Questo è un blog enoico.
Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha
carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è
interessante. E non è industriale.
Le ultime consegne alle solite son le più funamboliche. Poi piove (tempaccio), sono in auto e mica posso usare le quattro ruote per i servigi last minute. Menomale che ho la bici a bottega. Ed ecco l'enotecaro maglia rosa che consegna, nel quartiere, per conto dei clienti ritardatari. Oh, se non è recession economy questa, non saprei cos'altro sia. E' pure molto ecologico, downsizing, downshifting, quelle robe lì. Pronti per il 2011.
A fine estate faccio il bilancio esistenziale, a Natale quello finanziario. Ormai è una costante, e se uno legge a ritroso in questo blog sa che più o meno è sempre così. Ed ecco quindi un quasi-puntuale e quasi-preciso tentativo di fare qualche tipo di bilancio.
In estrema sintesi, la notte è buia e senza luci, nemmeno quelle piccole tipo le casette nel bosco nelle favole dei fratelli Grimm: non si vede una cippa. Scusate se mi scappa il cazzeggio, ma onestamente mi chiedo fino a che punto sia giusto lacrimare sulla parola crisi, visto che la costante degli ultimi cinque anni è un lento discendere del livello dei consumi: come ho già scritto, questa non sembra una congiuntura ma una discesa costante, inarrestabile, una specie di riassestamento (in peggio) dei livelli collettivi socio-economico-qualchecosa. Come dice Phastidio.net, è un problema di crescita insufficiente: anche io mi accorgo di essere incastrato in un meccanismo perverso nel quale non sviluppo maggiore lavoro, anzi, questo si riduce. Produco meno, guadagno meno, consumo di conseguenza: e via così, tutti quanti.
Esempio concreto: quando gestisco l'omaggistica natalizia di un'azienda (poniamo: la spedizione di cinquanta regali ad altrettanti destinatari italiani) il fattore tempo impiegato-soluzione dei problemi-packaging è identico sia nel caso che la confezione costi, esempio, venti euro, o duecento. La differenza in termini produttivi dovrebbe essere evidente, a parità di impegno. Ebbene, una costante degli ultimi anni è stata la flessione dei fatturati destinati, dalle aziende, a questa omaggistica; in parole poverissime, si fanno spedizioni da venti euro, quando prima la stessa azienda aveva una spesa media, se non di duecento, perlomeno di quaranta. E questo è solo un aspetto, marginale, della vicenda che resta comunque più complessa di così. In realtà il mio punto di vista è notevolmente limitato dalla dimensione e dalle caratteristiche del mio business; per fare un esempio, negli ultimi anni ho mollato tutti i clienti che avevano il vizio di pagare con scadenza "mai": quindi, un bel taglio al fatturato l'ho dato pure io, in questo modo. Insomma, non c'è pretesa di descrivere i megatrend economici; mi sto solo limitando a guardare fuori dal mio vicoletto. Lo spettacolo è quello che è, nessun segnale positivo in vista.
Insomma, questo Natale fa freddo. Fa così freddo che ho tradito la mia missione e ho mollato lo scooter e son venuto a bottega in auto. Fa freddo, le vendite son congelate e le previsioni raggelanti. E allora che venga, venga la fine del mondo in ottanta giorni. Che arrivi 'sto diluvio, voglio proprio vedere com'è.
SenzaTrucco è il nuovo blog eno (sì, c'è sempre bisogno di nuovi bog eno, se sono così) ad opera di Giulia Graglia, un'assaggiatrice-cinefila-unsaccodialtrerobe che ho conosciuto col team Dissapore. Dal questo post prendo il filmato che vedete, relativo a San Fereolo. Esempio tipico di fornitore "mio".
