[Prefazione: il gprs in Austria non e' poi cosi' male. Probabilmente l'intera Austria non e' cosi' male]
L'aria e' tersa e frizzante, il Riesling della Wachau e' morbido, esibisce un insolito residuo zuccherino -- insolito per chi e' abituato alla selvaggia durezza minerale dei cugini altoatesini, sul genere Niedrist. Dopo tre giorni, quassu', cominci a notare qualche dettaglio: dove sono gli extracomunitari? La signora che rifa' le stanze e' austriaca; lo stradino che cesella l'asfalto (ma perche' poi? E' gia' perfetto come una miniatura) e' austriaco. In cucina non vedo l'ombra di un cingalese, o nordafricano: tutti austriaci, e' una sensazione irreale. Forse che il Tirolo non piace ai migranti? Eppure, passato il Brennero, non ho visto l'ombra di un controllo. Possibile mai che da queste parti gli extracomunitari vengano riportati di peso fuori dal confine? Il dubbio viene.
Per il resto, consola vedere che la moneta comune e l'azzeramento delle barriere doganali sono elementi (chissa' quanto consapevoli) di riunificazione del Tirolo. Passi da Bolzano all'Austria senza notarlo. Tra il sud Tirolo (o era Alto Adige? Ma soprattutto: e' importante?) e nord Tirolo, si capisce che la differenza sta nelle targhe delle auto, in dettagli amministrativi, e poco altro; per il resto, differenza zero, qua e la', pari sono. E con questo, sia chiaro, non si pensa di esaurire la ampiamente discussa questione etnica (etnica? che brutta parola) -- certo non si pretende di essere esaustivi; non si pretende alcunche'. Sono appunti di viaggio, pure disordinati.
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
lunedì, giugno 26, 2006
venerdì, giugno 23, 2006
Assenteismo
Il quipresente tenutario si assenta per una settimana, in vacanza in qualche remota landa del Tirolo austriaco. Ignorando lo stato delle connessioni, lassu', dubito di aggiornare. Auf Wiedersehen.
giovedì, giugno 22, 2006
Dr. Stranovino
Appena sentita in enoteca: "mi dia un vino bianco, ma che non abbia lieviti: sono intollerante al lievito, e il dottore mi ha consigliato di evitare certi vini bianchi, soprattutto francesi, perche' hanno il lievito dentro".
Ora, posto che il lievito inteso come saccaromiceto dovrebbe estinguersi una volta esaurita la fermentazione alcolica, mi restano un paio di dubbi:
1. Che lievito c'e' mai dentro una bottiglia di vino? D'accordo sui solfiti e quant'altro, ma che il vino potesse "contenere lievito" ammetto, mi ha un po' spiazzato.
2. Nel caso, quali sarebbero questi fantomatici "vini francesi" contenenti lieviti?
Un aiutino, come si dice, che possa chiarire i miei dubbi e' molto ben accetto.
mercoledì, giugno 21, 2006
Decisamente, arriva l'estate.
Quindi si pensa ad altro, tipo a perder tempo anziche' lavorare; con cose come queste.
[La mia preferita e' Just cant burn Enough]
martedì, giugno 20, 2006
Un buon motivo per sputare (almeno uno).
L'assaggiatore profèscional sputa, durante gli assaggi seriali. Tipicamente, in situazioni tipo fiere, competizioni ed altre simili kermesse, quando hai davanti a te un giorno intero di assaggi e' impensabile non sputare. Semplicemente, l'eccesso di alcol ingerito, nell'arco di un'ora, ti rende assolutamente inadeguato al successivo lavoro della valutazione; insomma, non si fa.
La liturgia dello sputo non e' priva di imbarazzo, tuttavia; gia' il solo termine infastidisce il fine esteta; e pure tutto cio' che al fatto e' collegato e' profondamente inelegante. L'attrezzo atto all'uso, per dire; hai voglia a cercare termini snob o circonlocuzioni: si chiama sputacchiera; evoca automaticamente fumosi saloon di film western. Sei allo stand del produttore, e dici: "hai il.. uh.. coso per sputare?" -- ma suona malissimo. Per darmi un tocco di classe io ho usato spesso l'inglesismo: "mi passi lo spittoon?" -- E normalmente l'interlocutore strizza gli occhi affetto da improvvisa miopia e fa: "eh? Che?" -- "Si, vabbe', la sputacchiera" chiudi rassegnato.
Il troppo alcol, dicevo. Certo, perdi la lucidita'; fa male, malissimo, non e' nemmeno il caso di dirlo. Potrei pure evocare il fantasma della pattuglia coll'etilometro, quanti buoni motivi ci sono? Ma tra tanti, almeno uno lo segnalerei sopra tutti.
