un post-maroniano bevitore di supertuscan e barriconi rotoconcentrati, quindi mi faccio andar bene pure il Brunello taroccato al cab. Però, pure un modernista come me ha avuto quel mezzo minuto di serietà tale da discernere che la fama del Brunello attuale è dovuta al prodotto tradizionale, non alle derive moderniste. Quindi, abbracciare questo genere di stravolgimenti finisce per essere pericoloso; per il futuro business legato al Brunello, credo.

Terzo commento possibile. Beh, sapete che c'è? Io mi arrendo; rinuncio a capire, ma soprattutto ad avere un'opinione in merito. Serve forse a qualcosa? Come moltissimi enoappassionati ho seguito, da brunellopoli in poi, il dibattito si/no/forse legato ai cambiamenti possibili sul rossone ilcinese; ho pure una mia idea, che coincide con quella di altri "tradizionalisti", ma pure questo ormai mi pare inutile; dirò di peggio, io mi sento orrendamente fuffoso ora; ma leggete cosa ho scritto fin'ora, ma che valore avrà mai questo fuffosissimo post, quando i giochi sono comunque fatti e decisi da corazzate finanziarie del calibro di Banfi e Gaja. Ma chi sono io, chi siamo noi, per pensare di avere qualche speranza di fermare questa specie di valanga? Forse è giusto arrendersi, lasciar perdere, così come ci si rassegna all'inevitabile e, piuttosto, cercare di guadagnare qualche genere di rifugio per salvarsi da quest'onda di piena, incontenibile, perché oltre ai potentati enofinanziari si somma pure la quasi totale, temo, insensibilità al "problema" delle masse di clienti potenziali, i quali probabilmente hanno altro di cui dolersi. Io dico che bisogna arrendersi, quando capisci che alla fine solo i possenti meccanismi finanziari sono quelli in grado di dominare e determinare lo stato delle cose: la discesa in campo di Gaja mi ha fatto un'impressione di già visto, come se qualcuno che davvero, e veramente, conta qualcosa nel nostro vago (eno)mondo, fosse sceso a dirci che la ricreazione è finita.

Come dicevo, si parla di Brunello, ma pure di altro.