mercoledì, maggio 31, 2006

Ci mancava pure questa.


"Greenpeace ha rivelato oggi che il vino-icona della Francia, lo Champagne, e' minacciato dalla contaminazione radioattiva che fuoriesce da un deposito di scorie nucleari nella regione. Bassi livelli di radioattivita' sono gia' stati rilevati in falde sotterranee a meno di dieci chilometri dalle famose vigne dello Champagne".

Ecco, nemmeno si fa a tempo a dire se i trucioli sono dannosi per la salute, che ne esce subito un'altra. Qui la parte restante della buona (si fa per dire) notizia.
Curiosita': depositi di scorie nucleari vicino allo Champagne? Qualcuno in Francia e' uscito di senno?

[via fermentation - e pure Financial Times]

martedì, maggio 30, 2006

E basta con 'sti trucioli. La facciamo finita?


Avvertenza: ci siete cascati; il titolo del post non ha nulla a che vedere col suo contenuto, e difatti qui-si-continua a parlare di chips. Mi serviva solo un titolo provocatorio, per attirare l'attenzione di chi non ne puo' piu' di questo argomento: ormai ci siete, tantovale che leggiate.

L'ottimo Massobrio viene nel mio carrugio, come si dice a Genova, (cioe', e' su posizioni a me comuni) scrivendo in questo articolo quanto segue:
"Le chips nei vini? Ma nessuno le vuole, ci mancherebbe, non c'entrano con la nostra enologia! Questi sono i commenti che abbiamo registrato dopo il fondo a mia firma sulla prima pagina della Stampa di sabato 13 maggio che inneggiava alla vergogna. Avete presente la metà degli italiani che ha votato per il centrodestra? Sembra scomparsa, o almeno, in pubblico, non è così preponderante come quella del centrosinistra".

E continua, mirabilmente:
"Questo atteggiamento si chiama “topismo” e deriva dall'astuzia dei topi di stare sottocoperta, facendo sempre e comunque gli affari propri ogniqualvolta si presenti l'occasione. Ora, se un organo dell'Unione Europea arriva a varare una proposta che vorrebbe autorizzare la segatura per invecchiare i vini, non si può pensare che sia giunta per un mero contagio aviario. Nella Ue c'è anche l'Italia, che probabilmente manda avanti i topi, quelli che anziché il confronto con la gente, con i produttori di vino e quant'altro, preferiscono le stanze stantie dei ministeri o quelli delle lobby, dove alla fine si prendono le decisioni che calano su tutti. Se poi si ha la fortuna che certe leggi non le colga alcun giornale, meglio ancora: si arriverà tranquilli allo stato di fatto".
Insomma, si ribadisce un punto che mi sta a cuore; fermo restando che questa pratica di mettere in infusione trucioli di legno nel vino e' assolutamente criticabilissima, si puo' sapere quali aziende (italiane) l'hanno cosi' tanto auspicata? E ancora: chi si fa avanti a dire "io c'entro?" [cit.]

Alle mie domande un po' retoriche viene in soccorso, credo, questo post di Franco Ziliani, che a sua volta cita Marco Mancini de Il Corriere Vinicolo. Mancini chiosa: "Intorno al truciolo s’infiamma il settore, quasi una guerra di religione e in quanto tale inutile e ottusa. In troppi continuano a credere che l’economia vitivinicola italiana sia fatta esclusivamente da piccole aziende contadine con qualche decina di barrique in cantina e poche migliaia di bottiglie “che si vendono da sole”. Cerchiamo di aprire gli occhi. Le cose non stanno così, ci sono fior d’imprese che creano ricchezza ed è nostro dovere consentire loro di agire con efficacia su un mercato mondializzato che lancia preoccupanti segnali di sovrapproduzione".

