lunedì, dicembre 31, 2018

Notizie che nessuno ti dirà mai: è finito un altro anno

Adesso che ho spento le luci e chiuso le serrande, accendo l'ultimo sigaro in ufficio e metto in ordine le ultime carte. La sera del 31 dicembre in enoteca è tutto rituale, resto qui a vedere che succede, e mi prendo il tempo per pensare a quel che è successo. Potrei andare via prima - ogni anno mi dico, il 31 pomeriggio non lavoro, che diavolo. E poi ogni anno resto qui, accanto alla mia creatura fino all'ultimo - perché questa è la mia enoteca, una mia creatura.

Me ne vado sentendo una canzone che mi si è infilata in testa, tratta dalla scena del film che vedete qua sotto. The ballad of Buster Scruggs è uno strano western, e non c'è modo di raccontarlo senza spoilerare quindi siete avvisati. È la scena di un finale di partita inaspettato, uno dei due pistoleri cade a terra morto e non doveva andare così. È una sorpresa, brutta per quello che cade, brutta per chi guarda, e ti mette davanti per l'ennesima volta al fatto che ti devi aspettare l'inaspettato.

Soprattutto, non passerà molto tempo, e ti ritroverai (inaspettatamente) a cantare la tua ultima cowboy song.

Let me tell you, buddy
There's a faster gun
Coming over yonder
When tomorrow comes

Let me tell you, buddy
And it won't be long
Till you find yourself singing
Your last cowboy song

giovedì, dicembre 27, 2018

Dieci assaggi memorabili. Sì, ecco un classico post di fine anno

Si può finire l'anno in due modi: fare un bilancio degli eventi e buoni propositi per l'avvenire, oppure elencare dieci assaggi memorabili del 2018. A me quest'anno andava di gran lunga la numero due.

Anche la classifica dei dieci non è esattamente una top ten di etichette - semmai è un elenco di aziende interessanti, con magari un assaggio specifico che ha brillato più di altri. In fondo anche l'idea di classifica si smaterializza. Alcuni di questi vini li vendo, altri non li vendo perché li ho esauriti, altri non li vendo perché (ancora) non li ho comprati, e questo più che un disclaimer è un fatto.

L'ordine non è in base alla preferenza, ma in base a quanto velocemente mi sono tornati in mente, essendo io affezionato al famoso "la cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto" - che ho sempre opposto alle scene mute che facevo durante le interrogazioni a scuola, senza successo, ma siccome mi piace tiro sempre fuori la citazione.

1. San Cristoforo, Franciacorta 
È un po' che li tengo d'occhio, e il riassaggio del loro Brut, ma pure del finissimo millesimato, mi confermano l'idea di franciacortino di riferimento. Buoni, eleganti, di bella personalità. Bravi insomma.

2. Andreas Berger, Alto Adige 
Ho notato che non esiste un vino di questa azienda (Thurnhof) che sia, semplicemente, sotto il livello dell'eccellenza. Potrei dire del loro Moscato secco (fermo) 2017, piccolo capolavoro, e farei un torto a tutti gli altri. Vabbe'. Per me cult.

3. Vis Amoris, Liguria 
Qui più che il loro Pigato, la sua derivazione metodo classico. Le bollicine in Liguria per me restano un fatto difficoltoso, qui invece ho cambiato idea all'istante. Esiste anche una versione sur lie, col fondo, insomma quella cosa là ancestrale, ci siamo capiti. Ottimi livelli pure lì.

4. Garnier, Borgogna 
Durante l'ultimo corso avevo inserito il loro Chablis 1er Cru, e capirai, è stato come vincere facile. Invece qui memorizzo il loro Pinot Noir Epineuil 2015, che è - come dirlo in modo non riduttivo? un Borgogna base, ma io direi basilare. Fruttini accennati, stile e trama, godevole e succoso.

5. Tenuta Belvedere, Oltrepò Pavese 
Io credo che la Bonarda, quella frizzante, dovrebbe essere salvata dal destino di vino triste da supermercato. Ci riesce Gianluca Cabrini con questo 2016, un campione delizioso di piacevolezza bevibile, poi zero solfiti aggiunti che fa molto figo ultimamente.

6. Miotto, Veneto 
Tra tanti prosecco a rifermentazione naturale, con il doveroso tappo metallico e il fondo, questo Profondo si piazza fisso nella memoria, e nella voglia di berlo e riberlo - pure troppo, l'ho venduto tutto e a me non ne resta, ma che ho combinato? Accidenti a me.

