venerdì, ottobre 31, 2008

L'organo ufficiale


Probabilmente questo blogghe si candida a diventare l'organo ufficiale di Porthos, giacché il post che sto scrivendo contiene solo una lunga serie di rimandi all'ultimo numero uscito. Sono letture ponderose quanto basta (sennò che Porthos sarebbe) quindi tenetevele per i momenti d'ozio del lungo finesettimana che si appressa. Il fatto è che i pezzi che vado a linkare sono tutti, per varie ragioni, imperdibili; mi rassegno alla mia funzione di passacarte porthosiano, pensando che poteva andarmi peggio, potevo finire cassiere all'Ipercoop.

giovedì, ottobre 30, 2008

Metallo pesante


[Ovviamente l'immagine non c'entra alcunché col post, col vino, eccetera]

Cominciamo dalla cattiva notizia: i soliti solerti scienziati rilevano nel vino la presenza di metalli, in misura eccessiva, del genere cancerogeno o foriero del morbo di Parkinson, per dire. Specificamente, fissata una soglia di rischio pari a 1, hanno rilevato livelli tra 30 e 40 in vini rossi o bianchi, consumando la misura ipotetica di un bicchiere di vino (25 cl.) al giorno. Esisterebbe pure una distribuzione geografica dell'incidenza, per cui i vini "from Hungary and Slovakia" sarebbero quelli messi peggio; seguono, quanto a pesantezza metallurgica, i vini di Francia, Spagna, Germania e Portogallo. Ma ecco la buona notizia: solo i vini provenienti dall'Italia (e dal Brasile e dall'Argentina) mostrano incidenza di metalli sotto il livello di rischio.

[Update del mattino: Alder è scettico; tra l'altro, rileva: "This story originated at the pinnacle of respectable journalism that is WebMD (their top topics this week include penis enlargement)"]

sabato, ottobre 25, 2008

In bacheca

Piccolo avviso: nella giornata odierna l'enoteca è chiusa; l'enotecaro è impegnato nel battesimo dell'amata nipotina. Ci si rivede, e scusate l'assenza.

giovedì, ottobre 23, 2008

Maturità


Il prelievo da scaffale di qualche sera fa è servito a misurare lo stato evolutivo di una piccola partita di Cabreo Il Borgo che ho a magazzino; è un'annata 2000, quindi in una fase di maturità che presumevo non troppo avanzata, ma comunque rilevante; insomma, andava testato. Si è trattato di un assaggio significativo, per vari motivi; il primo, forse, consiste nel fatto che questo rosso toscano è un uvaggio di Cabernet Sauvignon al 30%, e per il restante 70% è Sangiovese: si tratta, cioè, di un matrimonio da molti criticato, una specie di unione impura che stipicizza il Sangiovese a favore di un piglio modernista tipico del Cabreo e di mille altri uvaggi toscani che rientrano nei parametri descritti dal termine supertuscan: legno piccolo, estrazione cromatica, morbidezza, californication, e via modernizzando. Data la caratterizzazione global del concetto enoico, questo è il classico vino da dibattito; tra gli elementi criticabili di tali release c'è spesso la longevità, che non sembrerebbe essere il punto di forza quando la piacioneria immediata è in definitiva la cifra qualificante: da giovane sono giuggiolone e succulento, da maturo bah, chissà. Quindi, ribadisco: l'assaggio già si preannunciava interessante. E comunque, l'aspetto centrale in questi assaggi resta sempre, a mio modo di vedere, l'imprevedibilità del decorso: lo stato evolutivo sulla maturità è spesso inaspettato, scarsamente prevedibile; la bottiglia matura assomiglia alla scatola di cioccolatini di Forrest Gump, non sai mai cosa c'è dentro. Inutile dire che trovo in tutto ciò notevoli elementi di fascinazione.