"Oggi coltivare la terra in modo contadino è eversivo. Di fatto non a parole. Ed è eversivo in quanto atto, non per la fede politica. Staccarsi dalla chimica, dalle banche del seme, dalla meccanizzazione selvaggia, è eversione. Né di destra né di sinistra. Solo eversione. Non aderire ad un modello è eversivo. Proporre e praticarne un altro è eversione. Proporre un formaggio che si può fare solo 2 mesi all’anno è eversione. Una agricoltura a ciclo chiuso è eversione. Anche se non porta nessuna bandiera e nessun slogan. La non dipendenza oggi è eversione. Diffondere i saperi contadini è eversione. Recidere il legame con le banche, il con il sapere ufficiale è eversione. Produrre e mangiare insalata senza pesticidi e piena di sapore è eversione. Pane di plastica, è mainstream. Confesso sono un pericoloso terrorista, il pane, che mi cuocio nel forno a legna, il vino che mi son fatto, le verdure dell’orto della mia compagna sono pericolosissime pistole fumanti."
Allora, c'è questa bella storia dello spumante Abissi, quello spumantizzato in mare. Dai che la sapete la storia, io ne ho scritto di qua e di là ma ora non ho voglia di linkarmi - semmai vi linko il blog enogastro più supercool del momento, altro che dissapore: quello di Egle Pagano. Cioè davvero un blog troppo forte.
Letto tutto? Bravi. A me è piaciuta la cosa del prezzo imposto per la vendita, solo 35 euri.
A parte il fatto che la cifra mi pare una roba da svenimento: tanto per non fare paragoni in palese conflitto di interessi c'è un enotecaro (io) che ha in arrivo in una certa enoteca (la mia) uno Champagne Récoltant 1er Cru Blanc de Noirs, e costerà 32 (trentadue) euri. A parte la bazzecola, quindi, vediamo un po' 'sta storia del prezzo imposto.
...'zzo è il prezzo imposto? Stai a vedere che questi hanno finalmente trovato la soluzione alla menata del prezzo sorgente. Cavoli ma è geniale, pura Corea del Nord; anzi, occhio in Franciacorta che non vi arrivi qualche tiro di artiglieria dalla Riviera di Levante. Insomma abbiamo risolto il problema dell'anarchia dei prezzi, imponiamo un bel prezzo di vendita agli esercenti, e siamo tutti felici. Pure voi clienti siete felici, vero? Vi vedo già a ridere.
E' il caso o no di dire che questa cosa è una vaccata? E' il caso. Perché delle due l'una: o davvero pensano di imporre un prezzo di uscita, realizzando la cosa esecrabile che va sotto il nome di cartello (e come fanno a controllarlo lo sa il cielo) oppure questa è una sparata, siccome è sicuro come l'oro che ogni commerciante in casa sua fa il piffero che gli pare - anzi adesso ve ne fornisco la prova. Ricordate cosa v'ho detto del mio Champagne a 32 euro? Ecco, il primo che cita "Abissi" in enoteca da me lo porta via a trenta. Olè, ecco fatto, prezzo imposto my way.
E adesso, in cauda venenum. Acido finale. Leggerete ovunque di questa cosa dello spumante Abissi, di quant'è buono, e figo (non metto i link per amor di patria). Ma uno, dico UNO che abbia chiesto "che diamine è il prezzo imposto??" - ecco, quello no. Poi uno dice i giornalisti. Ma porc.
Ho cercato "novello" su Google News, ma il risultato è stato un po' deludente. Sembra che l'hype stia svanendo. Cocciutamente, a bottega è tornato il Tempuriu di Durin.
"Non si ha notizia della posizione di un quarto ministro che pure dovrebbe interessato alla vicenda, quello del Turismo Maria Vittoria Brambilla. Infatti, come noto, i ‘posti di blocco’ che attualmente sono piazzati attorno all’WiFi costituiscono una notevole scomodità per gli stranieri, che quando arrivano in Italia e scoprono di non potersi collegare alla Rete con il proprio pc da un bar restano di sasso".
Fintanto che le sorti del turismo nel belpaese sono affidate a questa gente stiamo freschi. Del resto sono troppo affaccendati a declinare le parole liberismo, liberalizzazioni, e soprattutto libertà. La loro, credo.
