sabato, dicembre 06, 2008

Per una rifondazione dei criteri di analisi valutativa del vino

[Ovviamente potevo darmi un titolo meno roboante. Ma vuoi mettere?]

Chi scrive di vino sulle guide, sulla carta stampata in generale e pure in rete, adopera svariati criteri di valutazione critica. Ci sono i famosi metodi di analisi valutativa dell'Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino, o quelli dell'Associazione Italiana Sommeliers, o quelli di Luca Maroni - differiscono tra loro, ma in definitiva servono a fornire una misura, magari per stilare classifiche sui migliori. Perfino chi, come Porthos, rifugge non solo dal punteggio, ma probabilmente dal concetto stesso di classifica, esprime pareri comunque approfonditi, e magari dirimenti, sul vino. Ora, questi metodi hanno grande risalenza ed efficacia, ed io stesso li uso sia nei corsi che tengo, sia nell'ambito del mio lavoro ogni volta che valuto un vino: solito esame cromatico, olfattivo, gustativo, a cui segue voto, centesimale secondo la mia preferenza. Il metodo è affermato, direi quasi stabilizzato, eppure non smette di generare dibattito sui possibili miglioramenti da apportare al sistema di valutazioni: il concetto di superamento dell'attribuzione del punteggio è figlio di questo dibattito, ed è, credo, segno dell'insoddisfazione che deriva, nonostante tutto, dal complesso sistema di tecniche valutative di cui parlavo.

Ora, il mio intento, qui, non è, nonostante le premesse, quello di proporre un sistema nuovo; questo, onestamente, va al di là delle mie capacità peraltro sovrumane; l'idea sarebbe quella di suggerire una forma di superamento del concetto di valutazione, senza abbandonare del tutto la valutazione per come la conosciamo. L'idea consisterebbe, specificamente, nel focalizzare per un po' l'attenzione sul produttore, e non sul prodotto.

Nel corso degli ultimi anni, nel mio lavoro, mi rendo conto di aver rinunciato all'idea di trovare, ad ogni vendemmia, il vino perfetto per una data tipologia; questo resta sempre un prodotto figlio della stagione, degli eventi climatici, e talvolta pure di caso e sfortuna (o fortuna). Il prodotto della natura è una variabile; c'è, forse, una costante a cui fare riferimento, in alternativa? Ecco, io credo che la costante sia la persona che produce. Il contadino, diciamo, il vigneron come dicono i francesi, insomma colui (o colei) che segue il processo produttivo imprimendogli le sue condizioni, i suoi gusti, convinzioni e visioni. Nel dire questo, ho la netta impressione di seguire piste già tracciate da altri, prima; ma spero ugualmente di fornire una serie di elementi utili ad approfondire il concetto. La Guida ai vini d'Italia edita da Gambero e SlowFood, per esempio, da tempo, oltre a premiare i vini, si incarica di fornire una classifica degli stessi produttori: quelli più "performanti" ottengono la stella - avendo esaurito l'iconografia di bicchieri ed altre stoviglie, sono dovuti ricorrere all'ipeuranio. Ma questa forma di classifica dei produttori fa riferimento, a sua volta, alle performances di classifica dei loro vini, da cui appunto volevo (solo per un po', come detto) affrancarmi.

Quindi, adesso, quello che posso fare è introdurre il mio personalissimo criterio di analisi valutativa di un vino, che non si fonda, pensa tu, sulla valutazione del vino, ma su chi lo fa; si tratta, chiaramente, di applicare veri e propri elementi di pre-giudizio, per cui questo si avvia ad essere un discorso alquanto ideologico. Un po' come la guerra preventiva, ma meno cruento e soprattutto, mi auguro, meno infondato. Il fatto è che un elemento qualitativo di qualche sicurezza dipende pure da chi fa il vino, prescindendo dal prodotto stesso. Così, io ho una mia personale scala di valutazione del vigneron, che è funzionale al vino stesso. I punti principali sono tre.

1. Il produttore qualitativo è (spesso) piccolo.
La piccola produzione si identifica, normalmente, in una superficie vitata non immensa; è un fatto che molte cose encomiabili assaggiate ultimamente provengano da produttori nel range dei dieci-venti ettari; le eccezioni superiori ci sono, ma comunque oltre i cento ettari difficilmente si parla di viticoltori; per lo più si tratta di grosse realtà industriali, o semi-industriali, che fanno capo a SpA. E questo ci conduce al punto due.