Il colore è stato il primo punto di forza, credo: assai vivido, con pochissimi cedimenti. Ancora gioviale e giovanile, direi. Olfattivamente l'apertura era dichiaratamente terziaria, con la bella serie di note tostate (caffè e cacao) in prima fila a fare la parata, e la frutta appena nascosta; il godimento maggiore è arrivato con le sensazioni di cuoio, ma soprattutto di foglia di tabacco: sensazioni niente affatto stanche, ma rinfrancanti, caratteriali, eloquenti della maturità raggiunta con successo e con un discreto stile. Un vino forse al culmine della sua vita - e qui sarebbe ammissibile la critica: "ma come, dopo solo otto anni siamo al capolinea?" - ma in realtà il capolinea pare lontano: in bocca ha saldezza acida, solo i tannini si mostrano levigati e assai meno duri del previsto; ma questo favorisce l'armonia, il palato è armonico e segnato da una certa setosità; anche qui, volendo trovare un elemento critico potrei indicare (quasi conseguentemente) la mancanza di imponenza, di elementi asfaltanti. In conclusione l'assaggio ha notevoli punti di piacevolezza, è il genere di test che amo protrarre a lungo, tra olfazioni e riassaggi: lo stato evolutivo è pronto, ma il vino non è al termine delle sue potenzialità. Punteggio: 87/100.

Considerazioni finali. Il produttore è tutt'altro che piccolo, la famiglia Folonari risale attraverso generazioni di veri industriali del vino (potete dare al termine l'accezione che credete). Tra le griffe aziendali c'era la stessa Ruffino, per dire. Ciò premesso, alcune realizzazioni del gruppo continuano a sembrare notevolmente significative, e con un bel rapporto prezzo/prestazioni; l'universo del supertuscanesimo è costellato di vinoni che costano il doppio, o il triplo, rispetto ai 34 euri di Cabreo, magari restando sugli stessi punteggi centesimali.
Terminiamo con una bella orgia di duepuntozerismo: di seguito l'assaggio performato da Andrea sul ben più maturo Cabreo 1985.



E, apoteosi finale, un Carosello Folonari: anni '70, e tappo a vite: troppo avanti!

mercoledì, ottobre 22, 2008

Oggi ho visto una cosa

Oggi ho visto una cosa che, per qualche motivo difficile da spiegare, mi ha fatto stare bene.
Dunque, si tratta di questo; ero sulla via di casa in sella al centauro e passando davanti ad un bar vedo un tipo, sulla porta, che si sbraccia a salutarmi, con in mano un panino; rallento e restituisco il saluto, e lo riconosco: è un venditore del mio enomondo, un rappr (rappresentante). Proseguo e, buttando l'occhio sull'orologio che segna le quattordici, penso: sta pranzando.
Il pranzo frugale di un venditore: in piedi sulla porta di un bar, sotto un cielo piovoso in una giornata freddolina di inizio inverno, mentre la civiltà occidentale sta crollando lentamente. E nemmeno stacca del tutto, perché vede il cliente (sarei io) e lo saluta cordiale. Questo è il genere di venditore che si sbatte da morire, ha iniziato da poco, direi un paio d'anni, e non smette di fare strada: ha raccolto qualche mandato interessante, più due-tre simpatici industrioni che gli consentono di fare volumi di fatturato significativi; ma non smette di darsi da fare, è sempre in giro, lo vedo spesso a piedi, a passo svelto, con una cartellina sottobraccio, jeans e maglione; consuma le suole, ha l'auto ma la posteggia sempre chissà dove, e io lo vedo perennemente a piedi. E' simpatico, mai invadente, quasi umile ("ma conosci quest'azienda? Come lavora?").
Se c'è un Dio che assiste le partite IVA, questo è uno che ce la farà, che supererà questi giorni ingiusti. Ripenso alla sua faccia sorridente, che mi saluta col panino in bocca, ed il pensiero di uno che combatte nonostante tutto mi fa stare bene.

giovedì, ottobre 16, 2008

Bottiglia che sa di tappo (istruzioni per l'uso)

Comunicazione interna: questa enoteca cambia le bottiglie che sanno di tappo, senza troppe menate. La contestazione della bottiglia buchonee è lecita, ovviamente, e di solito accade che io poi mi rimetta alla bontà del produttore, il quale a sua volta sostituisce a me la bottiglia problematica (oddio, ciò non avviene sempre, ma sappiamo che questo è un mondo imperfetto).
La sostituzione tuttavia è sottoposta ad un paio di pre-requisiti, a cui vi prego di attenervi, o voi clientes: e questi sono validi per me, ma pure, direi, per tutti gli altri miei colleghi enotecari.

1. Tenete la bottiglia ed il tappo. Tornare in enoteca mugugnando "quel vino sapeva di tappo" senza avere con voi la bottiglia imputata, ed il tappo, vi costringerà a sorbire gli intollerabili sarcasmi di certi enotecari, senza con ciò risarcirvi del danno. Quando aprite una bottiglia col (mefitico) sentore di tappo, abbiate l'accortezza di metterla da parte, con il tappo stesso. Vi garantirà la sostituzione.