Allegri ragazzi, la notizia è di quelle che ci piacciono: la vendemmia 2010, come di consueto, è ottima. In quel certo consorzio spammarolo del mattino presto, poi, la vendemmia è ottima in tutto il consorzio. E che avete, la bacchetta magica? (Che poi lo so benissimo, è sempre la stessa lagna sui comunicati dei poveri addetti stampa che a loro volta sono sottopagati e tiranneggiati dai direttori dei consorzi. Ma fino a quando continuerete a raccontarci le cose in questi toni entusiastici, fané, brochurali e fuffosi? E noi che siamo i fighettissimi bloggaroli, fino a quando continueremo a farvi le pernacchie? Forever and ever. All'infinito).
Tanto per farsi un'idea abbastanza definitiva di quella robina archiviata come Brunellopoli, qui Gian Luca Mazzella fa il punto. Un piccolo assaggio:
Attorno al cosiddetto “affare Brunello” è stata fatta non poca disinformazione. Anche da parte di chi, per mestiere, dovrebbe informare: ma evidentemente ha motivo di non farlo. C’è anche chi ha tentato, ma è stato impedito. O chi ha scritto di aver tentato, ma in modo palesemente goffo e inetto. Tutti questi però, come secoli fa ha scritto Francesc Eiximenis a proposito degli Italiani, hanno bevuto e ribevuto: “esaminando e riesaminando il vino come fanno i medici con le urine”.
E' lunedì, giorno dedicato a faccende tetre sul genere banca, seccature, pianificazioni economico-esistenziali. Alle spalle abbiamo (ho) un paio di settimane francamente dimenticabili. Una delle prime letture del feed reader è questa: Barolo in vendita nei supermercati a euri 5,99: l'impressione è quella d'essere nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Probabilmente il posto giusto è Marte. E quelli che dicevano che i blog sono uno sfogatoio, avevano pure ragione.
Esistono infiniti parametri. Potrei dirvi: quello che vi pratica il prezzo più basso. Oppure quello che vi allega benefit (viaggi, vacanze, scarpe che respirano, escort, eccetera). Ci sarebbe anche il genere "quello che vi piace", cioè il fornitore che produce un vino coerente col vostro gusto - ma questa è la scelta più ovvia.
Poi ci stanno pure i parametri a contrario. Un produttore che ha un ufficio stampa che sbraca in questa maniera, per esempio, per me è destinato alla vaporizzazione. Puff, dissolto. "Mangiare è un atto agricolo", conoscete il mantra, giusto? E' pure un "atto politico". Allora anche l'uso che facciamo del nostro danaro è agricolo e politico, basta decidersi.
Cominciamo dalle buone notizie: l'enoteca torna operativa oggi pomeriggio. Diciamo che lo sgombero del fango (all'interno) è all'ottanta per cento ultimato e quindi, con solerte spirito bottegaio genuensis, riattacchiamo il registratore di cassa. Nei prossimi giorni proseguono le pulizie. Per il resto, il quartiere è nel delirio. Ci sono almeno un centinaio (ma alcuni parlano di duecento) di negozi distrutti. Vuol dire che questa gente non torna a lavorare fino a chissà quando. In un momento così per molti il disastro significa campana a morto. Decine di famiglie hanno perso auto, moto, ovunque ci sono cumuli enormi di roba alluvionata. Per me che sono portatore sano di partita IVA vedere ammassati col fango frigo bar, tavoli e sedie, tutta roba inequivocabilmente uscita da attività commerciali, è stato parecchio duro. Questa mattina la Municipale ha chiuso l'accesso al quartiere a tutti e il caos era quasi completo (del resto vogliono favorire lo sgombero del fango - magari arrivassero pure qui). L'immagine che vedete è ripresa fuori dal negozio. Curiosamente, si tratta di un posteggio moto già oggetto di un vecchio post, serve a fare un raffronto (e non si può nemmeno dire che ieri fosse tanto meglio di oggi). E con questo spero di esaurire 'sto piffero di topic e tornare a qualcosa di simile alla normalità. Uff.