Bene, questo si chiama essere realisti, e, riconosco, parlare con chiarezza. E' un tipo di realismo che, tengo a dire, non mi vede gran che d'accordo: io sono tra coloro i quali guardano con discreto favore alle "piccole aziende contadine con qualche decina di barrique in cantina"; questo intervento di Marco Mancini non serve ancora a dare un nome a quelli che Massobrio definisce "enotopi", ma almeno restringe il campo.

sabato, maggio 27, 2006

Molteplici utilita' di un enotecaro.

Telefonata vera. I nomi sono stati omessi, per proteggere gli innocenti (alcuni nomi, perlomeno).

Cliente - pronto, e' l'enoteca..?
Enotecaro - si, buongiorno..
Cliente - eh, dunque, volevo un'informazione.
Enotecaro - certo, dica pure.
Cliente - dunque, io domani sono in Piemonte, tutta la domenica..
Enotecaro - (??) si.. quindi..?
Cliente - ecco, vorrei comprare del vino, sa, ci sono le cantine aperte.
Enotecaro - ceerto. Ottima idea.
Cliente - dunque, appunto, chiedevo, mi puo' dare qualche consiglio?
Enotecaro (ironico) - consiglio, di che tipo, stradale?
Cliente (non coglie) - no, no. La strada la so. Dicevo, se mi puo' consigliare qualche produttore che conosce, dove comprare. Sa, io non sono un esperto di vino come lei!
Enotecaro - ah, certo, un consiglio. Beh, giusto, andare alla cieca.. vediamo, potrebbe fare cosi', da' un'occhiata al mio listino online, ogni produttore che trova va bene, guardi, poi li cerca su paginebianche..
Cliente - ma, non sono capace con internet.. se mi dicesse lei quale..
Enotecaro (piu' rassegnato che incredulo) - ceerto.. e vediamo, mi dica, in che zona andrebbe..
Cliente - Barbaresco.
Enotecaro - hum, bene, ottima scelta, Barbaresco. Dunque, ci sarebbe questo produttore. Se lo segni.
Cliente (ansioso) - ah si si si.
Enotecaro - si chiama Gaja. Con la gei.
Cliente - Gaja con la gei, benissimo, ma i prezzi, sono bassi, si?
Enotecaro - ceerto, adeguati al livello, diciamo.
Cliente - e vende, ha la cantina aperta?
Enotecaro - guardi, se non e' aperta suoni, vede che apre lui.
Cliente - bene bene, e senta, e se volessi mangiare qualcosa, conosce da quelle parti uno di quei ristorantini caratteristici.. mi raccomando che non sia caro!
Enotecaro - ceerto, mi faccia pensare.. li' a Treiso, La Ciau del Tornavento.. io andrei di sicuro li'.
Cliente - si, ma costa poco, eh?
Enotecaro - diciamo che ho mangiato in ristoranti assai piu' costosi.
Cliente - grazie grazie, mi avevano detto che lei e' uno simpatico, m'ha parlato di lei il meccanico del dottore della badante di mio nonno, chissa' che una volta o l'altra non venga a vedere la sua enoteca.
Enotecaro - ceerto. [clic]

venerdì, maggio 26, 2006

Irrituale, ma pure troppo.

Si sa che certa comunicazione relativa agli alcolici, nel mondo anglosassone, e' alquanto irrituale. Pure la loro blogsfera non e' certo paludata, basta leggere la mai abbastanza lodata Maggie di Wine Offensive. Pero', pero', pure lei trova qualcosa da ridire, quando una birreria chiama il suo prodotto golden shower. Pioggia dorata, che mattacchioni.

Baricco e il vino.

Sul forum del Gambero oggi trovo questa segnalazione ad un articolo di Baricco, che parla di vino. In termini assai condivisibili. E' una lettura un po' lunga, prendetevi il tempo necessario, ne vale la pena.

martedì, maggio 23, 2006

Costa meno andare su Plutone.

Pare che e' fatta, abbiamo l'aereo a energia solare: "il suo primo battesimo dei cieli, reale, e' previsto per il 2008 e nel 2011 e' gia' prenotato per il giro del mondo. Il costo di tutta l'operazione, dal prototipo fino al velivolo definitivo e' di 40 milioni di euro circa".
Nota: e'costato cinque milioni meno del portale Italia.it.

sabato, maggio 20, 2006

Ancora sui trucioli (ma pure altro).

