venerdì, gennaio 11, 2008

Elementi fenomenologici dell'enotecaro, inserito nella societa' moderna

Intro.
Dopo il mio outing, riassumibile in "francamente cambierei aria", Marco, qui, dedica il suo quarto sondaggio su "le opinioni del vino" alla figura dell'enotecaro, come dovrebbe essere e cosa dovrebbe fare; nell'indicarvi le sempre gloriose iniziative de I numeri del vino, provero' ad integrare i dati numerici con un alcuni sbrodolamenti verbosi, peraltro non esaustivi. Buon divertimento.

Chi e' l'enotecaro, e cosa caspita fa.
Ci sono (almeno) due tipi di enoteche: i quasi-ristoranti, e le botteghe che vendono vino, senza sbicchierarlo; rientrando io nella seconda categoria, trattero' di tale configurazione. All'interno di quest'ambito, poi, spesso le enoteche vendono, assieme al vino, alimentari selezionati; non e' il mio caso, io vendo solo vino e pochi distillati, sono duro-e-puro (o iperspecializzato, fate vobis). Tutto questo per dire che l'enoteca e' un concetto un po' nebuloso, quindi eviterei di addentrarmi in ulteriori distinguo, ma focalizzerei le possibili mission (ammesso che ne abbia; certo che scrivere mission fa sempre figo, eh). Questo serve piu' che altro per definire il commerciante dettagliante, prescindendo dall'ambito. Quindi, in generale, l'enotecaro e' un bottegaio che vende vino.

Il bottegaio va alla guerra.

Nell'anno di grazia duemila e otto la figura del dettagliante deve considerare, con attenzione, la sua funzione e la sua utilita' nell'ambito delle dinamiche della distribuzione moderna. Deve, cioe', valutare cosa vendere, e come, all'interno di un meccanismo distributivo che, con spietata precisone, vede la GDO (Grande Distribuzione Organizzata, supermercati) come referente istituzionale, in quanto piu' razionale, piu' bella, piu' tutto; non mi dilunghero' affatto a dir male della GDO, ma vi rimando alla lettura definitiva in materia. Del resto, curiosamente, non ho una cattiva opinione della GDO in senso assoluto, semmai tengo a dire che io, e loro, facciamo mestieri diversi. Tuttavia, nel corso degli ultimi trent'anni, meccanismi che non a caso ho definito spietati hanno concorso a presentare la GDO come formula distributiva non solo migliore, ma quasi esclusiva; in un mondo di ipermercati sberluccicanti s'e' consumata la strage di centinaia di negozi di quartiere; la razionalizzazione della distribuzione, intanto, sembra lontana dall'avverarsi, visto che il gigantismo della GDO richiede transumanze bibliche di merci standardizzate, prodotte da industrie, che ingolfano ogni via del belpaese; eppure, tra l'altro, la razionalizzazione della distribuzione e' stata, da sempre, la cifra qualificante della supremazia della GDO sulle botteghe. Come dicevo, nell'attesa fu strage; io lavoro in una via che, negli anni cinquanta, era una via piena di negozietti; i vecchi (mi) ricordano ancora che ogni basso era un punto vendita di frutta e verdura (era una via specializzata in verdurai e vinai, pare). Oggi chi ripercorre a piedi via Donizetti, senza inciampare in un asfalto indegno del Botswana, vedra' solo box auto; i negozi sono diventati custodie per il piu' amato dei simulacri. Dove sono andati tutti i commercianti? Sono finiti, silenziosamente, nel cimitero delle partite IVA. Loro non fanno prigionieri, e noi, uno dopo l'altro, stiamo cadendo. A meno che non si capisca come reagire, in una logica di guerriglia.