2. Il produttore qualitativo fa il produttore.
Io trovo significativo che il produttore lavori fisicamente in vigna ed in cantina; di fatto mi pare bizzarro valutare un vino che non è prodotto dalla persona che mette il nome e cognome in etichetta - per non dire poi di certi vini assolutamente senza volto, figli di scorribande enofinanziarie - tipo il famoso architetto che fa il vino, o lo stilista, avete presente questi fenomeni. Capisco, questi delegano il lavoro ad operai sicuramente capacissimi, ma questa forma di catena produttiva andrebbe disintermediata, ed io preferisco interfacciarmi (scusate il termine) con chi ci mette la faccia e le mani.

3. Il produttore qualitativo ha qualche risalenza.
Un altro elemento di interesse è la risalenza produttiva; chi fa il mestiere del vigneron da generazioni ha, effettivamente, qualche appeal in più, su di me. E comunque la risalenza non deve essere certo secolare, ma quando un produttore ha, dietro di sé, dieci-quindici anni di vendemmie ha comunque svariati titoli di merito in più rispetto a quello che "abbiamo cominciato la produzione l'anno scorso" (e magari a listino stanno al doppio della media di mercato: mah).

Concludo; troverei interessante rivedere il concetto di guida sui vini partendo da questa riformulazione: prima classificare il produttore, secondo questi (od altri) prerequisiti, e poi valutare il vino; sempre col vecchio punteggio centesimale, magari. L'approccio alla "bevanda odorosa" risulterebbe più antropocentrico, e forse meno freddo ed impersonale. In fondo si tratta di mettere la persona che fa, davanti alla cosa che si produce.

10 commenti:

  1. Mi viene in mente Pino Ratto, il mese prossimo farò un salto in cantina a trovarlo.
    Buon fine settimana!!!

    RispondiElimina
  2. Dissento.
    Almeno in parte.
    Punto tre: chi fa il vigneron da generazioni non è detto che faccia sempre e comunque un buon vino.
    E chi ha centinaia di ettari da gestire non è detto che lo faccia sempre e comunque cattivo/insulso/anonimo.
    Ho esperienza di "contadini" che fanno vini da lavandino, e di "industriali" che fanno vini che apprezzo avere sulla mia tavola.
    A mio avviso, tu stai cercando di distinguere tra "vini buoni da bere E da pensare" e "vini buoni (o cattivi) da bere" e basta.
    E questo lo condivido.

    RispondiElimina
  3. Ciao Fiorenzo! Questo post, che condivido appieno, ha il grandissimo merito di descrivere una sensazione comune, non sempre facilmente decifrabile.
    Un caro saluto.

    RispondiElimina
  4. Tutto vero ciò che descrivi Fiorenzo, anche se non sono del tutto convinto che sia possibile o corretto valutare il produttore. Richiede già una certa presunzione giudicare un vino, figuriamoci stabilire chi è giusto o sbagliato.
    E poi, a dirla tutta, se proprio devo valutare un produttore, preferisco quello la cui mano non si sente nel vino, o perlomeno si sente il meno possibile, il cui approccio fondamentale è in vigna e non in cantina, dove avrà l'accortezza di usare legni il più neutri possibile e interventi ridotti all'osso. Ma questo può avvenire solo laddove una vigna ha la classe innata, un vero cru, dove il vitigno è quello giusto, ha i suoi 15 anni minimo ecc.
    Tutte cose che ridurrebbero drasticamente, e forse ingiustamente, il numero delle aziende premiate. Sarebbe un bene? Forse, ma non so se sarebbe altrettanto giusto, una volta accettato il fatto che i prodotti/produttori vengono giudicati da chi in vigna magari non ci ha mai messo piede.

    RispondiElimina
  5. Per Elisabetta: naturalmente il mio "metodo", ammesso si voglia definire tale, è lontanuccio dall'infallibilità; e difatti ci sono legioni di piccoli produttori senza speranza. Il punto è che, una volta identificato un produttore promettente, per forza di cose si deve verificare cosa sia la sua produzione. Il punto è che, a fronte di produzione significativa, e produttore significante, il prerequisito appare efficace, d'ora in poi.