2. La bottiglia non deve essere vuota. Parrà strano, ma tornare in enoteca con la bottiglia del tutto prosciugata, affermando "sapeva di tappo, ma comunque ce lo siamo bevuto - adesso però cambiamelo" vi riporta alla condizione del punto 1: no joy. Ironia a parte, a me serve constatare il sentore di tappo sia nel vino che nella chiusura di sughero; entrambi gli elementi devono essere verificabili.

Ed infine, un piccolo consiglio logistico. La sensazione sugherosa e fastidiosissima del tappo è una specie di spada di Damocle, pende su ogni bottiglia e purtroppo non c'è nulla da fare; tralascio il discorso relativo al perché e percome (googlate un po' pure voi, pigroni); vorrei, ora, consigliare un espediente facile facile. Mettiamo che abbiate preparato la vostra cena ideale con gli amici (o l'amica) - tutto è pronto, perfetto e ritualizzato al punto giusto; e stappando il vino, il malefico tappo annulla ogni piacere. Che fare? Semplice: tenete, sempre e comunque, una bottiglia di riserva, pronta per l'evenienza.

[Della sostituzione da tappo già scrissi, ma repetita iuvant]

sabato, ottobre 11, 2008

Sì, stavolta si parla di borsa

[I link relativi a questo post stanno tutti in fondo; il perché te lo spiego poi]

Alcune notti l'insonnia sembra fatta apposta per mettere in ordine le idee del giorno. Il giorno trascorre leggendo le notizie che leggete tutti (le leggete, sì?) poi la notte ripensi a cosa questo significhi per te, in che modo tu possa essere incastrato in quelle meccaniche.

Ora ci dicono che bisogna riscoprire l'etica. Ogni battuta è lecita, compresa quella "e io, quandomai l'ho persa?" - soprattutto, ci spiegano che l'economia deve basarsi su elementi reali e non fittizi, cartacei. Ancora: e che altro facciamo, noi? E dico "noi" intendendo il magma di genti che lavorano nel mio settore; un settore produttivo, contadino, connesso a fatti naturali, visibili, verificabili nella quantità e nella qualità; un settore di eccellenza, si dice, che genera beni non riproducibili in modo seriale, quindi speciali, quasi unici, difficilmente imitabili. Perfino nel comparto vitivinicolo più chiaramente industriale gli operatori devono sottostare, piaccia o no, ad elementi naturali. Questo è un mondo antico, fatto ancora di parole, strette di mano che si fanno per sentire le durezze sulla pelle, sguardi; cose che c'erano prima di me, e che continueranno dopo di me. Quindi, coerentemente, ora che mettete in galera i direttori di banca, darete il potere agli enotecnici, giusto? Vediamo se ci ho preso.

Questa specie di disordinata porta dimensionale che è la Rete non conduce attraverso corsie chiare, assomiglia piu' al Bateau ivre. Io non so bene come mai, ma sono capitato, stanotte, sulla home della cantina (cantina si fa per dire) di Petra. E Petra rappresenta quasi tutto quello che mi lascia indifferente circa il mio mondo; sfarzo, lusso, supertuscanesimo eretto a sistema, sito in flash, ultimo aggiornamento 2006, nessuna interattività, sbrodolamento autoreferenziale, Oliviero Toscani, brochurismo, architetto famoso (badate, potrei andare avanti per una pagina intera). Petra rappresenta un'idea di vino che mi annoia, mi stressa pure un po', mi evoca target di vendita, business plan, pierre, eliporti e fighettodromo, fuffa insomma; e - attenzione - mi sto riferendo unicamente al piano formale; non ho idea del livello qualitativo di quei vini, non ricordo assaggi significativi: forse qualcosa all'ultimo Vinitay, colpa di Andrea. E comunque, il mio anarcoinsurrezionalismo enoico basta a farmi scoprire il canino, peggio di Billy Idol, ogni volta che incrocio queste robe.