Nel dibattito sull'uso dei trucioli nel vino si segnala l'intervento di Angelo Gaja sul blog di Massobrio. E' visibile qui, nel meandro dei suoi irrintracciabili permalink. In breve, Gaja puntualizza che si dovra' creare, ex lege, un sistema di controllo per certificare i vini non-chippati, secondo un originale sistema tipico dell'Ufficio Complicazione Affari Semplici: non solo non si segnalera' (giammai) in etichetta l'uso di questo artificio, ma quelli che non ne fanno uso dovranno in teoria essere controllati, con qualche arcano sistema, affinche' non trucchino le carte. Gaja ritiene che "la messa a punto di questo nuovo metodo, che richiedera’ tempi molto lunghi, non interessi a nessuno, che nessuno ne avverta la necessita’. Con il rischio di estendere sempre piu’ quell’area grigia di regole che non prevedono controlli e verifiche reali". Insomma, una cosa molto all'italiana.

A margine di tutto questo, un paio di considerazioni (a costo di annoiare sul tema, su cui gia' moltissimo s'e' letto). Per quanto mi riguarda, da addetto ai lavori, prendo atto dei si dice, cioe' del fatto che, pare, questa pratica sia attesa, auspicata, pure invocata da non meglio identificati settori della produzione "industriale" del vino. E prendo atto del fatto che, allo stato attuale, non ho ancora letto nemmeno un outing, cioe' una azienda che sia uscita fuori a dire: ecco, noi useremo i chips, e ne siamo orgogliosi; anzi, prego chi ne avesse notizia, di colmare la mia lacuna.
Nel mio piccolo, parlando con vari produttori, sto cominciando a chiedere: e allora, questi trucioli, li usi o no? Fin'ora, naturalmente, solo "no" pure un po' sdegnati. Sicuramente continuero' a chiedere.

La seconda considerazione attiene alla competenza dell'assaggiatore. Come mi hanno gia' fatto notare, bisogna chiedersi come fara' mai l'assaggiatore tecnico a rilevare la differenza tra vino affinato in legno, e vino infuso di trucioli. In via teorica, le "finzioni" in campo enoico non riescono, piu' di tanto, a generare un prodotto genuinamente convincente; nello specifico, l'agire del tempo conferisce una complessita' che (almeno ipoteticamente) la scorciatoia dei chips non potrebbe garantire. Tuttavia qualche preoccupazione e' lecita, in quanto, a mio modo di vedere, la tecnologia negli ultimi anni ha affinato le sue armi in misura sufficiente a confondere pure gli assaggiatori piu' preparati; se ne ha prova, spesso, in certe degustazioni cieche e comparate dove vini di provenienza alquanto standardizzata possono creare sorprese. E si nota pure in certi vini ipertecnici che girano sul mercato: emanano freddezza, ma e' una sensazione rilevabile solo dal palato allenato, e pure un po' soggettiva. Insomma, il mio ottimismo e' un po' appannato.

venerdì, maggio 19, 2006

Post patetico.


Antefatti.
Qualche tempo fa leggevo questo post di Poggio Argentiera: dove si parla di soldi, di fatture da incassare, di maledetti pagamenti: un topic bello hard, diciamolo. Nel leggerlo, ho commesso peccato di superbia, ho pensato: ecco, cose che a me non capitano, normalmente i miei fornitori vengono pagati in tempi congrui; anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, anticipatamente. Insomma, mi sentivo quasi buono.
Come in ogni storia che si rispetti, all'arrogante presuntuoso (io) e' arrivato il castigo, la nemesi. Ieri sulla mia scrivania brillava una bella busta verde, tipicamente un atto giudiziario, del Tribunale di Montepulciano (cribbio, Montepulciano ha un Tribunale?) dentro la quale il braccio violento della legge mi condannava ad un anno di ferri nel carcere della torre di Montepulciano -- o, in alternativa, a pagare una buona volta una fattura (da circa ottocento euri; piu' trecento, di spesucce varie).
Cosa e' successo? Un fornitore, di cui non faremo il nome (ma solo il cognome, Classica S.p.A.) si era francamente seccato di aspettare un mio pagamento, per una fattura dell'anno scorso, e mi aveva trascinato in giudizio. Da qui discendeva la giusta sentenza in quel di Montepulciano, in data etc etc, come da relata di notifica etc etc.

