Finisce anche questo dicembre 2017, e ci starebbe bene uno di quei post riassuntivi da fine anno, per dire cose arretrate rimaste impigliate nella tastiera e raccontare un po' il mood generale. Comincio a scrivere già sapendo che sarà una roba lunga, quindi mettetevi comodi, già lo so che faremo notte. Magari andiamo per capitoli, tanto per essere ordinati.
Dicembre.
A dicembre ci si gioca tutto. Ci si gioca l'anno, cioè: lo sapevate? Ecco, è così. Il mio lavoro si intensifica, anche dal punto di vista degli orari. Mediamente per tre settimane di fila si lavora per circa dodici ore al giorno, che non è esattamente un fatto sano ma è inevitabile. Ci si gioca il fatturato dell'anno - detto così forse è più chiaro. Si sommano quindi elementi di tensione e stress, purtroppo, peraltro miscelati al grande amore che ho per il mio lavoro. Amore, stress, ricorda qualcosa? L'esistenza intera, direi. Per questa specie di prova psicofisica bisogna prepararsi, quasi atleticamente. La prima cosa da considerare è che non è consentito ammalarsi: semplicemente, date le dimensioni della mia azienda (ditta individuale) io non posso crashare a dicembre. Il fatto è che la mia dimensione aziendale è obsoleta, tutto attorno al mio lavoro è alquanto obsoleto, ma di questo semmai ne parliamo dopo. Resta il fatto che a dicembre ci si deve arrivare allenati, freschi, e bisogna attrezzarsi preventivamente.
Gli attrezzi dell'enotecaro a dicembre (vedi foto).
Bisogna dotarsi in anticipo di alcuni ritrovati della chimica. Efferalgan, appena prendiamo freddo, e comunque serve a lenire dolori e prevenire altri disastri. Spray con propoli, io sono dipendente (non tossico, spero) da questo rimedio naturale. Non ho idea dei fondamenti scientifici di tale pozione, ma con me funziona, nel senso che mi sono ormai autoconvinto che sia miracoloso per le mie tonsille mai estratte. Un po' di magia ci sta bene, tutto sommato. Poi serve una crema per le mani, maneggiare cartoni taglienti ti ferisce a morte la pelle, e sanguinare mentre fai pacchetti regalo è disdicevole, quindi anche quella deve essere usata molte volte, quotidianamente. Per reggere la stanchezza è utile anche un preparato multivitaminico. E siccome l'herpes labialis alla fine arriva sempre, lo Zovirax per me è nel prontuario obbligatorio. Chi ha lo sguardo attento avrà notato che quello è scaduto nel 2011, ma io non credo ai complotti di big pharma e lo uso lo stesso.
(Taglio tutta la parte relativa all'alimentazione, si mangia frutta e panini con improbabili insalate e prosciutti, magari stando in piedi e rispondendo al telefono o sbrigando pratiche al computer, si beve moltissima acqua, ma appunto non serve che vi dia ricette su quelle robe, e poi questo non è mica un food blog).
Lo stupidario del cliente (sono già pentito di aver scritto "stupidario" ma ora spiego).
A dicembre in enoteca si sente letteralmente di tutto. Ci sono clienti fantastici (sì, tu che leggi sei esattamente quello, dai) e ogni tanto, raramente, esce fuori qualcosa di inenarrabile. Io ho sempre un notevole imbarazzo a compilare stupidari di clienti, cioè elencare le supercazzole che si sentono, perché lo trovo una pratica antipatica: un esercente dovrebbe evitare di fare il saputello a questo modo. Già solo il termine stupidario è odioso, chiedo scusa per averlo usato e davvero, serve solo a spiegare di che sto parlando. Ogni volta che qualcuno la spara grossa io gli chiedo: questa è bella, posso condividerla su Facebook? Se mi dice di sì, la adopero a quel modo, e solo in quel caso - poi ovviamente subito dopo provvedo a spiegargli dove ha sbagliato. Perché la missione qui è sempre quella, salvare il mondo alcolico, un cliente sperduto alla volta. In effetti, più che un elenco di efferatezze, mi va di compilare frasi al volo.
Spesso non sono nemmeno stupidari, a volte sono dichiarazioni d'affetto. La prima in classifica per me è questa (sentito ieri):
La concorrenza.
"Mia sorella lavora da [nome di enoteca concorrente] ma col c**** che vado a comprare vino da quelli là". Io ho provato blandamente a contraddire, "ma no, perché mai", però non ero del tutto sincero, ahem.
E poi ce ne sarebbero altri. Tipo questi:
Quello che va al supermercato.