    Per Roberto: credo che potrei dissentire da quel che dici solo relativamente alla questione "preferisco quello la cui mano non si sente nel vino". Mi pare impraticabile, perché lo stile produttivo esiste; per amore del paradosso, potrei identificare uno stile specifico anche in chi si dichiara "zero interventista": il suo tocco consiste, appunto, in quello.
    Quanto all'ingiusta limitazione a cui sarebbe sottoposto qualche inolpevole: probabilmente è vero; ammetto di usare il mio metro in modo un po' dirimente.

    RispondiElimina
  6. ciao a tutti.
    sono una giovane piccola produttrice (6ha.) in Oltrepò pavese.
    il metodo mi piace ma come arrivi alle miriadi di, appunto, vignerons??
    all'inzio della mia attività nella mia buona fede ed ingenuità ancora "credevo" nelle guide, nei loro giudizi e nei loro metri di giudizio. poi mi sono accorta che vivono solo perchè noi li "foraggiamo" o con pubblicità o con i campioni e soprattutto perchè compriamo i loro volumi.
    non è il mio metodo di lavoro... per cui ben vengano tutti coloro che si muovono da soli e svincolati da qualsiasi paraocchi.
    elena

    RispondiElimina
  7. Elena, passasse di qua il mio amico Aristide ti direbbe "apriti un blog". Ma, a parte questo, complimenti per il tuo sito chiaro e veloce. Se non comunicano altri al posto tuo, ti tocca pensarci in prima persona.
    Semmai ci si rivede :)

    RispondiElimina
  8. Viste le tre condizioni e dato che faccio le dieci vendemmie di vino in bottiglia nel 2009 aspetterò l'anno nuovo per mandarti qualche bottiglia da assaggiare.
    Stefano

    RispondiElimina
  9. ho trovato genaile questa soluzione pratica e veritiera da affrontare semplicemente in 3 punti. sono un produttore e consulente(per campare) e per passione del mio lavoro e il punto più grande su cui mi scontro sempre con tutti è proprio questo:-LA NECESSITà DI CONOSCERE IN FACCIA LA PERSONA CHE TI OFFRE IL SUO VINO QUASI FOSSE UN'OPERA D'ARTE, PER QUESTO BELLO E FORTE DELL SUE IMPERFEZIONI E PUNTI DI FORZA. nel mio lavoro purtroppo non trovo spesso questo tipo di volontà, ci hanno insegnato e ci insegnano tutt'oggi ai corsi di sommelier o altro, a esprimere giudizi freddi e lapidari. il vino non deve essere giudicato ma capito, ascoltato, interpretato. la mia azienda è di 17ha, l'azienda di lucca è di 13ha e il mio gioiello, esempio per le altre da un punto di vista di conduzione biodinamica è di solo 4ha. vendo vino in 31 paesi del mondo e insieme ai miei genitori siamo partiti da una cantina di vini sfusi, per essere ora una delle più promettenti realtà della nuova toscana, quella delle zone sconosciute ma pure, perchè la truffa non è vino e non abbiamo mai dovuto seguire un gusto, abbiamo dovuto crearcelo.
    tutto questo per dire che se avessimo fatto i vigneron dal doppio delle generazioni sarebbe oggi sicuramnete meglio, perchè si vendemmia 1 volta l'anno!!!! e poi ancora che è assolutamnete vero che il vino VERO e BUONO si trova molto più facilmente dai piccoli/medi produttori perchè l'italia è fatta di queste realtà anche se stanno CERCANDO DI FARCELO DIMENTICARE!!!
    NON SI PUò FARE VINO BUONO PER L'ESSERE UMANO SE LE DIMENSIONI DELL'AZIENDA PORTANO A STANDARDIZZARE I PROCESSI PRODUTTIVI, SI PUò FARE VINO BUONO MA NON VINO BUONO PER L'UOMO!!!!
    saluti, seguirà più spesso il suo blog, grazie filippo dott. ferrari www.fattoria-lesorgenti.com firenze

    RispondiElimina
  10. Mi piace il metodo e l'approccio. Complimenti. Pensa che il mio socio nel mio blog di enogastronomia eretica www.taribari.org si è inventato i "riferimenti onirici" tra i parametri degustativi. Se ti va vieni a trovarci. Mi sembri proprio dei nostri.
    Antonio Canu

    RispondiElimina