mercoledì, gennaio 11, 2023

Intelligenza naturale

Probabilmente sapete già cosa sia Chat GPT, la miglior versione di intelligenza artificiale in grado di elaborare testi e semplicemente chattare sulla qualsiasi. Oggi ci siamo intrattenuti in una simpatica conversazione, e il risultato, direi, non è niente male.

"Il vino naturale è un tipo di vino che viene prodotto senza l'utilizzo di additivi artificiali o conservanti e con il minimo intervento possibile durante il processo di produzione. La fermentazione avviene generalmente con lieviti presenti naturalmente sull'uva, senza l'aggiunta di lieviti selezionati in laboratorio. Inoltre, tali vini spesso non vengono filtrati o chiarificati prima dell'imbottigliamento".

Con Chat GPT si accede facilmente con l'account Google, per chi non ha voglia di ulteriori login. E con il robot uso modi educati, perché quando Skynet prenderà il potere si ricorderà che sono una personcina a modo, e non mi sterminerà.

 

sabato, dicembre 10, 2022

Aprire in caso di panettone


Nel campionato molto stagionale del vino da panettone, questo assaggio recente della Malvasia dolce di Camillo Donati sale agilmente sul podio. Annata 2017, quindi un po' di stratificazione, e dolcezza suadente, mielosa senza stanchezza. La rifermentazione naturale in bottiglia le dà un'effervescenza pimpante, adatta ad abbinarsi al lievitato butirroso di un panettone ricco. Attenzione solo al momento della stappatura, perché il tappo (metallico) libera una gran quantità di effervescenza - tenete il bicchiere molto vicino, non si sa mai. E soprattutto, sprecarne anche una goccia sarebbe un vero peccato. In enoteca sta sui venti euro, ed è arrivato il momento: aprire in caso di panettone, ma provata pure su formaggi appena stagionati, una delizia.

martedì, dicembre 06, 2022

Com'è fatto un critico enologico

Se ve la siete persa, questa è la (necessariamente lunga) descrizione dell'oggetto, ad opera di Fabio Rizzari. Contiene, tra l'altro: 

«Il buon critico è colui che per prima cosa cerca i pregi in un vino. E poi, nel caso, è costretto a registrarne i difetti. L’attitudine giusta è quindi di apertura, per così dire di solidarietà pregiudiziale verso l’oggetto della propria valutazione. Una postura fondamentale per qualsiasi critico – letterario, musicale, cinematografico, d’arte, eccetera -, senza la quale perfino la poesia del sommo Dante può risultare incomprensibile o perfino ridicola. Il cattivo critico, all’opposto, è invece colui che per prima cosa si dispone a cercare il pelo nell’uovo. A sciorinare un elenco di mancanze, vere o presunte, in un certo vino: questo qui ha avuto problemi di malolattica, quest’altro viene da una cattiva presa di legno, quest’altro ancora ha un alcol troppo elevato, e via andare. Credendo così di dimostrare, a se stesso e ai suoi lettori, la sua grande competenza. “A me non la si fa”, è il sottotesto, nemmeno tanto nascosto. Il cattivo critico è uno dei problemi maggiori della letteratura di settore».

Dello stesso autore a me piace ricordare sempre un'altra citazione, che può essere utile associata allo stesso discorso, che è: 

«Il giudizio di gusto espone più di altri al ridicolo potenziale, e rivela più di altri la nostra fragilità. Chi accetta di correre questo rischio ha un atteggiamento più rilassato e libero, non ostile verso gli altri».

giovedì, ottobre 20, 2022

S'adatt Laluce 2013, i suoi annetti se li porta bene


Gli acquisti nella mia enoteca funzionano circa nel seguente modo: se conosco un produttore e ho già apprezzato i suoi vini, di solito non ho bisogno di assaggi preliminari. Lo compro e basta. Serve naturalmente una frequentazione lunga, e comunque tra un acquisto e l'altro, che riconferma il fornitore, ci sono fiere e vari eventi utili per risentire che ha combinato nel frattempo il nostro produttore. Comunque sia, certi acquisti sono tecnicamente riordini, li faccio in automatico, diciamo che mi fido.

Giorni fa è tornato sugli scaffali un produttore della zona del Vulture, cioè Basilicata, del quale ho una buona opinione dovuta appunto al tempo: è da un po' che lo conosco. Era anche molto tempo che non vendevo quei vini ma l'acquisto l'ho (ri)fatto senza troppi pensieri.