"Volevo comprare un vino al supermercato e volevo sapere da lei sotto quale cifra non devo scendere per non bere vino scadente". Segue mia spiega sotto lo sguardo allibito degli altri clienti in coda. Essenzialmente ho spiegato che un assaggiatore per quanto esperto non è in grado di valutare un vino da una bottiglia chiusa, bisogna per forza versarlo in un bicchiere e procedere all'assaggio. Quindi dovrà correre qualche rischio, la vita è un fatto imprevedibile, il vino è uguale alla vita. Comunque sotto i cinque euro potrebbe rivelarsi qualche mezza delusione ma anche no, vedi sopra, auguri. (Il cliente in questione è ovviamente uscito senza comprare nulla, quindi non sarebbe neppure un cliente, sotto lo sguardo allibito degli altri, eccetera).
Birra originale.
"Mi hanno detto che lei vende birra originale" - "Ma, veramente", rispondo, "si definisce artigianale".
Ah, i ricordi.
"Mi ricordo che sono entrato nella tua enoteca anni fa per chiederti l'ora, e sono uscito con due sacchetti di bottiglie".
Quello dell'anno scorso.
C'è un vasto numero di clienti che vedo solo una volta all'anno, a dicembre, e solitamente mi richiedono "quello che ho preso l'anno scorso". Ora, come al solito questo fatto mi getta nell'angoscia: io non ricordo cosa ho mangiato ieri sera, figurati se mi ricordo che ti ho venduto un anno fa. Fatto sta che uno mi ha chiesto, all'inizio di dicembre "quello che ho comprato cinque anni fa". Io mi sono limitato a dirgli bentornato, mi sei mancato.
Che poi, a pensarci bene, che cos'è questo blog, se non un gigantesco stupidario dell'enotecario? E va avanti da anni e annorum, per dire. "Nessuno è innocente".
La mia obsolescenza (non programmata).
Alla fine di tutto 'sto lungo discorso, oggi meditavo sul fatto dell'obsolescenza del mio lavoro. In particolare c'è un punto che non ribadisco mai abbastanza, il mio essere un commerciante indie, cioè indipendente, uno che vende in sostanza solo quel che gli piace, e non sta dietro all'industria o alla griffe - o almeno, ci provo. Nel frattempo la struttura che mi sono dato è diventata anacronistica, obsoleta appunto. Questo è forse il cruccio maggiore che ho, perché ha a che fare col mercato, con il confrontarsi con un mercato che cambia ed evolve in modi che tendono a mettere al margine quelli come me. Basterebbe pensare al fatto che io ho iniziato questo mestiere quando internet in Italia non esisteva. Ma ci pensate? Una volta internet non c'era - e le sfide che pone questo mezzo, semplicemente, non esistevano. Credo che la mia obsolescenza risieda anche nel fatto di non aver raccolto adeguatamente quelle sfide. Si tratta di osservare con attenzione e studiare. Tutto questo richiede tempo ed energie che non sono certo di avere, o peggio, non sono certo di voler dedicare al cambiamento. Mi accorgo di amare forse troppo la mia obsolescenza, e il miglior buon proposito per l'anno nuovo che riesco a fare è questo: pensarci bene.
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
domenica, dicembre 24, 2017
venerdì, dicembre 08, 2017
Assaggi con finto birrino finale
In questi giorni prenatalizi mi sto divertendo ad aprire un po' la qualunque, a bottega. Il rito è più o meno sempre il solito, da queste parti io non creo eventi alla maniera Facebook, semplicemente stappo random quel che mi va. Chi c'è c'è, e chi passa da queste parti già sa.
Per esempio ieri scaricavo i nuovi arrivi dalla Montagna di Reims (giretto di parole per dire Champagne). Manceaux è la cosa nuova e manco a dirlo l'ho aperto al volo, tanto per. L'assaggio del Premier Cru non mi ha deluso, e menomale, adesso è bello brioscioso (sa di brioche, cioè) e ha tutto il necessario per riconciliarmi col mondo - perché a questo serve, lo Champagne. "Cosa ci abbini con lo Champagne?", mi chiede uno. "Quasi tutto, e soprattutto i momenti felici", rispondo io. Non so, forse non è una risposta tecnica da sommellerie, ma è la migliore che mi è venuta fuori. Questo champ costa sui 32 euri, qui.
Ieri poi passa un altro cliente, mai visto prima. Mi dice se (pagando) da me si può bere qualcosa. Così gli spiego che no, io non faccio quel genere di servizio, questa è ancora un'enoteca terribilmente old economy, "però ho dello Champagne aperto, assaggialo gratis, tutto sommato non caschi male", aggiungo. Quello mi guarda un po' sorpreso, e poco dopo eravamo amiconi. In fondo 'sto mestiere non è difficile.