7. Weingut Am Stein, Franconia (Germania)
Poi giuro la smetto con i rifermentati naturali, ma questo Pure & Naked, pet-nat (petillant, naturale), è un capolavoro di memorabilità, anzi vorrei riberlo circa domani (a trovarlo: assaggiato durante una fiera). Leggiadro come una piuma e nello stesso tempo col cipiglio germanico. Comunque lo struggimento è tanto che gli dedico la foto del post.

8. Dettori, Sardegna
Sì va bene il loro Chimbanta, va bene l'Ottomarzo, ma pure il Tenores. Io quest'anno memorizzo il Renosu bianco, un colpo al cuore di sale, mare, erbe aromatiche, ma che ci hai messo là dentro? E questo sarebbe il loro bianco cadetto. Ma avercene.

9. Terre Bianche, Liguria
Cos'è che mi piace di più nel Rossese di Dolceaqua? È perché è ligure? È perché è teso e leggiadro? Sono le spezie, il marino, è perché è un vino di montagna? È perché parte piano poi si svela alla grande, e quando credi di averlo compreso è finita la bottiglia? Comunque parlavo del Rossese 2017.

10. Poderi Cellario, Piemonte 
C'è questa generazione di vini minimalisti, nella bottiglia da litro, col nome pure lui minimalista. Per esempio "È Rosso". E di più non chiedere, bevi e poche pippe. E noi wine blogger allora che dovremmo fare, bere e zitti? Ecco, non sempre: È Rosso mi piace tanto. Va bene come rece minimalista?

Buon anno nuovo, e tutto quanto.

giovedì, ottobre 25, 2018

Smellier, cloudier, juicier, more acidic and generally truer

Leggo solo oggi questo vecchio pezzo di The Guardian, che parla di vini naturali - quasi fosse un wine blog, per attirare click. No vabbe' dai, sto scherzando, si capiva, sì? Guardian scrive di vini naturali a modo suo, e cioè in modo assai rilevante e quindi questa lunga, lunga lettura la mettiamo da parte, perché è un ritratto molto esauriente. Prendetevi il tempo per leggere tutto, se ancora vi mancava.

Guardian riesce anche a dire alla veloce cosa sia un vino naturale, e per questo l'ho adoperato per titolare il mio post: "they tend to be smellier, cloudier, juicier, more acidic and generally truer to the actual taste of grape than traditional wines". Notevole anche l'immagine, che riciclo - una cosa a metà tra lo steampunk e il disaster movie.

sabato, ottobre 20, 2018

Cose da fare a Genova (questo fine settimana)

Anziché spiegare tanto, ecco che annuncia il Tg3 Liguria: è di nuovo tempo di Genova Beer Festival, la meglio rassegna birraria della regione, ma che dico, del mondo - dove peraltro il quipresente vostro si accinge ad abbinare sigari (sul genere toscano) a birre, come da foto, nel laboratorio di domenica sera. Insomma, che aspetti, ci si vede là, sabato sera e domenica all day long.

lunedì, luglio 02, 2018

Il vino croccante, che roba è

Tra i descrittori visionari che usano gli enofili per parlare di vino, il termine croccante sembra più visionario degli altri. Che diavolo vuol dire? A parte questa passione che abbiamo per trovare parole tanto grandiose quanto, ahem, oscure, descrivere un vino a volte diventa una specie di esercizio letterario. Non sfugge però che la letteratura sia un lavoro da letterati, mentre insomma noi siamo quello che siamo. Ma ci piace troppo. Quindi scusate, a volte anche a me scappa di dire "croccante" di un vino.

Cosa intendo io con quello? In sostanza immaginiamo di avere in bocca qualcosa che oppone qualche resistenza, pur essendo sottile. La sensazione di croccantezza è una specie di appagamento sensoriale in sé, e quando un vino sottile, cioè delicato e lieve, ha anche una consistenza golosa, finisce per essere descrivibile così: è croccante. Che poi i liquidi non sono croccanti lo sappiamo tutti, ma appunto qui si indulge parecchio nei toni letterari, a volte troppo. Poi ci pentiamo e chiediamo scusa, poi lo rifacciamo.

Per esempio l'ultimo vino croccante bevuto di recente è il rosé di Poggio dei Gorleri, a nome Bocca di Rosa. Una versione pink dell'uva ormeasco, una specie di parente del dolcetto che scollina dal basso Piemonte e passa le vacanze nella Riviera ligure di Ponente. Questo zerodiciassette nei miei appunti aveva "piccoli frutti rossi, bella tensione, salino nel senso del vento di mare, alla fine un po' di pompelmo rosa". Ci mancava solo che aggiungessi la croccantezza, e olè, abbiamo la descrizione completa.