Il delirio del bottegaio Vietcong.
Quando il nemico e' soverchiante, quando non fa prigionieri, non ha alcun senso fronteggiarlo; meglio, non ha alcun senso continuare la battaglia; paradossalmente, bisogna riconoscere quando la guerra e' persa, e dedicare le energie ad altro. Cosi' facendo si riesce meglio a focalizzare l'aspetto dell'utilita' sociale del commerciante; oggi il lavoro del commerciante deve per forza di cose porsi come propositivo, ed alternativo alla GDO, affinche' possa in qualche modo dirsi socialmente utile. Questo significa, nello specifico, abbandonare al loro destino i brand da supermercato, e recuperare la funzione del mercante (il secondo mestiere piu' antico del mondo) mettendosi alla ricerca di produzioni alternative, artigianali, qualitative; questo, in poche parole, significa smarcarsi da un confronto impossibile, e recuperare utilita' sociale. A questo riposizionamento, non lo nego, e' connesso pure un aspetto "ideologico", la' dove ideologicamente io propongo di non essere piu' tramite di vendita per marchi che non hanno nulla di originale, che non costituiscono affatto un servizio al consumatore finale. Sono, poi, parte integrante del meccanismo che ci stritola. Facciamo un esempio concreto.
Molto tempo fa un mio collega agghindo' la sua vetrina di Berlucchi; quel collega e' un opinion leader, e mi capito', nei miei soliti modi sarcastici, di apostrofarlo cosi': "spero bene che Berlucchi ti paghi regalandoti un bancale, e non certo che tu paghi lui, siccome gli stai preparando, a lui e alla Coop, le vendite di Natale". Ed infatti quel Natale Berlucchi era sottocosto alla Coop (eccoli, i famosi meccanismi spietati) ed il collega fece la solita figura dell'utile idiota, della cinghia di trasmissione nel motore della comunicazione. Perche' facciamo questo? Perche' ci riduciamo a fare gli utili idioti per lorsignori, e non ci riappropriamo di una funzione che avrebbe senso commerciale? Perche' siamo pigri, e in un certo senso ce lo meritiamo pure, d'essere falciati via senza pieta'.
Se vogliamo in qualche modo essere alternativi, dobbiamo, anche "ideologicamente", dire no a certi brand. Questo, va detto, resta una mia personalissima teoria, peraltro assai inapplicata da quasi tutti i commercianti, i quali strillano contro l'apertura di supermercati, contro le vendite sottocosto, cioe' combattono le famose battaglie perse in partenza, senza decidersi a cambiare la strategia, e senza capire che siamo, ormai quasi tutti, Vietcong.

Si, vabbe', ma allora?
Ovvio che le cose non sono cosi' semplici. Andare a fare la vita del Vietcong, vivere in una buca e mangiare vermi, non e' assolutamente appealing; fuori di metafora: mediamente, il bottegaio non si sbatte volentieri, meglio vendere quelle due o tre griffe che che ti chiede la massa, piuttosto che ammazzarsi essendo propositivi. Eppure, a costo di restare minoritario a vita, io credo che questa sia una delle poche vie seriamente percorribili, per chi vuole dirsi commerciante, e non porgitore. Oltretutto, tornando al mio ambito ristretto, questo e' un settore fortemente disintermediato, dove il prodotto si puo' validamente acquistare alla fonte, quindi l'enotecaro deve moltiplicare gli sforzi per giustificare il valore aggiunto. Questo si ottiene, credo, attraverso l'originalita' della proposta, dandosi un gran daffare, essendo selettivi, essendo competenti. Si ottiene avventurandosi in importazioni dirette di Champagne, piuttosto che gabellare Veuve Cliquot. Il tutto, cercando di reggere agli scricchiolii strutturali che si sentono da un po', siccome il mondo si comporta schizofrenicamente, dice "recuperiamo i negozi di un tempo" poi raddoppia le uscite al casello che serve il prossimo ipermercato, mantenendo gli arredi urbani della citta' vecchia ad un livello difficilmente comprensibile.
Questo e' un mondo complicato, e anche per questo voglio riflettere su che fare.