È proprio 2013, sì

Scaricando la mercanzia noto che il rosso base dell'azienda proviene da un'annata risalente, 2013 nientemeno - e la cosa un po' mi sorprende: e come mai mi consegni un vino così âgée? (Pensavo tra me e me. Che uno potrebbe dire: ma non controlli le annate quando ordini? E io risponderei: ma no, io mi fido. E poi i produttori sono dei creativi, sono degli artisti, lasciali fare).

Faccio l'assaggiatore da quando Noè si è arenato, e ancora non ho trovato un modo per valutare un vino finché sta dentro una bottiglia chiusa: bisogna necessariamente aprirla e versare il contenuto nel bicchiere. Se qualcuno sa come fare in un altro modo me lo dica una buona volta, che sarebbe anche un risparmio. Quindi insomma non c'era altro sistema, e così stamattina apriamo S'adatt Aglianico del Vulture 2013 di Michele Laluce. Sul sito c'è una presentazione serissima con tanto di "scheda di autocertificazione" che dimostra l'italico amore per le formule legalesi e un po' bizantine. Ma vabbe', è utile: un aglianico in purezza, solo botte d'acciaio, il resto lo vedete. Quindi orsù assaggiamolo.

Quando uno dice "scheda esaustiva"

Colore di buona profondità, quasi cupo se non fosse per una maggiore trasparenza ai bordi che lo rende più luminoso. Classico rubino fitto con tendenza al granata solo lieve, insomma giovanile alla vista, non gli daresti tutti 'sti anni.

Al naso parte pianissimo: come se faticasse ad aprirsi, all'inizio ci sono funghi secchi e terra bagnata. Lascio il bicchiere a prendere aria e dopo cinque minuti comincia la danza, diventa cangiante, assume un tono speziato tipo pepe e poi foglia di tabacco. Resta sottile, direi giocato sull'eleganza.
Peraltro: a mezz'ora dall'apertura diventa ematico, cioè odora di sangue e macelleria che detto così pare orribile e invece vi assicuro che è una mezza figata. E la chiudo qui perché coi riconoscimenti olfattivi di mezz'ora in mezz'ora cambia, quindi dovrei editare il post per i prossimi giorni e non sta bene.

In bocca invece attacca quasi duro, i tannini ci sono pure se non feroci e menomale, è alquanto imperioso, come a darsi un tono. Occupa il palato e dura un bel po', in generale il quadro è quello di un rosso mordace, serio e deciso, gli manca l'allungo ma la verve dell'aglianico c'è tutta, e nuovamente si beve un rosso pronto ma, direi, distante dalla fase in cui lo definiremmo maturo. Curiosamente ha un tono salato, in definitiva esibisce durezze più che mollezze, mi fa pensare ad un vino che ha necessariamente bisogno di stare a tavola, assieme a robe succose e succulente, penso alle costine di maiale, al ragù, o a formaggi di media stagionatura dove la dolcezza residua chiama un vino così, un po' impetuoso nel suo tono salino.

Considerazioni finali: questo è l'aglianico e questo è il Vulture, verrebbe da dire, qui (a volte) si bevono rossi screanzati, ruvidi, contadini nel senso nobile. È una bevuta piacevole, soprattutto mi interessa vedere che un rosso del 2013 è in una fase evolutiva interessante, che consente una bevuta nobilitata dalla stratificazione - anzi, viene da pensare che lo stesso rosso solo di cinque anni più giovane sarebbe stato molto meno armonico. Si fissa su un punteggio di 84/100, penalizzato solo da quel naso riottoso, poco incline ad asfaltare immediatamente l'assaggiatore con frutti e fruttoni (che tanto ci piacciono, e che ci posso fare). Consideriamo anche che parliamo di un vino base come dissi, espressione ùrenda per definire il primo vino aziendale, che in enoteca costa 13,80 euro - ma siccome ora sta aperto, e mi va di farlo conoscere, ci facciamo una bella promozione con sconto 10% e vualà, esce a 12 euri. 

venerdì, settembre 30, 2022

Tappo a vite tutta la vita


In questo post Ernesto Gentili ritorna su un tema mai abbastanza insistito, l'utilità del tappo a vite per avere vini esenti da imperfezioni, anche minime, che il sughero non riesce a garantire. E per dirlo con la forza che il concetto merita, Gentili aggiunge che:

«più il vino costa più t’incazzi se non risponde alle attese per colpa del tappo. E allora vorrei il tappo a vite sui vini “TOP”, non su bianchi, rosati e rossi d’annata. In fondo così si salvaguarderebbe la produzione del sughero e anche l’intelligenza dei consumatori. È l’ora di smetterla di appellarsi al magico rito della stappatura, di usare i sommelier solo per fargli annusare i tappi (possono fare ben altro) o di affermare che il pubblico non è ancora pronto per questo cambiamento. Basta, per favore!»