Prezzo sugli 11 euro, fresco ed estivo. Si abbina con ogni tipo di relax.

lunedì, giugno 11, 2018

Ma a proposito delle birre acide

Birre acide e Sour Festival, quello di Reggio Emilia. In proposito vale quel che scrivevo un anno fa, un anno è passato e niente è cambiato. Comunque qui c'è il racconto aggiornato di Thomas, e per il resto c'è la colonna sonora di quei due giorni di devianza. Adesso torniamo alle fiere vinose, sì.

mercoledì, maggio 30, 2018

Parabole monetarie

Di là, dall'altra parte, cioè su quell'altro blog che curo come una creatura, ritorno a parlare di soldi, elencando alcuni motivi per i quali non è giusto considerare il vino come un bene "costoso" in sé. Il prezzo del vino in realtà è basso, spesso bassissimo. E allora, come mai alcune bottiglie finiscono per avere certi prezzi? La domanda contiene un indizio sulla risposta: "alcune".

Alcune sono costose: spesso sono esattamente quelle oggetto del nostro desiderio. Quindi si innescano facili meccanismi di domanda, offerta, e il mercato, e lo spread (ecco, non volevo dirlo, ma c'è scappato).

Poi c'è anche la parabola del buon produttore, che è un argomento riciclato dalle mie chiacchiere in enoteca.
C’era una volta un buon produttore di vino: immaginate di essere lui. Da circa un ettaro di vigna produceva un ottimo rosso, in una tiratura limitata. Diciamo – per fare un esempio – cinquemila bottiglie. Certo sono poche (da quello stesso ettaro Tavernello tira fuori tre volte tanto) ma ve l’avevo detto, quel vino è ad alto livello, poi le vigne sono vecchissime, scarsamente produttive, eccetera. Mette in vendita la prima annata prodotta a 5 euro più Iva la bottiglia. Per un vino così, garantisco, è un prezzo assai basso, e il nostro buon produttore vende tutto entro l’estate successiva alla vendemmia. Al punto che si rende conto, dovendo rifiutare tutti gli ordini successivi, che forse ha sbagliato qualcosa: ha sbagliato il prezzo di uscita. 
L’anno dopo non si fa trovare impreparato. Lo stesso ottimo rosso esce a 7 euro più Iva. Aumento considerevole, eppure succede un fatto strano, quasi come l’anno precedente le scorte si esauriscono a ottobre – e il nostro buon produttore passerà il suo tempo a scusarsi coi clienti vecchi e nuovi che riordinerebbero volentieri, ma per loro non c’è più nulla.
Insomma, arriva la terza vendemmia, e stavolta il nostro vigneron parte deciso: si vende a 10 euro più Iva. Che diamine, ormai è raddoppiato, come il suo fatturato, ma almeno così sarà disponibile fino alla vendemmia successiva. E invece no: entro Natale è tutto esaurito. Cos’è successo? Ancora una volta, il buon produttore ha sbagliato il prezzo di uscita del suo vino.
Ora che la parabola è finita, ci chiediamo (e vi chiediamo): voi, al posto suo, che fate l’anno dopo? Chiaro che questo gioco non potrà ripetersi all’infinito, presto o tardi il buon produttore troverà la cifra di mercato adatta al meccanismo della richiesta relativa all’offerta – però insomma, avete capito.

giovedì, maggio 17, 2018

L'assaggiatore confuso

Quando mi chiedono "tu che mestiere fai", se sono nel mood zuzzurellone rispondo "l'assaggiatore di vino". Che è uno dei lavori che faccio, ma hey, suona sempre così bene. Sulla carta d'identità c'è scritto "commerciante" e in effetti quello sono, ed essere assaggiatore di vino è collegato alla mia funzione di venditore di vino. S'era capito, va be'. Comunque avrei potuto rispondere anche in modo più cazzaro, se ero dell'umore (e lo sono spesso) tipo "content manager per intravino dot com", che è vero pure quello. Potevo pure fare peggio, dire "autore", "critico enologico", "blogger" (oggesù) ma per la verità resto un commerciante. Ultimamente mi piaceva dire bottegaio ma anche questa parola se la sono presa quelli più cazzari di me, i canali della grande distribuzione o altri luoghi alienanti di cui non farei il nome (Eataly), quindi adesso ritorna in voga commerciante. Io sono tutte quelle altre robe là, ma da vero commerciante ho appena finito di spazzare la strada qua fuori l'enoteca (a proposito, signora del piano di sopra: la finisce di buttare pane ai piccioni?) e adesso metto i panni del social media manager di me stesso. Confusi? Sapeste io.