Fatti.
E bravo Fiorenzo, fai tanto il furbino, ed eccoti qua, condannato.
E hai pure torto; no, perche' tanto per chiarire, la cosa e' fondatissima (anzi, se leggesse questo, Caro Dottor Edoardo Alberto Falvo: ho gia' pronto l'assegno, se preferisce pure il contante, non mandi altri schierani in armi da Montepulciano, giuro che pago).

Giustificazioni, scuse, lagne varie.
Cominciamo con una bella citazione da cinefilo quale mi atteggio: il cattivissimo Sergente Elias, in Platoon, dice: "Le scuse sono come i buchi del culo, tutti ne hanno uno" [perdonate la scurrilita', ma un sergente dei Marine usa tipicamente un linguaggio da caserma] -- orbene, non essendo io da meno, pure io ho la mia pateticissima scusa. Nel descriverla, vi avviso, accentuero' i toni patetici.
Chi mi conosce, chi segue questo blog, insomma, il pubblico dei miei aficionados, sa che pochi giorni prima del Natale scorso ho avuto un deprecabile incidente in moto. Tornando a casa a notte fonda (dopo aver venduto per tutto il di' i vini di Classica) mi sono ritrovato con tre legamenti rotti al ginocchio destro. Pure se mi sono trascinato, in stampelle e tutore, al lavoro gia' due giorni dopo il fatto (sempre a vendere i favolosi vini di Classica) e pure se ho lavorato in questo stato penosissimo fino al 31 dicembre, a gennaio ho chiuso bottega: l'enoteca era chiusa la mattina, e validamente condotta al pomeriggio da un amico pietoso. Ho affrontato l'operazione, e la rieducazione, e le sedute di fisioterapia; sono stato fuorigioco fino ad aprile, giusto in tempo per il Vinitaly; ed ogni sera, tornato in albergo, spezzavo il cuore al concierge chiedendo del ghiaccio per il mio ginocchio dolorante (camminavo tutto il giorno tra uno stand di Classica e l'altro). Insomma, durante i primi tre mesi dell'anno sono stato latitante. Tra le mille grane derivanti dalla mia vacatio imperii c'e' stata la ricezione della posta ordinaria. Asciugatevi le lacrime, ancora non e' finita.

Picco patetico.
Ad essere assente la mattina, ottieni che le raccomandate te le devi andare a ritirare con la malefica cartolina gialla, all'ufficio postale. A questo scopo ho validamente delegato (dal letto di dolore) moglie, amici, amanti, passanti, insomma chi potevo; e c'e' stato pure qualche intoppo: un paio di volte e' successo che, a fronte di delega e documento, l'ufficio postale non abbia voluto rilasciare la raccomandata al delegato, in quanto la missiva non era intestata a me (Fiorenzo Sartore) ma alla ditta (Vinoteca eccetera) -- in questo caso, con scoramento di tutti, richiedevano copia della visura camerale, dove si attestasse che il Fiorenzo e la Vinoteca erano la stessa personcina. In questo modo, sono andate perse almeno due raccomandate. Potrei sbagliare, ma da come la vedo ora, almeno una proveniva da Montepulciano.

Dura lex sed lex.
Da qui in poi, gli eventi dovrebbero essere chiari: se non ritiri documenti legali del tipo "spicciati a pagare senno' ti uccido", il passo successivo e' la pubblicazione all'albo pretorio di Montepulciano, dove si poteva probabilmente leggere un editto tipo "Io, Classica, l'ho detto a quel lazzarone di Fiorenzo: pagami!" Non so voi, ma io me lo immagino, un foglio cosi', che svolazza appeso sotto le torri merlate di qualche maniero.
Quindi, esaurita la formalita' della comunicazione, fu sentenza: colpevole.

