Mentre scrivo sono intento in una degu appena insolita, la nuova Cocacola zero. Non male, devo dire, sono finalmente riusciti a citare lo spettro aromatico/gustativo della Coca nella sua riedizione ipocalorica, dopo qualche tentativo meno riuscito. La bevanda bilancia bene il caratteristico amaro da caramello con una dolcezza meno posticcia del solito, e guadagna con facilita' un 72/100 di punteggio centesimale (si, continuo a dare punteggi). Resta il dubbio sui metodi, sulle misture, sulle arcane molecole usate per ottenere questo alto risultato; temo che una risposta esauriente possa provenire solo dall'anatopatologo che sovrintenderà alla mia autopsia.
Proprio quando stavo per eradicare definitivamente lo uniform resource locator del forum del Gambero dall'elenco dei miei segnalibri, vista la caotica inconcludenza di quel povero luogo virtuale lasciato a se' stesso senza alcun governo moderatore, ho trattenuto il mio mouse per seguire questo succoso dibattito. A riprova del fatto che pure dal caos e dall'anarchia nasce qualcosa di buono.
In estrema sintesi, in mezzo al cazzeggio e al trollismo sta finalmente emergendo qualche elemento (per me) utile a circoscrivere le ultime vicende rubricabili sotto “Brunellopoli”. Stanno uscendo allo scoperto quelli che dicono: basta tirarvela da fighetti con 'sto vinone costoso e per pochi, il brand è cosa nostra, ne faremo un vino per tutti – all'incirca. Quindi, venga finalmente un nuovo disciplinare, venga finalmente ammessa, perché no, una percentuale di uva alloctona, venga avviata la santantimizzazione del Brunello. [Sant'Antimo è una Doc minore dell'area, per la quale è all'incirca consentito tutto o quasi].
Sono scene già viste, e per questo le dinamiche relative al rosso ilcinese si stanno facendo appena un po' più comprensibili. Sono le sempiterne, inossidabili meccaniche che attengono all'industrializzazione del prodotto artigianale. Sono robe che abbiamo già visto millanta volte, ogni volta che l'industria si è appropriata del prodotto – o meglio, della sua immagine, della sua forza sul mercato, e l'ha svuotato, diluito, predigerito, precotto, ed infine squalificato. E' il caso di fare esempi? Solo qualcuno: avete comprato Montasio, Lardo di Colonnata, Castelmagno, recentemente, presso la vostra coop-sei-tu? Se sì, come me, allora avete afferrato il concetto. I prodotti in vendita presso la distribuzione industriale sono una patetica citazione dell'originale.
Certo, ora, è necessario che faccia un inciso: comprendo che il mio discorso segua una deriva ideologica che possa suonare irritante, per qualcuno. Me ne scuso e, anzi, terrei a precisare: io credo che, come sempre, il mezzo sia neutrale e il giudizio sul mezzo debba derivare dall'uso che se ne fa; ed infatti io vorrei, da consumatore, un'industria in grado di mantenere standard appena maggiori di quelli verificabili ora, che sono improntati unicamente al profitto irrispettoso del cliente, visto come limone da spremere e non come utente da servire.
Tornando al nostro Brunello, accade quindi che qualcuno, da qualche parte, abbia definitivamente chiaro che questo brand (che schifezza di inglesismo, sia consentito dire ad uno che si nutre di inglesismi) è pronto per la manovra di svuotamento.
Però, come ho quassù titolato: perche' il Brunello è il Brunello? (E avrei potuto dire, il Barolo è il Barolo, e via così). Quello che terrei a dire ora, con qualche forza, riguarda proprio l'essenza di questo vino, e la sua conseguente grandezza, che ne fa purtroppo un brand appetibile dai vasti e/o vastissimi mercati.
Qui non si tratta di essere snob, di enfatizzare l'abusato “per pochi ma non per tutti”; personalmente, poi, sono quanto di piu' distante dall'enosnobbone che ritiene che solo quel vino, da quella sola vigna, da quella sola annata sia l'unico vino che meriti d'essere bevuto; chi mi conosce sa che riesco a trovare gradevole quasi qualsiasi intruglio, perfino la Cocacola. Però credo pure di essere enofilo abbastanza da saper distinguere la grandezza dalla banalità.