E a proposito di lavori, questo periodo è denso di impegni. Sto ultimando le schede per la Guida Essenziale, (io curo la Liguria), e intanto ci sono numerose fiere di settore data la stagione favorevole. Passo gran parte del tempo a scrivere cose come "giallo paglierino brillante, naso ampio e fragrante tra i fiori di campo, agrumi e salvia, in bocca ha tensione e morbidezza, lungo sulla viva traccia salina a dare equilibrio" (e indovina la denominazione).

Agli assaggi per la guida fanno da contraltare, in alcune fiere, gli assaggi di vini molto caratteriali, e variamente declinati sull'imperscrutabile protocollo del vino naturale - che nessuno sa cos'è, tant'è che molti produttori di vino naturale negano di produrre vino naturale. Confusi? Sapeste io. Sia come sia, da assaggiatore quale sono, allineato e pettinato, tutto precisino sui descrittori canonici dell'accademia dell'assaggio, ormai sono scisso. Ieri avevo nel bicchiere un bianco che adoro, ma purtroppo (o per fortuna) totalmente estraneo ai descrittori dell'accademia. Si ripete, per l'ennesima volta, il fatto a lungo descritto anche nell'ultimo corso tenuto qua a Genova: il vino naturale non è irregimentato nei canoni. Tutto è anarchico, tutto quanto sapevamo è inadeguato a contenerlo, siamo in terra incognita, mare aperto, siamo allo sbando, insomma arrangiatevi. Confusi? Eccetera.

La confusione, il sentirsi sperduti, è attenuato solo raramente da qualche tipo di luce in fondo al tunnel, quando per esempio assaggio un vino da guida perfetto (e infatti è nella guida), che peraltro ritrovo in rassegne sui vini naturali. Come a dire che una composizione, un equilibrio forse è possibile, forse ce la faccio a farcela. Resto confuso ma con una speranza.

venerdì, aprile 27, 2018

Una volta, nei blog

Una volta, nei blog, c'era il blogroll, cioè una lista di altri blog che l'autore leggeva, e consigliava. Questo blog che leggete adesso ne ha ancora uno, a riprova del fatto che è arcaico. Poi, una volta, ogni tanto, si parlava di un altro blog perché il blogroll da solo non bastava, e bisognava dire due parole in più.

In questo post che leggete adesso succede esattamente quello: Una Birra Al Giorno è da molto tempo una delle mie letture preferite. È un blog molto classico, è tenuto in modo encomiabile, con competenza profonda, attenzione, ed è una specie di miniera inesauribile di dati se uno vuole sapere qualcosa del birramondo, che è sterminato e profondissimo. Non so chi sia il gestore, non dice quasi niente di sé e pure questo è molto proto-bloggish, in fondo un tempo eravamo tutti un po' meno ombelicali. Ci andava solo di raccontare cose.

Avrei potuto segnalarlo molto tempo fa, ma oggi leggendo questo post, che forse è solo un po' più intimo di altri (mi pare, è una sensazione), è tornato in me quell'antico spirito di condivisione. Che è anche un modo di ribadire un concetto: un certo modo di essere blogger never dies.

venerdì, aprile 20, 2018

Vinitaly 2018 in immagini e appunti sparsi


Cosa hai trovato alla Fiera? È la domanda normale, di ritorno da Verona, che i clienti fanno all'enotecaro. Va così, è sempre tutto molto antico e moderno assieme, si va al mercato e si ritorna con cose buone - più che altro, da subito, con appunti, foto, tutto mescolato, col bisogno di mettere in ordine. Quindi proviamoci.

Un altro Vinitaly utile, direi. Molti assaggi as usual, molte occasioni di incontro, studio, approfondimento, che quasi un po' mi manca, quella bolgia. No vabbè, diciamo folla, che pare meglio.

Un bel po' di tempo l'ho impiegato nei primi assaggi per la prossima Guida Essenziale, in Liguria. E anche stavolta belle sorprese, come per esempio questa doppia versione di Pigato di Biovio - la prima sul genere macerato, a contatto con le bucce, niente affatto male, ma così distante dal più preciso Bon in da Bon (stessa annata, 2017). Stesso produttore, stessa vigna, risultati opposti: non ci si annoia proprio mai.


Giovanna Maccario coi suoi Rossese di Dolceacqua non sbaglia mai, mai un colpo. La cosa di gran lunga più difficile è sceglierne uno, tra questi. Che in effetti uno si chiede: ma perché scegliere, li berrei tutti. Extra bonus, a Dolceacqua il Rossese Bricco Arcagna 2016 di Terre Bianche risulta, nei miei appunti, il punteggio più alto mai dato. Direi che non serve dire altro.