[Quasi dimenticavo: grazie a tutti per i messaggi di solidarietà arrivati con ogni media. Vi lovvo]
Il quartiere di Sestri Ponente e' sotto un palmo di fango. E la bottega si presenta come vedete. Considerando quel che è successo, me la cavo con turni extra di pulizie, e ne avrò per qualche giorno. Allegria. Certo che ci voleva proprio, eh?
[Update delle 12.18] E' parecchio peggio di quello che sembrava. L'elettricità salta spesso (acqua nelle prese?) Ovunque uno strato di fango omogeneo di dieci centimetri, e parecchie casse rovinate e inzuppate. Questo nonostante io abbia la scimmia di piazzare le casse su vecchie scatole di legno per sopraelevarle dal pavimento, ma ugualmente ho passato la mattina a risistemare il magazzino. La strada è uno sfacelo totale, e quel che è peggio, non arriva nessun aiuto. Per la verità molte zone del quartiere stanno impegnando i soccorritori, ci sono scene da tregenda, auto una sull'altra, negozi sventrati dalla piena. Alle solite, meglio non lamentarsi. Un attimo di respiro, poi attacchiamo il mare di fango.
[Update delle 17.15] Abbastanza esausto, non sono nemmeno al 30% del lavoro fatto. In compenso spalare fango è educativo (l'avreste mai detto?) tipo che si solidarizza con vicini e abitanti del quartiere, e insomma ci si da' tutti da fare. Cerchiamo di ripulire anche la strada perché come detto le squadre sono altrove. Cameo del giorno, un ragazzo che è entrato in bottega e s'è messo ad aiutarmi. "Ti ricordi di me? Mi avevi regalato quella cassa di legno vuota". Il Cielo mi fulmini se mi ricordo. Note to self: regalare sempre, ricordare non serve. Infine, date un'occhiata al filmato: le scene si svolgono a circa 500 metri da me. Il corso d'acqua si avvia veloce verso la parte bassa del quartiere. E indovinate chi c'è, nella parte bassa?
Comincia ad essere imbarazzante: leggo una roba su Intra e finisco per comprarla. Assaggiando il Syrah di Stefano Amerighi, e ricordando il post relativo, che potevo fare? Preso. Poi è arrivato Nino Barraco (a me sono piaciuti il Pignatello 2007 e il Grillo 2008). Casualmente, ecco dove l'ho conosciuto. Qualche giorno fa assaggio il Pignoletto frizzante 2009 di San Vito, e l'ho inserito a listino al volo. Ma aspetta, dove ho letto di questi? Manco a dirlo, qui.
[Il Pignoletto dei Colli Bolognesi frizzante, di Vigneto San Vito, lo vendo a euri sette e sessanta. Secondo me best buy. Io ve l'ho detto].
Un paio di aggiornamenti sulla vigna dei Cannubi che dovrebbe essere estesa, quindi dovrebbe consentire qualche bottiglia in più a chi-di-dovere. Alessandro Masnaghetti dice che non è del tutto vero: "la produzione di Barolo Cannubi non verrebbe raddoppiata ma sarebbe semplicemente uguale a quella attuale". La variante toponomastica la fanno per chiarezza, ci sono particelle col nome doppio (tipo Cannubi Muscatel) che verrebbero ricondotte ad un'unica denominazione (Cannubi e basta) - in poche parole lo fanno per noi, per amore dell'umanità, per non confonderci le idee. Eravamo quasi grati, quando abbiamo letto il commento di Marta Rinaldi: "indebitamente si assegna una delle più prestigiose menzioni geografiche del Barolo ad aree che un tempo non erano nemmeno indicate come “Cannubi”, o che ancor peggio sono state per certo periodo inserite nel piano edilizio comunale - è proprio il caso del Cannubi Muscatel". Ecco, mi pareva...
