Postone lungone e verbosone; ma tanto arriva il fine settimana: cosi' non vi annoiate.
Da qualche tempo mi gira in testa un'affermazione di Gianluca Nicoletti: i libri, la letteratura per come la conosciamo, sono cose morte; la letteratura ormai e' emersiva. Ovvero emerge e si autoproduce nei molti luoghi della rete dove la narrazione sgorga dal basso. Questo e' il genere di affermazioni che, ovviamente, dilata a dismisura l'ego di qualsiasi bloggarolo; per quanto mi riguarda cerco di immergermi in lunghe apnee di bagni d'umilta', con scarsi risultati, quindi mi scuso in anticipo. Il fatto e' che, comunque, pure sospendendo il giudizio letterario su quanto "emerge" in rete, io trovo abbastanza sensato dire che perlomeno la conoscenza, quella si, e' emersiva.
Ieri ero alle prese col solito rappr(esentante) e si discuteva di brunellopoli e velenopoli; chiacchierando mi sono reso conto in fretta di come questo operatore professionale del settore avesse una conoscenza dei fatti mediata esclusivamente dalla lettura di giornali, settimanali, o TG; da questo derivava la sua obnubilata percezione delle vicende, e quindi il suo discorso era pieno di "boh, mah, non so, chissa' perche', non capisco". E' come se l'informazione che ha ricevuto si rivelasse inadeguata; il caro rappr del resto non utilizza alcun genere di risorsa in rete, ignora la frequentazione di community, liste, forum, e blog; mi sono cosi' infilato in uno dei miei potenti loop di evangelizzazione internettiana; non tanto per il piacere di fare il maestrino dalla penna rossa, ma proprio perche' ci credo.
Io credo che non possiamo piu' permetterci di prescindere dall'informazione in rete, se vogliamo coltivare qualche speranza di capirci qualcosa (circa qualsiasi cosa). E questa, vorrei precisare, non e' la solita pippa sulle qualita' scarse del mainstream e sulle virtu' dei crociati dei blog(z).
Qui vorrei introdurre un concetto differente: io trovo che la conoscenza sia estremamente difficoltosa e complicata; perche' il mondo nel quale ci rotoliamo e', specularmente, difficoltoso e complicato. Deve essere successo qualcosa, in qualche dato momento, che ha reso insufficiente la conoscenza attraverso i canali tradizionali; ad un certo punto e' diventato necessario, per un quieto viticoltore irpino, sapere cosa diamine sia un feed RSS; ed altri, piu' numerosi e caotici, canali di apprendimento, son divenuti quasi obbligatori. Prendiamo ad esempio la vicenda denominata, con la solita improvvida qualita' comunicativa, "brunellopoli". Questa puo' essere percepita in misura mainstream, oppure nelle modalita' due-punto-zero che tanto mi stanno a cuore.
Nel primo caso, si legge che ci sono alcuni produttori che hanno infilato del merlot nel sangiovese di Montalcino, ed hanno fatto qualche genere di vaccata; del resto tutto si tiene, e a Massafra vendevano vino taroccato, quindi ormai come ti giri ti fregano. Ecco riassunto in due righe velenitaly de L'espresso.
Nella seconda opzione bisogna, appunto, avventurarsi in un percorso difficoltoso; ci tocca scorrere fiumi digitali di informazioni nei vari forum e blog che hanno descritto, esecrato, approfondito, cazzeggiato. Tuttavia, perfino io che sono affetto da bradipica pigrizia mi sono fatto un'idea. In breve, la rete ha reso chiaro quanto segue (non infilo link, tanto per affaticarvi ulteriormente). Ziliani ha tuonato: ve l'avevo detto, adesso son razzi amari, ecco che succede a fare finta che tutto va bene, poi arriva il conto; Cernilli ha detto: ehi un momento, almeno aspettiamo che sia conclusa l'inchiesta, le cose in fondo non sono del tutto chiare; segue accapigliamento tra incendiari e pompieri; ad un certo punto si chiarisce che tutti sono d'accordo almeno su un dato, il Brunello deve essere fatto solo di sangiovese ilcinese, deve essere una roba identificata con il territorio, mica un prodotto appiattito sul gusto di mille altri vini global. C'e' pure tempo e spazio per una petition online. Ma ecco che arrivano gli americani a rompere le uova nel paniere; dicono: sentite, ragazzi, se il vostro Brunello non e' fatto di sangiovese, se non ce lo certificate, noi a giugno blocchiamo le importazioni. Bum! E a questo punto esce fuori che il problema e' il rispetto del disciplinare del Brunello, mica velenitaly; i lettori de L'espresso, disinformati, dicono: "eh? Ma che e' il sangiovese?". Tutti gli altri, che han chiaro il quadro, scuotono la testa e pensano "adesso si che arrivano i guai". Nel frattempo il neonato governo, tra una velina e l'altra, presumibilmente dovra' certificare qualcosa che, giurerei, gli sfugge quasi del tutto (auguri).