Girando tra i produttori della mia regione capita anche di trovare affiancati Lunae e Parma, due produttori che più distanti non potrebbero essere, dal punto di vista dello stile - eppure eccoli qua, vicini vicini. Forse una metafora della mia voglia di avere tutte e due i piaceri possibili, dipende da come ti va in quel momento, da cosa ti va di provare. Fiero e serissimo il bianco di Parma, morbidone e tropicaleggiante quello di Lunae. Appunto, è un mondo vario.


E infine un altro classico inossidabile, il Baccan di Bruna alla prova della vendemmia '16, un Pigato che ormai è un'istituzione (ma provatelo dopo qualche anno di vetro, e saranno altre meraviglie).


Saltando fuori dal guscio localista, in Puglia gli assaggi di Vinicola Savese sono un altro fatto rilevante, del genere da mettere in lista per i prossimi acquisti: possenti, fruttoni, muscolari (eh sì, a me piace il genere).


Una modalità tipica, inevitabile direi delle fiere veronesi, è saltare di palo in frasca. Per cui segnalo gli Champagne di 1492 Coloniale (distributore, gruppo Timossi). Ogni versione di Esterlin, dal Millesimato al Rosé, erano encomiabili. Bel lavoro, ragazzi.


E sempre a proposito di distribuzioni, il gruppo Area 6 tra le molte cose assai buone aveva PutzenHof, un altoatesino che finisce immediatamente nella lista di cui sopra, quella "vini da comprare" cioè. Delizie specifiche: sauvignon e pinot bianco. Fantastici, davvero.


Vinitaly significa anche seminari, assaggi guidati: come questo, curato da Monica Coluccia, sui bianchi irpini.


Ma la trasferta veronese significa anche fiere satelliti, cioè quelle fiere che prima del (e attorno al) Vinitaly sono un vero e proprio tour alternativo. Villa Favorita resta la mia preferita - dove per esempio ho trovato formidabili i vini di Nevio Scala (quello famoso, sì), primo tra tutti questa garganega.


Forse a Villa Favorita uno dei test più interessanti è stata questa degustazione tenuta da Gianpaolo Giacobbo, sui vini a zero solfiti alla prova del tempo, in media con dieci anni di affinamento. La sorpresa è che sì, reggono eccome. Per me l'assaggio memorabilissimo è stato il secondo vino, il Prosecco a rifermentazione naturale di Casa Belfi, semplicemente indimenticabile per il profilo complesso e sì, ora lo dico, minerale. Buono oltre ogni dire.


Ma tornando a Vinitaly, altro da segnalare è il Barricadiero 2015 di Aurora, assaggiato nell'enclave del Vivit (i naturali bioqualcosa), che per me è nella sua versione migliore da sempre. E siccome questi migliorano di anno in anno, ho già voglia di sentire il prossimo.


E insomma, potrei dire che è quasi tutto qui, ma ovviamente no. Ci sarebbe infinitamente di più da dire, ma appunto questo è un post di servizio, anzi di auto-servizio, ve l'avevo detto che devo fare ordine negli appunti. Gli assaggi e le occasioni di incontro a Verona sono innumerevoli, e anche off topic, come l'ultima foto che vedete qua sotto. Altro indimenticabile.






mercoledì, marzo 14, 2018

A Ovada è in corso una rivoluzione, alquanto pacifica

Riprendo qui, di nuovo, un passaggio dall'ultima newsletter. Riguarda un'azienda che è entrata di recente a listino in enoteca. A Ovada in effetti è in corso una vera e propria rivoluzione, i produttori nuovi, e determinati a riconquistare quote di mercato, usano volentieri l'hashtag #ovadarevolution. Ma è una rivoluzione molto pacifica, e chi ha, come me, legami un po' personali con quel territorio, è ben felice di assistere. E di assaggiare le loro cose, anche.

Il terroir ovadese è da tempo al centro di una rinascenza esaltante. Da quelle parti il dolcetto, un'uva da vini quotidiani, ma pieni di carattere, dopo un periodo un po' opaco sta ricominciando a esprimere cose in grado di sorprendere - grazie ad aziende che sono decise a produrre vini definitivamente convincenti, avendo come vicini-concorrenti aree già affermate (pensiamo a Dogliani, o all'albese). In una configurazione del genere, cioè quando produci un vino dove altri hanno già dimostrato di essere molto bravi, hai una sola via di uscita: o ti danni l'anima a fare vini rilevanti, o semplicemente sei morto. A Ovada sta succedendo la numero uno che ho detto.

