In questi giorni prenatalizi mi sto divertendo ad aprire un po' la qualunque, a bottega. Il rito è più o meno sempre il solito, da queste parti io non creo eventi alla maniera Facebook, semplicemente stappo random quel che mi va. Chi c'è c'è, e chi passa da queste parti già sa.
Per esempio ieri scaricavo i nuovi arrivi dalla Montagna di Reims (giretto di parole per dire Champagne). Manceaux è la cosa nuova e manco a dirlo l'ho aperto al volo, tanto per. L'assaggio del Premier Cru non mi ha deluso, e menomale, adesso è bello brioscioso (sa di brioche, cioè) e ha tutto il necessario per riconciliarmi col mondo - perché a questo serve, lo Champagne. "Cosa ci abbini con lo Champagne?", mi chiede uno. "Quasi tutto, e soprattutto i momenti felici", rispondo io. Non so, forse non è una risposta tecnica da sommellerie, ma è la migliore che mi è venuta fuori. Questo champ costa sui 32 euri, qui.
Ieri poi passa un altro cliente, mai visto prima. Mi dice se (pagando) da me si può bere qualcosa. Così gli spiego che no, io non faccio quel genere di servizio, questa è ancora un'enoteca terribilmente old economy, "però ho dello Champagne aperto, assaggialo gratis, tutto sommato non caschi male", aggiungo. Quello mi guarda un po' sorpreso, e poco dopo eravamo amiconi. In fondo 'sto mestiere non è difficile.
Giorni fa invece apro l'Amarone 2013 Le Bignele, altra new entry. Il genere di assaggio ti piace vincere facile, potremmo dire, ma c'è di buono che quell'Amarone contiene con eleganza la botta da fruit bomb che affligge un po' la denominazione. Volendo scrivere la sua recensione, nella terminologia minimalista che oggi caratterizza il linguaggio della nuova critica del vino, che è destrutturata, potremmo dire che è molto, molto buono. Poi ci scappa pure un accenno al perfetto equilibrio tra freschezza (acidità, cioè) e frutto, ma questo sarebbe old school, come descrizione. L'Amarone di Bignele costa sui 33 euro.
Alla fine degli assaggi, il più delle volte giocavo a spiazzare i clienti. Da queste parti è disponibile, in mezzo alle altre cose birrarie, una versione affinata in barrique (sì, botti usate che hanno contenuto vino) dell'Extra Brune di Maltus Faber - qui ci sarebbe un approfondimento su Extra Brune, per chi vuole saperne di più.
Com'è, come non è, ogni volta che i miei clienti enofili mi vedono maneggiare una birra, mi guardano sospettosi. E ogni volta spiego che esiste questa cosa, la birra artigianale, che sto studiando come si studia il greco e il latino (ma prima o poi questa cosa sarà tema di un altro post, ancora da scrivere). La bottiglietta si piazza cospicua e apparentemente fuori posto in mezzo ad Amarone e Champagne. "Ma che c'entra?" mi dice il cliente più benevolo.
Esiste un solo modo per rispondere correttamente a 'sta domanda: mettere quella birra nel bicchiere.
Molto scura, alcolica, molto morbida, naso alquanto sconvolgente tra liquirizia, spezie, torrefazione, chiodi di garofano, vaniglia - potrei andare avanti ancora un po' ma la smetto qui. La cosa più divertente a quel punto era vedere le espressioni di chi la assaggiava. Era un crescendo che culminava, di solito, con "ahh, ma allora, ecco perché".
Ecco perché la vendo, voleva dire. La bottiglietta da 33 cl. sta sui 6 euro. Con cosa si abbina? Vista la potenza alcolica (10 gradi) e la stazza morbidona, io la vedo a fine pasto, per chiudere in bellezza su un dessert cioccolatoso, oppure assieme al mio sigaro toscano preferito, se avete lo stesso mio vizio. Oppure associata a momenti di felicità, ecco, esattamente come quell'altra cosa che dicevo prima. Sì, in fondo 'sto mestiere non è difficile.
Il senso del titolo "finto birrino" si deve al fatto che la bottiglietta in questione ogni volta appariva come fosse intrusa, in quegli assaggi, come fosse un birrino, termine diminutivo, e invece no, non è affatto un birrino, lo è solo per finta.
Nessun commento:
Posta un commento