Riferita al vino, la banalità è la capacità di essere prevedibile, oppure l'incapacità di destare qualche emozione. La grandezza di certi vini, storicamente, è stata determinata appunto dalla loro potente capacità di suscitare emozioni.
Se siete arrivati fino a questo punto senza scuotere la testa, bravi, siete enofili quanto basta – sennò pazienza, ci mancherebbe.
Il Brunello è il Brunello perché nel corso di decenni i pochi produttori dell'area ilcinese, con il loro lavoro, hanno contribuito a creare un prodotto suggestivo, emozionante, fatalmente per pochi, in ragione delle capacità produttive limitate; successivamente, il prodotto è risultato pure costoso ed elitario.
Ora, il tentativo messo in atto dai soliti industriali di renderlo per tutti, e meno costoso, passando magari per modifiche al disciplinare di produzione o chissà che altro, ha pochissimo a che fare con la filantropia, e molto a che fare con i loro bilanci aziendali. Ma siccome la grandezza di quel vino è appunto nella sua essenza, modificandone l'essenza si corre oggettivamente il rischio di comprometterne la futura grandezza, secondo schemi già visti e correndo il rischio che il Brunello di Montalcino sia il prossimo Lardo di Colonnata.
Sottoscrivo in toto!!!
RispondiEliminaChe gli industrialotti spendano soldi per dare lustro alla denominazione Sant'Antimo, se proprio ci tengono.
Tra l'altro Coca Cola zero e Coca Cola light sono entrambe in vendita, senza che si capisca davvero cosa le differenzi. Qualche ingrediente, credo.
RispondiEliminaUsare un brand stile "Brunello light"?
RispondiEliminaIn modo da segmentare anche il mercato in premium e base?
Altrimenti con l'industrializzazione si distrugge un patrimonio storico-culturale.
si anche brunello sottozero
RispondiEliminaChe bello, che bello, si discute di filosofia!! :)
RispondiEliminaE' la sostanza che da' sostanza al nome, o è il nome che da' sostanza al nome? I nomi sono soffi di vento (o "flatus voci") oppure no? Con gli industrialotti e i furbini più o meno illustri di cui sappiamo siamo in pieno neo-nominalismo: è il nome a fare il vino, non il contrario. Prendi una Cocacola, chiamala Brunello, et voilà! Sto esagerando, ovviamente, ma il senso è un po' questo...ebbene, una Doc moderna e al passo coi tempi, che parla le lingue che volete (un italo-francese, ad occhio), c'è già, il Sant'Antimo appunto. Perchè non si dedicano a quella?
Che senso ha fare una Sant'Antimo 2 (la vendetta) e chiamarla Brunello??
Ciao Fio,
RispondiEliminail problema che tu esponi credo riguardi tutte le nicchie di successo, mi viene in mente olio di olive e miele, a Montalcino abbiamo un tessuto di piccole e medie aziende molto radicate nel territorio che non vogliono ma nemmeno possono scendere a compromessi, l'industriale o imbottigliatori ce ne sono e ragionano esclusivamente sui numeri, a loro va bene quando va male a noi (in momenti di crisi acquistano uve o vino a prezzi stracciati).
Ma dopo tutto quale soluzioni abbiamo se non il differenziarsi con la qualità e andare avanti in ciò che si crede?
Speriamo che nel mondo ci siano tanti Fiorenzo disposti a darci spazio e anche qualche "talebano" che alle volte irrita ma comunque è dalla nostra parte.
Luciano
Il problema, che qui Fiorenza ci porta per il vino, è purtroppo presente in molti settori, sia per i beni sia per i servizi.
RispondiEliminaSono un vecchietto ed anche io ho visto rovinati molti prodotti per l'averli voluti rendere "di massa", nel senso più negativo del termine.
Visto che non possiamo comprare i vestiti a fiori, mettiamoceli tutti grigi e vietiamo la fabricazione di quelli colorati. Via, risolto il problema.
Sono un amante del Brunello, che è il mio vino preferito. Non ho i soldi per comprarlo (se buono) ogni settimana. Finisce che ne bevo una bottiglia all'anno, ma per favore, vorrei continuare così. Quando riesco a comprarlo, me lo godo, non ne faccio alcuna degustazione o recensione. Lo bevo e basta.
E questo vale per il vino, per i formaggi, per la pasta, per i corsi, per i romanzi, per gli orologi, per le auto, per le piante, per...