Lagne finali (ancora piu' patetiche).
Chiarito che sulla sostanza non si puo' dire nulla, non mi resta che attaccarmi alla forma. Formalmente, al mio fornitore non importa un beneamato alcunche' dei miei guai. E certamente non e' tenuto a saperlo. Neppure il locale agente, che pero' tutto sapeva, era tenuto ad alzare il telefono se avvisato, dicendo "hey ragazzi, no, aspettate, e' il Fiorenzo, sapete, nostro cliente da sei anni, mai lasciato un insoluto, davvero, e' uno a posto". Nah, a che servono questi addetti commerciali, pierre, simpaticoni professionisti: che diamine, questo non paga, non ritira le raccomandate, di sicuro e' in Bolivia col malloppo. No, no, si chiamino le guardie, gli arcieri, gli scudieri, al diavolo i telefoni e gli email. E pure il nostro agente a Genova.

Promemoria per il futuro.
1. Scegliere fornitori umani. Non del tipo che quando vendono qualcosa ti dicono tranquillizzanti "ah, poi passa l'agente per l'incasso, come al solito" ma se non ti trovano danno la pratica al legale.
2. Rigare la fiancata alla lussuosa auto dell'agente Classica. In alternativa, malmenarlo.
3. Fare battute salaci sui pericoli delle due ruote col direttore vendite di Classica (e' motociclista).
4. Evitare altri incidenti.
5. Non deprimersi.

mercoledì, maggio 17, 2006

Gino Da Pinot.



"Stavo guidando sulla Highway 280, quando alla radio sento una cosa che attira la mia attenzione: uno spot pubblicitario che, per presentare un vino sul mercato, faceva il verso alla musica rap".

Comincia cosi' questo divertito post di Tom Wark; e continua: "I had to find out who had the cajones to push their wine using such a mocking, irreverent, outside the box, even weird, marketing approach". Trattasi di Don Sebastiani and Sons, Cantina dell'Anno 2005 per quegli entusiasti di Wine Enthusiast. Insomma, un altro mondo, non solo geograficamente, ma pure per quanto attiene alla comunicazione; altro che irriverenti, questi sono proprio troppo avanti: come qualificare in altro modo un produttore che chiama il suo vino Gino Da Pinot? [Gino-tha-Pinot, Gino-il-Pinot, slang].

Naturalmente, tutto questo entusiasmo e' per la loro forza comunicativa. Se poi Gino Da Pinot sia una solenne schifezza, questo non posso immaginarlo; e nel caso, non si puo' neppure pretendere troppo dal mondo, gia' comunicano bene, se producessere ad alti livelli sarebbero quasi insopportabili.

[Nell'attesa, aspetto la presentazione podcast: Gino Da Pinot is coming soon. Davvero, questi sono troppo avanti].
[Immagine: Fermentation]

Se c'e', mi sfugge.


Va bene, e' passato abbastanza tempo perche' ci si possa chiedere: che fine ha fatto Peperosso? Perche' uno dei piu' visitati blog del settore ha questa triste home? Quale e' il senso, nel creare una vasta, colorita ed influente community, se poi si lascia passare tutto 'sto tempo col sito "lavori-in-corso"? -- Un senso deve esserci di sicuro, ma mi sfugge.

[Sara' pure che e' notte fonda, sono insonne, ma certe letture mi mancano].

martedì, maggio 16, 2006

Triste destino.


Ecco cosa succede alle bottiglie che falliscono il test d'assaggio: lavandino.
L'etichetta in questione esibisce puzze fenomenali; trattandosi di un Cinqueterre, resta il dubbio che sia una partita sfortunata, l'annata problematica (2004) o chissa' che altro; sperando non si tratti di corredo aromatico da vini-veri.
Riassaggero', in futuro, ma per ora e' bocciata.

sabato, maggio 13, 2006

Truciolo. Si, no, forse.