Alla fine della giornata di duro lavoro, se hai seguito con scrupolo religioso la raccomandazione di sputare sempre, ti ritrovi splendidamente sobrio; e hai il tempo di considerare, tra la folla degli astanti, la penosa deriva di quanti non si attengono all'aureo dettato. L'effetto vasodilatatore dell'alcol, si sa, allenta i freni inibitori. In particolare, gli appartenenti alla specie femminile di questi incauti forniscono le sorprese piu' piacevoli: le femmine, data la loro suprema finezza, sembrano maggiormente restie a sputare; hanno le loro ragioni, intendiamoci: una tipa tutta perfettina, coll'inevitabile pantalone a vita bassa, la strizzante magliettina D&G, due ore di parrucchiere e stivale giusto, non e' persona che associa la sua preziosa immagine al gesto ignobile dello sputo. Accade quindi che l'algidissima tipa che alle nove di mattina non ti degna di uno sguardo, alle sette di sera ti attacca infiniti bottoni: "sei un blogger?? [risatina] Ma davvero?? [risatina] Cos'e' un blogger?? [risatina]".
Son soddisfazioni, diciamolo. Quindi sputare, sempre.
La liturgia dello sputo non e' priva di imbarazzo, tuttavia; gia' il solo termine infastidisce il fine esteta; e pure tutto cio' che al fatto e' collegato e' profondamente inelegante. L'attrezzo atto all'uso, per dire; hai voglia a cercare termini snob o circonlocuzioni: si chiama sputacchiera; evoca automaticamente fumosi saloon di film western. Sei allo stand del produttore, e dici: "hai il.. uh.. coso per sputare?" -- ma suona malissimo. Per darmi un tocco di classe io ho usato spesso l'inglesismo: "mi passi lo spittoon?" -- E normalmente l'interlocutore strizza gli occhi affetto da improvvisa miopia e fa: "eh? Che?" -- "Si, vabbe', la sputacchiera" chiudi rassegnato.
Il troppo alcol, dicevo. Certo, perdi la lucidita'; fa male, malissimo, non e' nemmeno il caso di dirlo. Potrei pure evocare il fantasma della pattuglia coll'etilometro, quanti buoni motivi ci sono? Ma tra tanti, almeno uno lo segnalerei sopra tutti.
Alla fine della giornata di duro lavoro, se hai seguito con scrupolo religioso la raccomandazione di sputare sempre, ti ritrovi splendidamente sobrio; e hai il tempo di considerare, tra la folla degli astanti, la penosa deriva di quanti non si attengono all'aureo dettato. L'effetto vasodilatatore dell'alcol, si sa, allenta i freni inibitori. In particolare, gli appartenenti alla specie femminile di questi incauti forniscono le sorprese piu' piacevoli: le femmine, data la loro suprema finezza, sembrano maggiormente restie a sputare; hanno le loro ragioni, intendiamoci: una tipa tutta perfettina, coll'inevitabile pantalone a vita bassa, la strizzante magliettina D&G, due ore di parrucchiere e stivale giusto, non e' persona che associa la sua preziosa immagine al gesto ignobile dello sputo. Accade quindi che l'algidissima tipa che alle nove di mattina non ti degna di uno sguardo, alle sette di sera ti attacca infiniti bottoni: "sei un blogger?? [risatina] Ma davvero?? [risatina] Cos'e' un blogger?? [risatina]".
Son soddisfazioni, diciamolo. Quindi sputare, sempre.
sabato, giugno 17, 2006
Incroci.
Da qua sotto, dal basso del giulivo mondo bloggante, càpita a volte che i post si incrociano tra di loro, e pure affrontando argomenti tra loro diversi, parlino delle stesse cose.
Primo esempio da segnalare: questo post di Stefano Bonilli, ad esecrare (alquanto giustamente, da come la vedo) lo scippo della titolarita' sui corsi di cucina italiana, tenuti a New York dai francesi. Dai francesi? Ma dico, possibile mai? Eppure, cosi' e'.
Secondo esempio: MiWine. Il busillis era, ci vado o non ci vado? A parte l'impegno coincidente con la nascita di WBA (hey, e' nata la Wine Blog Association, nel caso vi fosse sfuggito) -- a parte che ero altrove, proprio quel giorno parlandone con Franco Ziliani dicevo, tra il serio e il faceto, che meritava forse una visita, siccome MiWine suonava simile a MiSex e magari il team organizzativo era lo stesso; Franco, assai serio e per nulla faceto, reputava la diserzione alla fiera milanese una perdita tutto sommato tollerabile.