Proprio così, col punto esclamativo: sarebbe ora davvero. In the picture lassù, alcuni vini col tappo a vite che ho in vendita, sempre troppo pochi secondo me.

mercoledì, settembre 21, 2022

Correlazioni spurie ma non troppo: nebbiolo e pinot nero


Negli ultimi giorni ho fatto due assaggi ravvicinati, il solito sistema del prelievo di scaffale ("vediamo un po' com'è") per verificare se quel che ho in vendita, per così dire, mantiene le promesse. Posto che sì, modestamente, il livello qualitativo delle due etichette in questione era più che eccellente, questo raffronto mi ha fatto ripensare ad un tipo di correlazione tra i due vitigni utilizzati, nebbiolo e pinot nero, che tendo a comparare volentieri, pure se queste uve generano vini ben diversi tra loro - al punto che questa correlazione si potrebbe definire spuria, cioè infondata, ma siccome questo sentimento ce l'ho da sempre, così senza vergogna, ora ne parlo. E a che servono i blog se non per narrare i fatti propri, ancorché poco gloriosi?

1. Langhe Nebbiolo 2020 Rivella, azienda Montestefano

Nel comune di Barbaresco c'è questa specie di culto per il vigneto Montestefano, che genera nebbioli formidabili e severi. Rivella ha vigneto solo in Montestefano, quindi produce due vini, e basta: il Barbaresco, e il Langhe Nebbiolo, una specie di second vin come direbbero a Bordeaux - tuttavia questo nebbiolo è secondo a nessuno. Già dal colore: la sua trasparenza è pura accademia del nebbiolo. I profumi sono segnati da ampiezza e finezza, c'è tanta materia, dalla terra bagnata al tartufo al pepe e potrei continuare, fino al rabarbaro e alla menta ma meglio che ci dia un taglio, tutto però accennato, leggiadro, tipo un soffio leggero. La bocca ha saldezza, entra sul palato con determinazione nebbiolesca, tannini e polpa. Fa un anno di legno grande, che non lo doma manco un po': ottimo adesso, chissà che diventa tra qualche anno.
Prezzo in enoteca, 37 euro.

2 - Bourgogne Cuvée Gravel 2019, Claude e Catherine Maréchal

Borgogna, Côte d’Or, pinot nero: ho la vostra attenzione con poche parole, già lo immagino. Questo Bourgogne declinato in maniera inappuntabile nel suo terroir d'elezione conferma e supera ogni aspettativa: bello il colore nitido, profondo, al naso esibisce frutta nera, fiori. In bocca ha una morbidezza di frutto irresistibile, svelando una capacità di abbinamento spiazzante: bevuto assieme a tortilla con chili di carne e fagioli (la signora ha una cucina creativa) segna l'abbinamento più funambolico e trionfale della mia carriera recente. La speziatura e la sapidità della preparazione ha trovato nella morbidezza del frutto e nella bevibilità inarrestabile del vino un match sorprendente.
Prezzo in enoteca, 37,90 euro.

Dove sta la correlazione? Certi nebbiolo, certi pinot nero, condividono grandezza e facilità di beva. È il genere di elemento gustativo che per me rende un vino grandioso: mettere assieme la profondità gustativa di grande soddisfazione con la leggerezza, l'apparente distacco. Alcune uve riescono bene in questo: nebbiolo, pinot nero. Nelle mani del produttore giusto, e questo lo diamo per scontato.


martedì, agosto 02, 2022

Rossese di Dolceacqua, se 50 anni vi sembrano pochi


Il penultimo fine settimana di luglio 2022 me lo ricorderò per il caldo africano, come molti di voi, e per la ricorrenza festosa dei 50 anni dalla DOC del Rossese di Dolceacqua. Il 22, 23 e 24 luglio nonostante la calura torrida (s'è capito che faceva caldo?) nell'ameno paesino della Val Nervia ci sono state una serie di iniziative (cene, convegni, spettacoli, banchi di assaggio) che hanno degnamente ripercorso un periodo storico apparentemente lungo, ma comunque parziale: il Rossese a Dolceacqua è un fatto ancora più risalente dell'età della sua DOC. Questi racconti, narrazioni, storytelling - fatemi essere contemporaneo - hanno accompagnato queste giornate, assieme ai numerosi assaggi, quindi insomma non ci si lagna anzi grazie ai produttori di Dolceacqua che mi hanno invitato, manco fossi un influencer che danza su TikTok. E come direbbe pseudo Dante: per trattar del ben che vi trovai, dirò delle cose che vi ho scorte. 