Adesso che l'informazione-mainstream scopre che pure qui da noi si useranno i perfidi trucioli per dare la sensazione di affinato in legno al vino, si sprecano i commenti e pure le esecrazioni. Per farla breve, ricordiamo che esiste una pratica enologica, fino a poco tempo fa vietata nella UE, ma recentemente ammessa, che prevede l'infusione di trucioli di legno nel vino per dare la sensazione di oak-aged, senza dover spendere i soldi delle barrique, e senza aspettare tutto il tempo necessario: doppio risparmio, siccome il tempo e' denaro.

Sempre per amore della brevita', la soluzione sarebbe semplice semplice, e altri l'han gia' ipotizzata: chi usera' questa pratica (a proposito: qualche outing?) dovrebbe semplicemente preavvertire in etichetta: questo vino possiede le sensazioni aromatiche legnose in quanto infuso con trucioli di legno (la formula puo' essere migliorabile).
E questo e', quasi certamente, esattamente quello che non si fara'.

venerdì, maggio 12, 2006

L'inconoscibile.


Il numero ventitre' di Porthos, da poco arrivato, viene annunciato anche sul loro immoto sito in questa presentazione. Nelle poche righe di anticipazione leggo pure un passaggio alquanto suggestivo; lo ripropongo pari pari.

"Leggendo vi accorgerete delle assonanze che tengono insieme i personaggi e le situazioni raccontate. Una per tutte è la percezione così selettiva della possibilità di ottenere e produrre un vino di qualità. E’ questione di fortuna, talvolta; l’impegno e la bontà delle intenzioni sono fondamentali ma risultano sterili se si è nel posto sbagliato; l’amore non basta, e anche se ciò può apparire cinico depone a conferma dell’eccezionalità del liquido odoroso. Bevanda nobile per antonomasia, il vino ha bisogno di una congiunzione favorevole cui anche la persona migliore del mondo potrebbe non avere accesso".

Il passaggio fa certamente riferimento al noto concetto di territorio, ma evoca pure altro. Come spesso accade leggendo Porthos, c'e' molto afflato in quello che scrivono; nello specifico, mi riconosco molto in questo atteggiamento, che in un certo qual modo definisce l'inconoscibilita' di parte del processo di "creazione" (passatemi il termine) del vino -- o, come lo definiscono loro, del "liquido odoroso". E' lo stesso processo che si innesca ogni volta che ci si accinge ad assaggiare, e si sa cosa si apre, ma comunque quello che si trovera' nel bicchiere e' inaspettato, in quanto imprevedibile, e sfugge ad ogni tentativo di predeterminazione.

Cercasi importatore.

Da La Repubblica di oggi:

"L'AFRICAN Journal of Health Sciences (marzo 2005) pubblica un lavoro dell'Università di Makerere, Kampala, Uganda sull'importanza delle conoscenze della Medicina tradizionale ugandese nel trattamento, con erbe medicinali, dell'impotenza e della disfunzione erettile. Delle 33 piante adoperate, le più usate erano la Citropsis articolata e la Cola acuminata. Interessante la Mondia withei le cui radici aromatizzano un "vino" (Mulundo wine) che si ritiene afrodisiaco".

In rete non ho trovato tracce di questo fantomatico vino ugandese; sara' pure per questo che manca un importatore in Italia.

venerdì, maggio 05, 2006

L'America e' lontana.