Se poteva restarmi un dubbio residuo su quella fiera, leggo il post acido di Susanna Crociani, che alla fiera c'e' stata in quanto produttrice: decisamente, ho fatto bene a fare altro. Vero e' che Max, di Quintomiglio, ha scritto in termini almento parzialmente non critici, ma quanto riporta Susanna Crociani merita la lettura completa; qui copio solo un estratto significativo:
I "buyer": se ne annunciavano 450 da tutto il mondo. Ho avuto l'elenco e scopro che: 1- l'importatore che si è portato dietro la famiglia (tanto avevano tutto pagato!!) viene indicato tante volte quante sono le persone che compongono il suo nucleo; 2- nell'elenco degli importatori Usa sono indicati una ventina di ristoratori italo-americani....tutti sanno che il ristorante non può importare direttamente, ma che deve passare dal distributore, che, se non è lui stesso importatore, passa da questo; 3- nell'elenco ci sono anche i funzionari ICE; 4- nell'elenco ci sono anche alcune società di promozione turistica; ecc, ecc Insomma, taglia e sfoltisci l'elenco si è ridotto a ben poco.
Una cosa sconfortante, direi. Tra il post del Papero Giallo, e quello di Susanna Crociani, c'e' un filo rosso che idealmente li unisce. Si trova in un commento letto sul blog di Bonilli, il primo commento, a firma di Piergiovanni (non conosco) che assai condivisibilmente scrive:
Questa altro non è che la riprova che non è l'Italia ad essere in crisi ma il "sistema Italia" a non essere più in grado di sostenere il paese ma solo a sostenersi autocraticamente con la sua pletora di uffici ed ufficetti diretti da gente inabile anche ad organizzare la sagra della "mulingijana china" di torricella superiore.
Tutti i successi che il nostro paese ha conquistato in questi anni,dalla moda alla cucina sono solo il frutto del coraggio e dell'abilità dei singoli,che solo casualmente fanno numero ma non sistema. La costante delle nostre storie di successo,anzi,è proprio la lontananza dalla politica e dallo Stato. Una sorta di giosa anarchia che però alla lunga poco può contro un sistema organizzato che decide di "combattere" in massa.
E' un commento che, curiosamente, potrebbe andare bene pure al post di MondodiVino sul deludente MiWine.
Primo esempio da segnalare: questo post di Stefano Bonilli, ad esecrare (alquanto giustamente, da come la vedo) lo scippo della titolarita' sui corsi di cucina italiana, tenuti a New York dai francesi. Dai francesi? Ma dico, possibile mai? Eppure, cosi' e'.
Secondo esempio: MiWine. Il busillis era, ci vado o non ci vado? A parte l'impegno coincidente con la nascita di WBA (hey, e' nata la Wine Blog Association, nel caso vi fosse sfuggito) -- a parte che ero altrove, proprio quel giorno parlandone con Franco Ziliani dicevo, tra il serio e il faceto, che meritava forse una visita, siccome MiWine suonava simile a MiSex e magari il team organizzativo era lo stesso; Franco, assai serio e per nulla faceto, reputava la diserzione alla fiera milanese una perdita tutto sommato tollerabile.
Se poteva restarmi un dubbio residuo su quella fiera, leggo il post acido di Susanna Crociani, che alla fiera c'e' stata in quanto produttrice: decisamente, ho fatto bene a fare altro. Vero e' che Max, di Quintomiglio, ha scritto in termini almento parzialmente non critici, ma quanto riporta Susanna Crociani merita la lettura completa; qui copio solo un estratto significativo:
I "buyer": se ne annunciavano 450 da tutto il mondo. Ho avuto l'elenco e scopro che: 1- l'importatore che si è portato dietro la famiglia (tanto avevano tutto pagato!!) viene indicato tante volte quante sono le persone che compongono il suo nucleo; 2- nell'elenco degli importatori Usa sono indicati una ventina di ristoratori italo-americani....tutti sanno che il ristorante non può importare direttamente, ma che deve passare dal distributore, che, se non è lui stesso importatore, passa da questo; 3- nell'elenco ci sono anche i funzionari ICE; 4- nell'elenco ci sono anche alcune società di promozione turistica; ecc, ecc Insomma, taglia e sfoltisci l'elenco si è ridotto a ben poco.