Lo stato di molti assaggi (ad una cena) 
Si dice sempre, non si pratica mai abbastanza: il vino si valuta a tavola. Per dirla bene, chi sa e chi ricorda cita Sangiorgi, "il vino è il ministro della tavola". Abbinato a preparazioni local estreme (tipo capra e fagioli), oppure a piatti delicati, il Dolceacqua dimostra una versatilità di abbinamento che non è facile trovare in altre denominazioni. A questo aggiungo che i numerosi assaggi hanno da subito presentato produttori altrettanto numerosi accomunati - e questo secondo me è rilevante - da livelli qualitativi costantemente alti, e vale pure per etichette meno note: per fare un semplice esempio, Maixei è una realtà cooperativa che produce tra l'altro Dolceacqua, e pure la cantina sociale non sfigura, anzi, mette nel bicchiere un rosso convincente, succoso, con la tensione e leggiadria tipica. Se mi passate il momento sciovinista, se sei enofilo e sei ligure non puoi che essere contento di verificare tutto questo. 
La sala del convegno

"No, il dibattito no!" (Pseudo Nanni Moretti) 
“Il Rossese di Dolceacqua: ieri, oggi, domani” - Conferenza presso la sede dell’ex Comunità Montana, recita il programma di domenica mattina. Uno cita Nanni Moretti per un fatto politico, siccome la conferenza ha visto, purtroppo, una folta apparizione di personalità politiche regionali e nazionali, sulle quali chi scrive dovrebbe evitare di mugugnare per non apparire il solito guastafeste. Ma siccome io non so bene evitare questa, diciamo, funzione, devo dire: era meglio farne a meno. E non mi riferisco ai sindaci, che sono comunque rappresentanti politici che col territorio, per la loro funzione specifica, hanno a che fare. Mi riferisco ai capataz che hanno infarcito lunghe prolusioni di supercazzole come "fare sistema" e altre vacuità. Soprattutto, hanno evocato concetti difficili da maneggiare, come un supposto salvifico enoturismo di massa che, credetemi, collide con una DOC prodotta in quantità omeopatiche, su un territorio ristretto, in una regione in cui le infrastrutture che dovrebbero veicolare queste masse sono patetiche: sulla qualità disastrosa delle autostrade liguri c'è una vasta letteratura che spazia tra la fantascienza e il surreale, ma niente: si deve per forza indicare negli spostamenti massivi un tipo di veicolo promozionale decente, lasciando fuori dal discorso un'altra parolina, sostenibilità, che potrà essere utilizzata comunque in altri ambiti, con voluttuosa abbondanza. Vabbè, arrivati a questo punto della lagna uno dice "ma parliamo di vino che è meglio", ed in effetti la conferenza ha avuto pure momenti di notevole interesse, per esempio quando Matteo Gallello (autore su Porthos, Verticale) ha parlato della versatilità di abbinamento del Rossese di Dolceacqua di cui sopra: dalla cucina locale, alle preparazioni semplici fino a quelle più complesse, citando anche cucine orientali e/o etniche.
Per chi lo desidera, ed è dotato di spirito di sacrificio, ho caricato su Youtube il video intero della conferenza, peraltro scippato dalla pagina Instagram degli organizzatori ma io continuo a preferire YT, sono antico.

Ma parliamo di vino che è meglio 
Nel pomeriggio di domenica, sul tardi quando il calore era meno africano, in piazza a Dolceacqua c'erano un bel po' di tavoli di assaggio, con un buon numero di produttori, qualcuno anche poco noto e a me sconosciuto. È il genere di dettaglio che aumenta il mio interesse. Dopo aver assaggiato tutti, modestamente, potrei fare, anziché una lunga serie di appunti di degu, una specie di stato generale del Dolceacqua, sotto forma di classifica. Nel senso che: c'è un nocciolo duro di produttori, sempre quelli, che per me rappresentano l'eccellenza. Diciamo i primi cinque della classifica. C'è il gruppo degli inseguitori, altri cinque, che stanno facendo un ottimo lavoro. C'è un terzo gruppo, di nuovi, giovani, outsider, troppo piccoli per uscire dall'area produttiva, che lo stesso mi facevano dire ad ogni assaggio: ma che bravo, questo. 
L'allestimento in piazza/1