Si sa che da noi la rete e' quel che e'. Le connessioni ad Internet sono costose, tra le piu' costose in Europa. La banda larga arriva nelle citta', e nemmeno ovunque; con buona pace dei produttori agricoli, che si connettono quasi tutti in dialup.
E poi, c'e' l'America; io ricordo che nel '95 comunicavo con clienti americani che erano always-on; per me fu una rivelazione, c'era gente connessa ad Internet 24 ore su 24 con costi bassissimi; da noi, c'era la tariffa urbana a tempo.
Quanto sono cambiate le cose? Non moltissimo: a partire tardi, e a far tutto male, si paga pegno. Cosi', non ci si sorprende a leggere notizie come questa: Usa Today apre i suoi blog sul vino. Questi non sono solo piu' avanti di noi, ci hanno doppiato e risuperato, ormai. Quando vedremo qualcosa del genere, qui? Il primo problema e' allargare il numero di utenti della rete, ma finche' avremo un monopolista che fa quel che vuole, tanti saluti. Ed intanto, si continua a perder tempo; ed intanto in America possono permettersi pure lo sberleffo: con grande indignazione di Alder, quelli di Wine Spectator hanno aperto i loro blog: a pagamento. Avete capito bene, per leggere i loro blog vi tocca pagare "$7. 95 a month, or $49.00 per year". Sogni d'oro, Italia.

giovedì, maggio 04, 2006

Vino peer to peer.

"Ogni anno negli Stati Uniti vengono venduti vini spacciati come italiani, ma prodotti altrove, per un valore di 500 milioni di dollari".
La frase che avete appena letto e' estratta da questa notizia -- nella quale si parla d'altro, per la verita', si parla del prossimo MiWine. Questo estratto, pero', mi e' sembrato particolarmente degno di attenzione; immagino che l'affermazione, provenendo dall' assessore all'Agricoltura e vice presidente della Regione Lombardia Viviana Beccalossi, sia fondata.

L'aspetto che trovo particolarmente sorprendente e' che questo genere di contraffazione sia possibile negli Stati Uniti, senza scomodare la solita Cina (absit iniuria, ma del resto, 'sti benedetti cinesi, che falsificano pure le Ferrari!) -- no, tutto cio' non avviene in un paese nel quale la legislazione sui copyright e', come dire, labile; avviene negli USA dove, da tempo, si vanno imponendo leggi draconiane a protezione dei diritti d'autore su produzioni musicali o cinematografiche: guardacaso, su prodotti tipicamente americani: e' appena il caso di far notare quanto possa essere importante la produzione cinematografica per le finanze degli States; a questo proposito, pero', l'amministrazione americana non si e' limitata a imporre leggi punitive nei confronti di chi scarica film in rete, ma si e' sentita in dovere di condizionare la produzione di norme specifiche anche in altri paesi, allo scopo di tutelare il loro diritto.

Da noi la legge Urbani ha recepito in buona misura quelle esigenze, col grottesco effetto di punire con multe incomprensibili (tipo duemila euro) il malcapitato criminale che e' colto in flagranza di reato a comprare un paio di occhiali taroccati D&G. Se poi si viene pizzicati a scaricare canzonette, si va sul penale.
Per farla breve, mi piacerebbe sapere se, in modo omologo, il criminale trafficante in Chianti fasulli, in America, viene multato con la stessa ferocia; magari su pressante indicazione del governo italiano. Chissa'.

mercoledì, maggio 03, 2006

Pesce di Babele e Porthos.


Babelfish (amorevolmente detto il pesce di Babele) e' il notoriamente bislacco traduttore by Altavista. Quelli di Porthos ne fanno avventatamente uso qui, ma sui numeri successivi l'hanno saggiamente abbandonato. Gli effetti comici delle demenziali traduzioni del caro pesce sono noti, basta vedere l'immagine quassu', che reca arcane formule tipo "scattare" la bandierina (letteralmente: click) -- raggiungendo l'apoteosi, nella traduzione di un pezzo, dove Stefano Chioccioli diventa Stefano Scrolls.

In morte di Edoardo Valentini/2

Segnalo questo notevole articolo di Antonio Attorre sul sito di Slow Food.

martedì, maggio 02, 2006

Jennifer Lopez ed il vino: "io c'entro".