Una cosa sconfortante, direi. Tra il post del Papero Giallo, e quello di Susanna Crociani, c'e' un filo rosso che idealmente li unisce. Si trova in un commento letto sul blog di Bonilli, il primo commento, a firma di Piergiovanni (non conosco) che assai condivisibilmente scrive:
Questa altro non è che la riprova che non è l'Italia ad essere in crisi ma il "sistema Italia" a non essere più in grado di sostenere il paese ma solo a sostenersi autocraticamente con la sua pletora di uffici ed ufficetti diretti da gente inabile anche ad organizzare la sagra della "mulingijana china" di torricella superiore.
Tutti i successi che il nostro paese ha conquistato in questi anni,dalla moda alla cucina sono solo il frutto del coraggio e dell'abilità dei singoli,che solo casualmente fanno numero ma non sistema. La costante delle nostre storie di successo,anzi,è proprio la lontananza dalla politica e dallo Stato. Una sorta di giosa anarchia che però alla lunga poco può contro un sistema organizzato che decide di "combattere" in massa.
E' un commento che, curiosamente, potrebbe andare bene pure al post di MondodiVino sul deludente MiWine.
venerdì, giugno 16, 2006
Hai mica un logo che t'avanza?
Fatta l'associazione, si tratta di fare il logo. Qualche idea gia' l'abbiamo (perdonate il plurale majestatis), ma non vedremmo male pure il contributo di qualche volontario di passaggio: si tratta di inventare un logo caruccio per la Wine Blog Association, e regalarcelo. Facile, no?
Dice: e bravo, adesso ti faccio il logo gratis. No, dai, proprio gratis no: il politburo recentemente costituitosi ha emanato il seguente editto: chi invia il logo che riscontra maggiore approvazione vince una bottiglia di Barolo 2001, Schiavenza, Serralunga.
Chi si voglia cimentare, puo' inviare il frutto del suo lavoro creativo all'email di riferimento della WBA. Verra' quindi vagliato, soppesato ed infine premiato, nei tempi e nei modi ancora in via di definizione.
[Update: di Barolo Schiavenza ne parla pure Lavinium]
giovedì, giugno 15, 2006
Champagnista & bloggarolo (o blogger, vabbe').
Succede pure che, un bel giorno, scopri a bloggare uno dei tuoi champagnisti del cuore. Il blog della Maison Laherte, addirittura, e' nella duplice versione francese ed inglese: siccome io sono anglofono, ho considerato maggiormente la seconda; del resto, nelle nostre corrispondenze telematiche con Laherte, io scrivo in inglese, lui mi risponde in francese, e ci capiamo, in qualche arcano modo.
Su tutti, un post ha attirato la mia attenzione, dove si parla di sperimentazioni legate all'uso di lieviti selezionati, alternati a lieviti indigeni, o autoctoni che dir si voglia. Non desidero disquisire ancora sull'argomento: a commento di questo post di Fil, Mike Tommasi scriveva assai efficacemente che "la tesi dei lieviti nella pruina e' stata ripresa ad nauseam su internet" -- davvero, non essendo mia intenzione incrementare i consumi di Valontan tra chi mi legge, glisserei. Semmai, rimando a questa ponderosa lettura quanti desiderano approfondire.
L'aspetto che preferisco rilevare, in questo caso, attiene alla difficolta' del lavoro di chi fa vino. Fare vino e' un mestiere duro, le variabili da affrontare sono numerose, ed il tempo non e' dalla parte del vigneron; per spiegare il concetto, nel nostro ambiente si usa normalmente questo esempio: il cuoco che sperimenta una preparazione, la esegue per dieci, venti volte, a titolo di prova finche' non ottiene il risultato desiderato. Il vigneron fa lo stesso, ma per arrivare al risultato passano dieci (pure venti) anni.
Su tutti, un post ha attirato la mia attenzione, dove si parla di sperimentazioni legate all'uso di lieviti selezionati, alternati a lieviti indigeni, o autoctoni che dir si voglia. Non desidero disquisire ancora sull'argomento: a commento di questo post di Fil, Mike Tommasi scriveva assai efficacemente che "la tesi dei lieviti nella pruina e' stata ripresa ad nauseam su internet" -- davvero, non essendo mia intenzione incrementare i consumi di Valontan tra chi mi legge, glisserei. Semmai, rimando a questa ponderosa lettura quanti desiderano approfondire.