A questo si aggiungono elementi di ordine personale: l'ovadese è una zona che conosco abbastanza bene, una delle prime dove ho camminato le vigne (la perifrasi l'ho presa a prestito da Veronelli). È inoltre un'area storica di fornitura di vini rossi a Genova - siamo a 50 minuti d'auto dalle vigne, per dire: Ovada è ormai periferia di Genova, è un satellite, una propaggine, ai tempi della repubblica genovese sarebbe stata roba nostra insomma.

Ce n'è abbastanza per avermi fatto sposare un progetto nuovo: distribuisco, come grossista, i vini di Rossi Contini, che dell'ovadese abita le terre bianche della storicissima collina di San Lorenzo. E inoltre quei vini stanno in vendita disponibili per tutti voi, quindi accorrete numerosi, perché un rosso formidabile come quel dolcetto annata 2016 si aggira sui dieci euro, e dopo direte: mai più senza. 

martedì, febbraio 20, 2018

La mia idea di corso di degustazione

Questa cosa qua sotto l'ho scritta nell'ultima newsletter, quindi chi l'ha ricevuta già sa di che si parla - peraltro, non hai ancora sottoscritto la newsletter della mia bottega? Suvvia, do it now.

Comunque. Serve per raccontare il mood del corso di degustazione prossimo venturo, e l'ho descritto in questi termini. Mi piaceva ribadire qui il concetto: il corso che andiamo a presentare è fatto così:

1. Si bene molto bene. Se vedete la lista dei vini della scorsa edizione vi fate un'idea, ma se non conoscete (ancora) etichette a quei livelli potete stare certi che con noi non si bevono vini didattici - nel senso di tristi e utili solo a fissare i parametri in basso. La nostra idea di assaggio è bere cose elevate, per soffrire c'è sempre tempo.

2. Non ci si annoia. Va bene l'enologia, la scienza, la rava e la fava, ma insomma vino è convivialità, piacere, sorrisi e risate e cose belle. E allora narriamo storie e storielle, e rivelazioni, pettegolezzi, segreti inconfessabili, ma davvero: cerchiamo di non addormentarvi.

3. Si impara ad assaggiare. Sul serio, eh: ogni sera almeno 4 vini in degustazione cieca, come fanno quelli bravi - perché quello diventerete, enofili bravi. Critici, attenti, e nemmeno del genere stracciaballe.

4. Vi diciamo quello che gli altri non vi dicono. Per esempio, i vini naturali: ma che roba è quella? Esistono? Sono bevibili? Come si assaggiano? Ed altre domande esistenziali.

5. È un corso a due voci. E a quattro mani: io e Pietro ogni sera ci dividiamo i compiti e gli argomenti (lui le cose serie, vabbe'), quindi un corso abbastanza inedito, e completo, pure sotto questo aspetto. Qui ci starebbe la battuta sui due gusti is meglio che uan.

Le iscrizioni sono aperte, e il costo del corso è di 250 euro.

venerdì, febbraio 02, 2018

Un altro corso è possibile, il ritorno: arriva la seconda edizione

Fermate le rotative: sta succedendo davvero. Il vostro quipresente enotecario, e Pietro Stara - la colonna genovese di Intravino, cioè - stanno preparando la riedizione del corso di assaggio a Genova, uguale a quello andato già in scena lo scorso autunno. Stiamo tornando: idealmente si pensava di replicare dopo l'estate, ma abbiamo già richieste (e iscritti!) al nuovo "un altro corso è possibile" edizione 2018, quindi segnatevi le date:

- martedì 13, 20, 27 marzo
- martedì 03, 10, 24 aprile

Location solita, ore 20,30, Soul Note Cafè in via Cesarea a Genova, (si stava comodi là). E questa è solo un'anteprima, presto arriveranno i dettagli. Però adesso sapete, e sapete che fare: accorri numeroso.

Iscrizioni e tutto quanto serve: fiorenzosartore@gmail.com

sabato, gennaio 27, 2018

E anche questo VinNatur Genova 2018 ce lo siamo messo via

Lo dice laggente, e chi sono io per dire il contrario? Anzi, io veramente l'avevo detto dal primo giorno: VinNatur Genova, 2018 edition, è andato decisamente molto bene. Nel senso di meglio del precedente, quanto a livelli generali dei vini assaggiati. Laggente che incontravo, tutti insomma, dicevano uguale. Quindi sì, siamo contenti. Tralascio ogni dettaglio sulla location siccome io sono local ma soprattutto localista, qualunque fatto che avviene nelle struggenti stanze retrò dei palazzi antichi genovesi per me vale, da solo, il prezzo del biglietto. Quindi bando alle ciance da orgoglio della Repubblica Genovese, e parliamo di vino.