L'allestimento in piazza/2


I soliti bravi 
Terre Bianche aveva il Dolceacqua classico 2021 che è riuscito, cosa per me alquanto strabiliante, a superare (forse) il mitico 2020 che venne prodotto usando anche le uve dei cru. Veramente un assaggio notevolissimo. Maccario Dringenberg forse non serve nemmeno presentarla, è una specie di rassicurante certezza. Non esiste una nomeranza di quest'azienda che mostri mai anche un vago cedimento, l'esecuzione è perennemente precisa e giocata su quel mix di nettezza e fisicità che definisce questa DOC unica e desiderabile. Ka' Manciné è tra i miei preferiti perché - nel fare vini pur diversi dai primi due citati - è capace di inserire un profilo di personalità unicissimo che si ritrova nel bicchiere: un rosso zergo, appena burbero, e ugualmente succoso, dalla bevuta invitante. Lo stesso discorso si potrebbe fare per Testalonga Perrino, azienda stracult per la risalenza produttiva (il signor Nino Perrino ha cominciato a far vino ben prima della DOC) e stracult al cubo per la difficoltà a trovare in giro quest'etichetta, prodotta in quantità sempre troppo basse rispetto alla richiesta. Il vino peraltro ha una tensione tutta sua, più terra che frutto, e poi carne e sangue. Da bersi nella maturità, meglio, e del resto il banco di assaggio gestito da Erica Perrino ha consentito di sentire annate un po' indietro, e che festa, difatti. Tenuta Anfosso continua a dare prove notevolissime col Poggio Pini, ma in realtà era sufficiente l'assaggio dell'ultima annata del suo Rossese classico per avere subito la misura di un produttore arrivato, nel senso buono del termine intendo, cioè affidabile. 
Anfosso e le sue etichette

Quello che restava di Perrino, alla fine

Giovanna Maccario e un magnum di Sette Cammini

Gli inseguitori
Qui devo andare un po' più veloce se no mi esce fuori Guerra e Pace (e inevitabilmente qualcuno lo devo tagliare) ma ci sono alcuni produttori che stanno mettendo in giro delle vere delizie, ogni anno che passa un po' di più. Applausi quindi per Mauro Zino con un Superiore Peverelli 2019 dritto e serissimo. Oppure Roberto Rondelli che con Arenaria 2021 prosegue nel segnare la via per la definizione del suo Rossese, coerente. Un altro 2021 memorabile, e piacevolissimo, è quello di Foresti, altro produttore che sta crescendo a ritmo sostenuto. E Gajaudo col Luvaira 2019, scusate il cru pazzesco verrebbe da dire, pure ben giocato col legno che qui a Dolceacqua pare sempre un'arma a doppio taglio. In coda ri-cito Maixei, esemplare cantina sociale che con cose come il Barbadirame Superiore 2019 mi fa pensare che, quando anche la cooperazione esprime risultati così alti, ebbene vuol dire che la denominazione intera ha raggiunto livelli encomiabili. 
Il Peverelli di Mauro Zino

Arenaria by Roberto Rondelli

"Luvaira", fa sempre piacere leggere questa nomeranza

La bella etichetta di Maixei


Attenti a quelli là 
Adesso vi piazzo un paio di nomi, poi fate voi. Azienda Agricola Caldi, ettari tipo uno o due, assaggiato Superiore 2020 e Classico 2021, da comprare al volo. Piccolo problema: vino non ce n'è, quel poco è venduto localmente ad aficionados (e qui ometto gli improperi dell'enotecaro). Ascari col Dolceacqua 2021 promette benissimo, considerando che è poco più che un giovane esordiente, quindi again da tenere d'occhio. 
Le etichette molto classiche di Caldi

Ed ecco il giovane promettente


Gran finale, in giro per vigne
Lunedì mattina, camminata per Posaù e Luvaira in compagnia di Giovanna Maccario. Potrei ripetere che faceva caldo anzi caldissimo, ma arrivati lassù c'era chi, come il signor Dringenberg, in vigna ci stava lavorando, e allora che faccio: mi lamento, io, che facevo il turista? Del resto vedere quei cru storicissimi e prestigiosi con la guida di Giovanna è stato un fatto glorioso - che in fondo non era nemmeno così caldo, a ripensarci. Come direbbero quelli bravi, ora facciamo parlare le immagini, e da Dolceacqua è (quasi) tutto.
Il mare è là dietro

I terrazzamenti con la pietra a secco

Altri terrazzamenti tra i filari

Alcune piante che soffrono la siccità: quest'anno altrove l'azienda ha irrigato a goccia