[La foto che correda questo post ritrae mio padre, alla fine degli anni '40, davanti alla sua prima osteria, a Genova, quartiere Foce. Non aveva ancora trent'anni.]

11 commenti:

  1. Ciao Fiorenzo,
    pensierino per te:
    Il segreto in affari sta nel sapere qualcosa che nessun altro sa

    e te di cose ne sai tante

    Luciano

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  2. Quando "scorro" i tuoi post, di solito leggo cose che penso anche io, la cosa brutta è che abbiamo ragione.............
    posso solo ricordare a quelli che non hanno un lavoro stabile che 1000 mq di GDO assumono 30 persone (di solito a tempo determinato) e che 1000 mq di commercianti ladri ed evasori ne assumono 100?

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  3. Buonesera Fiorenzo, di solito ti leggo ma non posto. Stavolta, avendo anch'io un piccolo angolo di enoteca nel mio punto vendita, mi sento preso nel mezzo e ti dico che ciò che scrivi per me è tutto giusto ed estremamente concreto. Ci sarebbe stato lo spazio anni fa per i commercianti dei centri storici di coalizzarsi e trasformare i centri cittadini in centri commerciali non troppo virtuali; alcune realtà l'hanno fatto con buoni risultati, partire oggi non avrebbe senso. Perchè non fai mescita? Piccola distribuzione con Ho.Re.Ca? Per il discorso specializzazione: io ho in esclusiva per la mia provincia un bravo produttore di Prosecco che mi lascia lavorare bene con i margini, e devo dire che ne vendo, se solo avessi un po' più di tempo per proporlo in giro...
    In definitiva credo che anche il commercio "alternativo" oggi non paghi più; l'unica cosa per me è segmentare, e che il cielo ce la mandi buona... ;-)
    Tieni duro!

    Mirco

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  4. Qualche volta mi sono chiesto come mi comporterei se fossi un enotecaro, ed il risultato e' quello che dici tu. Devi essere diverso, non concorrente della GDO. Cosa non puo' fare la GDO lo devi fare tu, e quindi questo vuol dire non solo prodotti diversi, ma anche un diverso servizio di consiglio al cliente. Io amo farmi consigliare da qualcuno che so che conosce, e non penso di essere il solo.
    Ora, tu hai toccato un punto fondamentale della sopravvivenza delle enoteche: fare un servizio diverso dalla GDO, cercare prodotti diversi, proporli in modo diverso. Dovrebbe essere anche divertente, se non costasse un bel po' di fatica, di tempo, e di soldi.
    E qui si arriva al mio punto, che inspiegabilmente da noi non riesce a prendere piede: non perche' l'enoteca fa un lavoro diverso rispetto alla GDO che per forza deve essere piccola, fragile, esposta alle intemperie.
    Perche' invece l'enoteca non puo' diventare qualcosa di grande ed organizzato. Perche' non puo diventare una, due, tre, cento enoteche che a livello nazionale si preoccupano di dare un servizio diverso, moderno, di qualita' sul vino in Italia? Non c'e' qualche imprenditore disposto a investire su un modello che non sia la GDO ma nemmeno l'enoteca che apre e chiude in due anni? E al tempo stesso, la distribuzione del vino come si presenta oggi in Italia, e' destinata a non evolversi e cambiare mai?

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  5. Fiorenzo,
    se si riuscisse a dirottare in Via Donizetti, solo lo 0,1% del traffico umano che sciama in Via Sestri...
    Luk

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  6. Per Mirco (Blog&Wine): il mio progetto d'enoteca non prevede la mescita, per millanta motivi, primo dei quali il fatto che io "provengo" da locali aperti al pubblico, e volevo far altro. Quanto alle esclusive, ed al servizio horeca: sono entrambe cose che coltivo da tempo, con discreti risultati.
    Per Gianpaolo: come vedi io sposto il problema a livello di commercio al dettaglio, piuttosto che limitarmi al mio ambito merceologico; e siccome la questione dovrebbe riguardare tutti, mi chiedo, e ti chiedo: ma perche' dovremmo "ingigantirci"? Perche' non c'e' modo di lavorare, serenamente e produttivamente, a livello di piccola bottega? Questa logica di crescita obbligatoria, tipo le banche che si fondono per meglio fottere il cliente, e' o non e' la causa del mare si spazzatura che ci ammorba? [Apprezza la figura retorica, pliz :)]