Eccovi servito il Bignami di brunellopoli. Se c'e' maggiore conoscenza dei fatti, credo si possa dire che questa emerge, tra notevoli difficolta' di cernita delle fonti, anche e soprattutto dalla rete.
[Comunque la petition online e' qui. Lo so che questo genere di accrocchi smuove poco o nulla, ma hai visto mai. Io ho firmato.]
Fiorenzo, se mai un giorno dovessi promuovere una petizione per un Amarone della Valpolicella fatto di sole uve corvina, corvinone, rondinella (e molinara, và! c'è sempre qualche nostalgico)invece che con - anche - robuste iniezioni di primitivo, aglianico, sirah (che, quando sono appassiti, ti sfido a riconoscerli), me la firmi, vero??
RispondiEliminaLizzy
A proposito di Brunellopoli.
RispondiEliminaMio marito è medico, e segue le (mie) cose vinicole come può (ovvero poco e distrattamente).
Oggi mi ha chiesto: "E' vero che gli USA non vogliono più importare il Brunello di M.? Perchè?"
Gli ho spiegato a sommi capi la vicenda. E lui: "Dunque non lo vogliono perchè è stato scoperto che non è fatto di solo sangiovese, ma anche di cabernet, merlot, insomma è un vino internazionale. Embè? Non sono loro a volere i vini internazionali, morbidoni e rotondoni, uguali ogni anno? e adesso che vogliono??".
Non ho saputo cosa rispondergli.
Gli ho dato ragione e basta.
L.
@Lizzy
RispondiEliminaIn verità "loro" vogliono solamente che un prodotto contenga quello che c'è scritto sull'etichetta. Su questo sono molto severi.
Luk
caro Fiorenzo, complimenti, come sempre per quello che hai scritto. La tua sintesi é perfetta, ma vedrai, dalle varie interviste a personaggi dell'informazione e del commercio del vino negli States, che c'é America e America e che non tutti la pensano allo stesso modo oltreOceano...
RispondiEliminaFranco
Infatti, poiché gli USA non sono un monoblocco fatto ad immagine e somiglianza di Bush, ma vi sono tante e diverse culture che convivono sullo stesso territorio, loro hanno pensato che le leggi devono essere chiare, semplici e rispettate alla lettera.
RispondiEliminaSono pazzi questi americani!
Scusate, ma perchè non ALLARGARE il disciplinare anche (in piccola percentuale) ad altre uve, così come hanno fatto a Montepulciano, in Chianti, in Valpolicella, ecc., anziche ALLARGARE gli ettari a docg nella pianura di Montalcino?
RispondiEliminaPoi sarà il consumatore a richiedere un Brunello 100% Sangiovese o meno (barrique o botte grande che sia)
Il punto e' che se allarghi il disciplinare con un 10% di cab, tipo Chianti Classico, finisci per perdere l'identita' forte da sangiovese in purezza che riesce (secondo me) ad avere il Brunello. Se poi vuoi fare uvaggi, c'e' sempre Sant'Antimo e via dicendo; ma il Brunello deve la sua fama (e, temo, pure la sua qualita') essenzialmente alla sangiovesitudine. E te lo dice un bevitore di supertuscan, peraltro.
RispondiEliminaConcordo, il brunello deve sangiovesare. Ma, se previsto da disciplinare, che se ne frega se i vari Antinori e Frescobaldi (che comunque tramite i loro legali fanno sapere - a noi enotecari - che il loro vino non è tagliato) internazionalizzano: sarà il cliente/consumatore finale che chiederà l'uno o l'altro. Scusa se mi ripeto, ma è molto peggio chiamare Brunello quello provenienti da vigneti di pianura a 10 km da montalcino (e si fanno belli con tanto di cartelli di indicazione, tenuta di qua, tenuta di là, e la collina di Montalcino la vedi laggiù, a km e km).
RispondiEliminaGrazie Fiorenzo per i tuoi punti di vista, sempre piacevoli, anche se non sempre condivisi.
Un collega, come tanti altri
Grazie a te, collega. Sai, e' un curioso contrappasso, che io difenda certo tradizionalismo; forse e' un puntiglio un poco retro': credo che, se ci sono state aggiunte non ortodosse, omologarle ora per legge equivale, anche, a penalizzare quanti hanno lavorato seriamente sul prodotto territoriale (oddio, continuo ad abusare del termine...). Quanto al Brunello "di pianura", concordo; posso solo sperare che il consumatore applichi, su quello, lo stesso discernimento critico che descrivi. Arigrazie per i compliments.
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