Tutto molto appassionante. Meanwhile, a Cirò, pensano davvero di inserire vitigni migliorativi nella denominazione locale. I soliti Cabernet e Merlot a dare man forte al Gaglioppo che proprio non ce la fa da solo (ma povero). Che sia vero o no (io penso di no, ma è solo un'opinione) l'argomento fulminante me lo fornisce Gian Luca Mazzella via Il Fatto Quotidiano: il presidente del locale consorzio "ha sostenuto la necessità di cambiare il disciplinare per legalizzare una situazione in corso da 40 anni". Ma dai! Allora è solo questo? Una sanatoria? Oh-so-déjà-vu.
E così il Grande Vino è (sarebbe) il Tre Bicchieri per Slow Food. In attesa che escano le guide cartacee (che sono un po' come Silvio, sembra che tracolli ma non molla mai davvero) ci impegneremo nel giochino di società: che significa "grande vino"? Equivale a "tre bicchieri"? E' il "sole" di Veronelli? E' 95/100 di Parker? - No perché, se ancora non fosse chiaro, quassotto la suburra degli enonauti vuole il sangue. Vuole vedere la lotta dei gladiatori. Altro che buonismo da "non vogliamo fare classifiche". Seee, quandomai.
La verità è che si stava meglio quando si stava peggio. Io rivoglio indietro gli anni novanta. Rivoglio i tre bicchieri - quelli veri - che quando un produttore li esibiva, stai certo che era un vinone sul serio. Rivoglio i tre bicchieri dati alla Liguria col contagocce: uno ogni sei anni, se andava bene, altro che l'orgia ultima. (Aggiungerei: altro che tre bicchieri verdi, marroni o beige). Ridatemi indietro i Barolo Boys, lo stand "Langa In" di quei Vinitaly quando il turbomodernismo era una promessa di futuri radiosi. Ridatemi le analisi visive che se un vino era opalescente, era difettoso, che qui non ci si capisce più niente. Insomma, ridammi indietro la mia seicento, i miei vent'anni e una ragazza che tu sai.
Atlante delle grandi vigne di Langa, edizioni Slow Food, 1990: "La più antica bottiglia delle Langhe è conservata in Bra presso la famiglia Manzone e porta un'etichetta con la scritta CANNUBI 1752. Tale prezioso cimelio sta a dimostrare come il Vigneto Cannubio o Canubio o Cannubi fosse già famoso e valutato prima dell'avvento del vino Barolo".
Insomma, un cru, come direbbero i francesi. Una vigna singola che qualifica il vino prodotto lì. E' difficile invece qualificare (desiderando restare a piede libero) i geni del marketing che hanno chiesto ed ottenuto l'allargamento dell'area denominabile Cannubi. Proprio come una moltiplicazione miracolosa, l'area si estenderà, aumentando il numero di bottiglie che potranno esibire il cru Cannubi in etichetta. Che facciamo, ci indigniamo? Ci rattristiamo? Ridiamo? Sì, no, e tutte e tre le cose. Assistere al tentativo scomposto ma efficace di qualche produzione (tiro ad indovinare: un'industria?) per mettere le mani su una sottodenominazione che dovrebbe essere garanzia di qualità fa davvero cadere le braccia. Il solito autogol enoico all'italiana. Potendo salvaguardare e valorizzare le specialità, si va esattamente nella direzione opposta.
Nota comica finale. Uno dei miei barolisti del cuore, Bartolo Mascarello (l'azienda è diretta dalla figlia ora, Maria Teresa) ha vigne in Cannubi. Ma siccome ritiene ideale la produzione di un Barolo vecchio stile, ottenuto dal blend di vigne diverse, in etichetta dice: "Dai vigneti Canubbi - Rué - San Lorenzo - Rocche". Adesso aspettate quei due-trecento anni, e l'industria scoprirà che è meglio il mix di differenti particelle, rispetto al cru. Quel giorno il Comune di Barolo confinerà finalmente con La Spezia.
[Nell'immagine: l'attuale particella dei Cannubi, tratta dalla home di Pira. L'immagine a dimensioni originali è qui]