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  7. Ciao Fiorenzo, io sono un enotecario venticinquenne che esercita a Radda e ancora deve decidere se continuare su quello per cui ha studiato oppure insistere sul bottegaio enotecario. Una cosa però te la dico: credo ci possa essere poco di tanto soddisafacente dal punto di vista lavorativo, quanto vedere ritornare un vecchio cliente a cui hai fatto conoscere qulcosa di nuovo e come te se ne è innamorato. Sembra poco,ma è questa sensazione che mi fa venire i dubbi più grandi.

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  8. Fiorenzo, rimango sempre assai basito quando si teme che l'Italia prenda i "difetti" degli altri paesi. C'e' chi ha paura dell'iperliberismo, c'e' chi critica la logica della crescita gigantica.
    Ma io dico: ma dove diavolo sarebbero questi fenomeni in Italia? Non sarebbe il caso di "assaggiarli" un po', prima di averne paura o critocarli?

    Io credo all'idea che si possano creare cose che funzionano con maggiore efficienza delle attuali, in tantissimi campi, specie nel servizio al dettaglio dove secondo me siamo arretratissimi, con costi alti e servizi di bassa qualità. Credo però che per farlo, in molti casi, ci sia necessità di una massa critica. Io ho davanti agli occhi l'esmpio del UK, dove il servizio al cliente è di molto superiore al nostro. Là forse ci si potrebbe lamentare dell'eccesso di dimensioni (e qualcuno infatti lo fa) di giganti come Tesco, nel campo della grande distribuzione, e della scomparsa dei negozietti indipendenti, completamente soppiantati dalle catene. Ma farlo da noi mi pare paradossale, visto che la situazione nostra è opposta.

    Tra l'altro sono convinto che anche in UK si stia ripensando il sistema distributivo, per renderlo più adatto alla riscoperta del gusto " à la Slow Food" che sta crescendo anche là. Ma sono sicuro che da noi un eventuale crescita nel senso quantitativo del termine sarebbe diversa, non fosse altro perchè i tempi sono diversi. Come dimostra del resto il caso Eataly, che volenti o nolenti mi sembra un passaggio interessante.

    Insomma Fiorenzo, dire: "non cresciamo troppo", qui, nel paese del "piccolo è (era) bello" è un po' come vedere gli Arabi Sauditi che mettono i pannelli solari sulle case.

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  9. Gia', infatti io sarei per la decrescita. Del resto, se fossi arabo, usarei i pannelli solari, inquinano meno.
    Il gigantismo c'e' gia', la GDO e' un fenomeno di crescita gigantica, il cui assaggio mi provoca evidenti rigurgiti; come mi e' capitato di dire altrove, io auguro ogni fortuna ai vari Eataly, che peraltro non ne hanno bisogno, visto che lorsignori son gia' tutti in ginocchio davanti al fenomeno di turno; prendo atto che piccolo era bello, oggi e' solo inefficente; il sospetto ce l'avevo.

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  10. Quella dei pannelli me l'aspettavo... :-)
    Per quanto riguarda Eataly, non so se ti riferivi a me, non sono tanto inginocchiato di fronte al fenomeno di turno, ma di fronte al fenomeno in quanto tale, come opposto all'assenza di qualsiasi fenomeno di qualsiasi matrice come sembra essere la norma a queste laitudine.
    E per finire, eri uno di quelli che pensava che "the size doesn't matter?" :-)

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  11. Lorsignori=il potere. Non sei ancora "il potere", Gianpaolo ;-)
    "Its not the size of the boat but the motion of the ocean".

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