La misura facile della piacevolezza di un vino, per me che sono un bieco commerciante, coincide con un dato di ordine finanziario: se lo compro, vuol dire che mi è piaciuto proprio. Cioè se un vino è in grado di farmi separare dai miei amati euri, vuol dire che il sentimento è serio. Per questo comincio con un'azienda che entra da subito nel listino - perché hey, questo è un wine blog ma è anche corporate, che suona bene per dire che racconto fatti molto aziendali.

Elvira (San Germano dei Berici, Vicenza). Terra di garganega. Quest'uva bianca viene declinata in un luccicante rifermentato col-fondo a nome Garganella (il genio, cos'è), col rigoroso tappo a corona, e genera una bollicina in grado di estinguere ogni sete: note di pera sparatissime, poi generosi agrumi in bocca, insomma mai più senza. Sotto i nove euro la bottiglia. Poi un like va anche al Merlot 2013 con affinamento in legno piccolo, che parrebbe una cosa modernista e invece, taac, non lo è: fruttini rossi alquanto attraenti, più un soffio di inchiostro che fa internazionale ma con garbo. Circa 12 euro. Stesse considerazioni e se possibile maggiore godimento sul Carmenere 2013, solo ad un prezzo un po' più alto, oh nessuno è perfetto del resto.


Altri assaggi rientrano nel genere "non li ho comprati ma li comprerei alla prima occasione", quindi semmai tenete conto.

Io sono particolarmente felice quando mi capita l'inaspettato: per esempio, per la seconda volta in un periodo breve bevo cose di Oltrepò Pavese che mi fanno gioire - forza Oltrepò, hai una gran bella materia, faccela vedere al resto del mondo eno. Tipo Pietro Torti che ha presentato una serie di vini tutti da medaglia, dallo spumante metodo Charmat (o Martonotti, vabbè) che strizza l'occhio sulla morbidezza - e io chiaramente appena sei un po' dolce con me, ci casco. Ottime cose anche sui metodo classico, su prezzi certo un po' più tesi ma vedi sopra. Molto bene la Bonarda '16 della casa, che sta in equilibrio sulla dolcezza del frutto rosso. Questa dovrebbe costare circa otto euro in enoteca.

Texier aveva la solita batteria di vini da applauso. Segnalo la versione 2015 di Chat Fou, del quale potrei dire solo: non vedo l'ora di berlo di nuovo. Ma veramente, ora alzo il telefono e lo ordino, ma che sto aspettando? Intorno ai 17 euro, ma tutti meritati fino all'ultimo cent. Ma quanto sei bravo, Texier? Se leggi questo, ciao, sono un tuo ammiratore.

Reyter, Alto Adige: Rahm 2013 è un lagrein teso, tannico, dove la durezza contrasta elegantemente le spinte sul frutto maturo, scuro, molto scuro, oh ma chi ha spento la luce? No ma vabbè, buono assai. Sopra i 20 euro in enoteca.

Con Furlani (Trentino) si chiacchiera amabilmente del senso del rifermentato in bottiglia come fosse un metodo classico incompiuto (dico io). Una delle sue spumantizzazioni si chiama "metodo interrotto". Ah ma allora vedi, ci intendiamo. La cosa che mi piacerà di più, in quegli assaggi, è la sua rifermentazione naturale di Muller, 2016. Menzione per il Bianco Alpino, un macerato sulle bucce senza annata, un po' ispido ma ugualmente attrattivo. In etichetta reca la cospicua descrizione "affinamento in damigiana". Ecco, questa ancora mi mancava. In damigiana? Troppo avanti.


Domaine de Courbissac, Languedoc, nel sud della Francia tira fuori robe mirabolanti. Uno su tutti, facendo un'ingiustizia agli altri: Roc du Piere 2016 è un rosso che fonde sale-e-pepe e spezie varie, in bocca ha allungo e finezza memorabile. In enoteca dovrebbe stare a 25 euro.

Conferme che passo a bere solo per il piacere di ri-berlo: Grillo Verde 2016 di Dos Tierras (o Badalucco, che dovrebbe essere il vero nome aziendale) è una joint venture di uve, grillo siciliano (come il vigneron) e verdejo, spagnolo come la moglie del vigneron. Italia-Spagna, un bel pareggio. Fresco al naso sulla frutta bianca, in bocca mi entusiasma. Poco sopra i venti euro in enoteca.

Collecapretta (Umbria) ha fatto il solito figurone. Se dovessi scegliere, ecco io direi i rossi (ma insomma è una scelta difficile). Primo della lista Le Cese 2015, denso di amarene e frutti rossi, intenso e godurioso. Ad un'incollatura il Merlot 2015 che spicca per verve tannica sul frutto altrettanto vivido.