Non so se leggete la Pravda.
L'edizione online reca una notiziola interessante: il governo della Georgia desidera ardentemente rilanciare l'immagine del vino georgiano assoldando stelle hollywoodiane come testimonial; offre mezzo milione di dollari a J-Lo, ma quella risponde picche: "La star, dal canto suo, ha rifiutato l'offerta stabilendo troppe condizioni al suo arrivo a Tbilisi e chiedendo un compenso ben superiore a quello propostole dal governo georgiano".

Conseguenze collaterali: se miss Lopez avesse prestato la sua immagine (diciamo) per il vino georgiano, probabilmente molti addetti ai lavori avrebbero alzato un sopracciglio (o tutti e due) e badato poco all'iniziativa. Invece la notizia del due di picche cosi' rifilato accende meglio i riflettori sul settore vinicolo georgiano, che "ha accusato un grave colpo in seguito alla decisione da parte del governo russo di proibirne l'importazione in Russia". Insomma, improvvisamente la vicenda rientra nell'assai piu' ampio e serio discorso sui rapporti tra Russia e repubbliche indipendenti. Tuttavia la Pravda tiene a dire che la politica c'entra poco, nel sabotaggio in corso, in quanto la decisione di vietare l'import in Russia si deve "a causa dell'inaccettabile livello di pesticidi contenuto nelle bottiglie esportate". Naturalmente i georgiani dicono il contrario: "il governo georgiano ha risposto affermando che si tratta di una campagna politica atta a destabilizzare l'economia della Georgia. [...] Il presidente georgiano Mihail Saakashvili, il quale ha definito la Georgia "la patria del vino", ha recentemente visitato la Cina e la Turchia allo scopo di trovare nuovi mercati vinicoli".
Chissa' come saranno contenti i cinesi.

lunedì, maggio 01, 2006

In morte di Edoardo Valentini.

Per quanto ti circondi di gadget high-tech, succede sempre qualcosa che ti riporta al 1986 (quando non c'era Internet) mentre sul tuo computer palmare c'e' chiaramente scritta la data del 2006. Si, lo connetti alla rete col gprs via bluetooth, e si apre la pagina di Google, si aprono i tuoi amati blog. Sei su una montagna, in Valtellina, a trascorrere il ponte del primo maggio ad un raduno di mamme che fanno bandiera della loro militanza nella Leche League quindi sei in vacanza ma pure ad una specie di festa-meeting-quel che e'. Fai a tempo a leggere questo post e vorresti scrivere pure tu una cosa, ma quando il palm apre la pagina di blogger, puff, Explorer va in crash. E rimandi tutto a quando tornerai a casa, dribblando le code del rientro.

Spesso, quando si scrive di qualcuno che non c'e' piu', si riesce a sfoggiare la passata conoscenza, rivelando aneddoti che raccontano la persona; sfortunatamente, io non ho mai conosciuto personalmente Edoardo Valentini; non c'e' nulla, che io possa dire, adatto ad aggiungere un dettaglio al ritratto della persona. Vendevo, e vendo, i suoi vini, senza averli mai comprati direttamente da lui, ma attraverso rivenditori e/o grossisti: e' il meglio che mi e' riuscito di fare, siccome volevo per me quei vini unici e suggestivi; ma con lui, mai nessuno contatto.

A parte una volta, in cui chiamai in cantina. Era la meta' degli anni novanta, ed in quel periodo avevo il piacere di passare le vacanze agostane sulla riviera adriatica, in Abruzzo; mi sembro' l'occasione ideale di associare il dilettevole al dilettevole, e chiamai per fissare un appuntamento in azienda, volendo acquistare il loro prodotto.
Non so con chi parlai; si limito' a dirmi che vino, per me, non ce n'era; era inutile che salissi fin lassu' in cantina, quindi; e concluse: se ne resti al mare, e' meglio per lei, quando avremo del prodotto disponibile la chiameremo.
Naturalmente, e' da allora che aspetto che mi chiamino; certo, avrei potuto (dovuto) riprovarci, ma preferii restare sospeso, in attesa di una specie di magia, Valentini che mi telefonava per dirmi: salve, lo vuoi il mio vino?