Il fatto è che saltando da un link all'altro, fino allo sciagurato Andana, ma avendo in testa le premesse scritte quassopra, un tarlo ha cominciato a rodermi dentro, come per dirmi: smettila di giudicare. Ho cominciato a cercare notizie sulla famiglia Moretti - vabbe', già sapevo, Bellavista, Albereta, ma volevo le facce, le storie. Anche se quel che ho trovato non è definitivo, ho fatto abbastanza pace con quest'idea di vino esibito; alla fine, condivido con loro un'idea di produttività concreta, difficilmente falsificabile, che - spero - non si presta a troppe cartolarizzazioni. Condivido un'idea di produzione nazionale basata sull'eccellenza del territorio e di molte persone che inventano, elaborano, fanno il fatturato e magari pure il PIL, senza sprofondare nel linguaggio vomitevole di pattichiari.it (ci siamo capiti, credo). Soprattutto credo che in un momento di totale incertezza come questo, sia giusto identificare chi mi (ci) assomiglia, e chi invece continua a prendermi(ci) in giro.
Se tutto va bene, il mondo lo salviamo noi.

Ed ecco, come promesso, alcuni linx:

Le bateau ivre, insomma il battello ebbro, la poesia di Rimbaud, conosci...
La home di Petra
E già, colpa di Andrea, assaggiai con lui qualcosa, di Petra
Billy Idol che scopre il canino, fondamentale
Intervista a Francesca Moretti, thanx Teatro Naturale
Andana, sciagurato per modo di dire, che poi ne vorremmo sciagure così
Patti chiari, quei bei tipi che mezz'ora dopo il fallimento Lehman han deciso che le loro obbligazioni non erano mica tanto a basso rischi
o.

I collegamenti stanno qua, disgiunti dal resto, per non interrompere il flusso creativo. E chi coglie la citazione, vince la mia sempiterna simpatia.

mercoledì, ottobre 08, 2008

In questo post non si parla di borsa

Il mondo sta lentamente sprofondando in chissà quale baratro; prima del botto finale, ieri sera ho prelevato dallo scaffale una new entry tra le bollicine francesi, il Brut Idéale Cuvée di Abel Lepitre. Benché appunto ovunque si odano sinistri scricchiolii di cedimento strutturale, qui a bottega ci stiamo attrezzando per le vendite - ed ora ci starebbe bene la metafora del Titanic e dell'orchestrina che suona. Un po' abusata ma sempre efficace.

Vabbe', scacciando i pensieri neri, convinti pure che abbia ragione Antonio, ecco qua la spuma esorbitante nel bicchiere; perlage forse non dei migliori (bollicina appena un po' troppo ciccia per i miei gusti delicati) e naso, appena aperto, non ampio. Questo sembra il classico vino che necessita di qualche minuto nel bicchiere per mostrare le sue qualità aromatiche. E difatti, dopo poco, ecco uscire note tostate, estremamente belle, di nocciola e mandorla, direi; olfazione croccante, godibile, di grande soddisfazione. In bocca mostra finezza ed eleganza, è sottile, dichiarando la sua preferenza di abbinamento a piatti delicati, come ideale apertura di un pasto; l'assemblaggio di Chardonnay, Pinot Noir e Meunier è in proporzioni uguali, e la maison fa confluire un 20% di vini riserva nella cuvée. 80/100, e ne berresti ancora.

[Fotina lietamente prelevata in questo post di VG]

sabato, ottobre 04, 2008

Indignodromo a paletta (ed un capro espiatorio)

Urge dichiarazione, the day after il match Ziliani-Rivella; sul quale tornerei con altri sbrodolamenti digitali, vista la massa di enormità profferite dal signor Rivella - per inciso, una delusione pazzesca, quest'uomo, mai sentiti argomenti così poveri, in compenso espressi in tono di rara arroganza - ma appunto, su questo tornerei quando qualche anima buona metterà online i video, e potremo linkare copiosamente, anche per non indulgere troppo nel mood ombelicale; siam qui per comunicare, com'è noto.
Orbene, la dichiarazione, si diceva. Ecco, dato che il Rivella afferma di far "vini che piacciono, quelli premiati dalle guide" (virgolettato mio, ma le parole potrebbero essere diverse; non la sostanza) questo blogghe, almeno quest'anno, ignorerà pervicacemente ogni chiacchiera relativa a trebicchierati, cinquegrappolati, polistellati ed altre garrule classifiche guidaiole. Le guide siano capro espiatorio di tanta roboanza.

[Update: Filippo pubblica la prima parte del filmato, qui]
[Update #2: ecco qui il filmato completo. Tre intense orette; i popcorn non li abbiamo, magari al prossimo update...]