Impossibile ovviamente riportare tutto il contenuto dei miei appunti, del resto sei arrivato fin qui senza addormentarti quindi non sfidiamo la sorte. Per giunta 'sto post non è ancora finito, avevo da dire un'altra cosa ancora, eccola che arriva:

Questa fiera, qui, ha svariati meriti, e uno tra molti è quello di aver animato, con giorni di anticipo sulle due date della rassegna, la vita enoica della mia città: è stato bello girare la notte per il centro e trovare continuamente iniziative legate a VinNatur in molti locali dove si versa vino, a Genova. Ed è stato bello rivedere amici arrivati un po' da dovunque, che hanno reso l'atmosfera tipo Verona durante Vinitaly. E insomma, come si dice in modo supergiovane, #bravitutti.

mercoledì, gennaio 10, 2018

Corsi (e ri-corsi). 4 serate di assaggi naturali alla Forchetta Curiosa

Dunque è tutto pronto, o quasi: dal 29 gennaio prossimo, per quattro lunedì di fila, in combutta (o in collaborazione, va be') con La Forchetta Curiosa, tengo un minicorso di assaggi di vini rigorosamente naturali. L'idea è in realtà cercare di capire, tutti assieme, se esiste un protocollo di tecnica di assaggio difforme, quando parliamo di vini naturali (spoiler: io dico di sì). E siccome parlare di vini naturali determina inevitabilmente distinguo e chiacchiere accessorie, avremo un bel po' di cose da dire. Per fortuna tutto questo avviene con i vini nel bicchiere, e soprattutto abbinando qualcosa ai vini, essendo io allievo di quelli che dicono che il vino è ministro della tavola.

Assieme a quattro vini, ogni sera, ci saranno quindi anche alcune preparazioni dalla cucina, a vedere come e cosa si abbina meglio a quei vini. E ci saranno, anche, alcuni produttori con cui parlare. Direi che potremmo divertirci, ecco.

Qui c'è la pagina-evento relativa, su Facebook. Per tutto il resto, info e iscrizioni, fate capo direttamente a Ristorante Osteria La Forchetta Curiosa. Piazza Negri, 5 R (di fronte al Teatro della Tosse) Genova - telefono 010/25.11.289 - mail: info@laforchettacuriosa.com

martedì, gennaio 02, 2018

Metti anche tu un vinaio nel tuo presepe

Appello di Bagnasco per i piccoli negozi: «Salvano dalla piovra dell’anonimato». L'ultimo che arriva a soccorrere i "piccoli negozi" qui a Genova è l'arcivescovo. Non basta ancora. Ci vorrebbe qualcosa di più grosso, che so, lo spirito santo in persona. Oppure gli alieni.

Nella narrazione relativa agli scenari della società contemporanea (scusate la supercazzola, volevo darmi un tono) ci sono alcuni argomenti ideali e ricorrenti, che vengono usati a turno da tutti quanti: la famiglia, per esempio ("bisogna difendere la famiglia, bisogna legiferare in favore della famiglia") oppure la piccola impresa, i negozi di quartiere, che fa tanto bel tempo andato e soprattutto a Natale ricorda vagamente il presepe.

Avete presente il presepe? Dentro c'è il fabbro, il mugnaio, tutti quei bei lavori che rimandano ad un passato idealizzato (più che ideale), bucolico, che fa molto arcadia e quelle cose là. La verità è un'altra, ovviamente: al diavolo il fabbro e il mugnaio, il loro posto, se va bene, è dentro al presepe.

Adesso uno potrebbe chiedere: ma che problema c'è, se pure l'arcivescovo arriva in tuo soccorso? Beh, il problema è solo uno: contrariamente alla narrazione del mondo ideale descritto (stavolta) dall'arcivescovo, la pratica è un'altra, e non ha niente a che fare con quel che si dice. Cioè non esiste, a nessun livello e in nessun modo concreto, un qualsiasi tipo di volontà che faccia seguire, alle dichiarazioni, i comportamenti. Al punto che vale il contrario, ormai ogni volta che leggo "appello per i piccoli negozi" io faccio gesti scaramantici, perché dieci minuti dopo mi arriva un F24 con qualche tassa lunare su servizi inesistenti.

La verità è che i piccoli commercianti di quartiere hanno un unico posto a disposizione, e sta nel presepe, ci vedremo tutti lì. Anzi ora che ci penso l'anno prossimo non faccio l'albero di Natale, faccio il presepe, e ci metto il vinaio, dentro. Sarebbe perfetto.

(Avevo iniziato questo post con "tre vini interessanti assaggiati a Natale" poi ho letto il Secolo XIX e m'è uscito fuori 'sto post qui, i tre vini li rimando alla prossima volta).