L'aspetto che preferisco rilevare, in questo caso, attiene alla difficolta' del lavoro di chi fa vino. Fare vino e' un mestiere duro, le variabili da affrontare sono numerose, ed il tempo non e' dalla parte del vigneron; per spiegare il concetto, nel nostro ambiente si usa normalmente questo esempio: il cuoco che sperimenta una preparazione, la esegue per dieci, venti volte, a titolo di prova finche' non ottiene il risultato desiderato. Il vigneron fa lo stesso, ma per arrivare al risultato passano dieci (pure venti) anni.
mercoledì, giugno 14, 2006
Proud member of...
E venne pure l'alba del giorno in cui nacque Wine Blog Association. Io (immodestamente) c'ero.
martedì, giugno 13, 2006
Marea (non la Fiat, il moto ondoso).
A Saint-Malo gli enologi bretoni sono convinti che pure la marea influenzi l'affinamento del vino [link] -- quindi, non solo la famosa luna, ma pure altri eventi legati alla natura. Teoria non nuovissima, girando per cantine capita sovente di sentire simili ipotesi. Tuttavia questi discorsi sono spesso circondati da un alone di pseudoscientificita', piu' leggenda metropolitana che dato incontrovertibile. Le prove, dice, vogliamo le prove; eccole qua, rispondono i nostri: "per dimostrarlo, hanno immerso a 15 m di profondita', in una baia con maree tra le piu' forti in Europa, 600 bottiglie di Chateau Maucamp del 2001, che hanno ripescato oggi. Il vino delle bottiglie sommerse avrebbe un gusto piu' giovane e piu' complesso di quello invecchiato nelle cantine".
C'e' da pensare che fossero assai bene sigillate, senno' tutto il discorso sulla porosita' dei tappi e l'interazione con l'ambiente esterno, pure quello si rivelerebbe leggenda metropolitana.
C'e' da pensare che fossero assai bene sigillate, senno' tutto il discorso sulla porosita' dei tappi e l'interazione con l'ambiente esterno, pure quello si rivelerebbe leggenda metropolitana.
mercoledì, giugno 07, 2006
Quale qualita'.
"La Commissione europea accetta il principio della distillazione richiesta da Italia e Francia, mentre sta ancora esaminando quelle per Spagna e Grecia". [link]
Ci risiamo con la distillazione dell'invenduto. Piu' che i tre milioni di ettolitri di vino da tavola, mi perplime [neologismo] la cifra di 100mila ettolitri di quello che denaro.it chiama vino da qualita'. (Da, non di).
Posto che la definizione di qualita' (nel senso di soglia di punteggio centesimale) resta elemento di perenni discussioni tra gli addetti, mi piacerebbe sapere quale possa mai essere il livello qualitativo di quel vino-da-qualità. 70/100? Oppure 80/100? -- oppure, semplicemente, si tratta di vini a denominazione d'origine? Che, come e' tristemente noto, da sola non costituisce elemento qualitativo.
domenica, giugno 04, 2006
Pirati di tutto il mondo, unitevi.
Su Italia Oggi (cartaceo) di sabato scorso leggo: negli Usa le imitazioni del made in Italy valgono quattro miliardi di dollari. E' una constatazione assolutamente deja-vu, e del resto da tempo se ne parla. Pure io mi ripeto, nel raccontarlo, perche' questa lettura coincide curiosamente con un fatto che ha occupato l'attenzione dei loschi individui underground dediti alla pirateria: la chiusura (ma pure il lesto riavvio, tra i frizzi e i lazzi dei piratacci) di Pirate Bay, portale di ricerca specializzato in file torrent accusato da anni e annorum d'essere illegale in se', giacche' consente link anche a materiale coperto da copyright.
In breve: le autorita' americane, che controllano gli abusi relativi ai diritti d'autore, esportano la democrazia in Svezia; qui ha sede Pirate Bay, e gli americani ne sollecitano la chiusura (con una notevole inefficacia, ma si sa che esportare la democrazia non e' affatto semplice). Le stesse autorita', mi pare evidente, non si curano gran che di difendere i diritti dei produttori italiani (ma, potrei giurarci, pure di quelli francesi eccetera) visto che a casa loro la pirateria food trionfa. E un tale doppiopesismo e', pure nel suo piccolo, la misura di qualcosa che non va.
E allora, viva i pirati. Consiglio, per far tornare il sorriso, la lettura di una parte consistente del sito di Pirate Bay, dedicata allo scambio di corrispondenza tra i detentori dei vari copyright, seccatissimi, e le irridenti risposte dei gestori del sito. Ecco un estratto.
"Grazie per averci scritto, va bene, abbiamo chiuso il sito.
No aspetta, haha! Non e' vero, abbiamo scherzato, siccome il sito in questione e' pienamente legale. Qui, a differenza di altri paesi, abbiamo leggi sensate".
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