Giorni fa invece apro l'Amarone 2013 Le Bignele, altra new entry. Il genere di assaggio ti piace vincere facile, potremmo dire, ma c'è di buono che quell'Amarone contiene con eleganza la botta da fruit bomb che affligge un po' la denominazione. Volendo scrivere la sua recensione, nella terminologia minimalista che oggi caratterizza il linguaggio della nuova critica del vino, che è destrutturata, potremmo dire che è molto, molto buono. Poi ci scappa pure un accenno al perfetto equilibrio tra freschezza (acidità, cioè) e frutto, ma questo sarebbe old school, come descrizione. L'Amarone di Bignele costa sui 33 euro.
Alla fine degli assaggi, il più delle volte giocavo a spiazzare i clienti. Da queste parti è disponibile, in mezzo alle altre cose birrarie, una versione affinata in barrique (sì, botti usate che hanno contenuto vino) dell'Extra Brune di Maltus Faber - qui ci sarebbe un approfondimento su Extra Brune, per chi vuole saperne di più.
Com'è, come non è, ogni volta che i miei clienti enofili mi vedono maneggiare una birra, mi guardano sospettosi. E ogni volta spiego che esiste questa cosa, la birra artigianale, che sto studiando come si studia il greco e il latino (ma prima o poi questa cosa sarà tema di un altro post, ancora da scrivere). La bottiglietta si piazza cospicua e apparentemente fuori posto in mezzo ad Amarone e Champagne. "Ma che c'entra?" mi dice il cliente più benevolo.
Esiste un solo modo per rispondere correttamente a 'sta domanda: mettere quella birra nel bicchiere.
Molto scura, alcolica, molto morbida, naso alquanto sconvolgente tra liquirizia, spezie, torrefazione, chiodi di garofano, vaniglia - potrei andare avanti ancora un po' ma la smetto qui. La cosa più divertente a quel punto era vedere le espressioni di chi la assaggiava. Era un crescendo che culminava, di solito, con "ahh, ma allora, ecco perché".
Ecco perché la vendo, voleva dire. La bottiglietta da 33 cl. sta sui 6 euro. Con cosa si abbina? Vista la potenza alcolica (10 gradi) e la stazza morbidona, io la vedo a fine pasto, per chiudere in bellezza su un dessert cioccolatoso, oppure assieme al mio sigaro toscano preferito, se avete lo stesso mio vizio. Oppure associata a momenti di felicità, ecco, esattamente come quell'altra cosa che dicevo prima. Sì, in fondo 'sto mestiere non è difficile.
Il senso del titolo "finto birrino" si deve al fatto che la bottiglietta in questione ogni volta appariva come fosse intrusa, in quegli assaggi, come fosse un birrino, termine diminutivo, e invece no, non è affatto un birrino, lo è solo per finta.
Per esempio ieri scaricavo i nuovi arrivi dalla Montagna di Reims (giretto di parole per dire Champagne). Manceaux è la cosa nuova e manco a dirlo l'ho aperto al volo, tanto per. L'assaggio del Premier Cru non mi ha deluso, e menomale, adesso è bello brioscioso (sa di brioche, cioè) e ha tutto il necessario per riconciliarmi col mondo - perché a questo serve, lo Champagne. "Cosa ci abbini con lo Champagne?", mi chiede uno. "Quasi tutto, e soprattutto i momenti felici", rispondo io. Non so, forse non è una risposta tecnica da sommellerie, ma è la migliore che mi è venuta fuori. Questo champ costa sui 32 euri, qui.
Ieri poi passa un altro cliente, mai visto prima. Mi dice se (pagando) da me si può bere qualcosa. Così gli spiego che no, io non faccio quel genere di servizio, questa è ancora un'enoteca terribilmente old economy, "però ho dello Champagne aperto, assaggialo gratis, tutto sommato non caschi male", aggiungo. Quello mi guarda un po' sorpreso, e poco dopo eravamo amiconi. In fondo 'sto mestiere non è difficile.
Giorni fa invece apro l'Amarone 2013 Le Bignele, altra new entry. Il genere di assaggio ti piace vincere facile, potremmo dire, ma c'è di buono che quell'Amarone contiene con eleganza la botta da fruit bomb che affligge un po' la denominazione. Volendo scrivere la sua recensione, nella terminologia minimalista che oggi caratterizza il linguaggio della nuova critica del vino, che è destrutturata, potremmo dire che è molto, molto buono. Poi ci scappa pure un accenno al perfetto equilibrio tra freschezza (acidità, cioè) e frutto, ma questo sarebbe old school, come descrizione. L'Amarone di Bignele costa sui 33 euro.
Alla fine degli assaggi, il più delle volte giocavo a spiazzare i clienti. Da queste parti è disponibile, in mezzo alle altre cose birrarie, una versione affinata in barrique (sì, botti usate che hanno contenuto vino) dell'Extra Brune di Maltus Faber - qui ci sarebbe un approfondimento su Extra Brune, per chi vuole saperne di più.
Com'è, come non è, ogni volta che i miei clienti enofili mi vedono maneggiare una birra, mi guardano sospettosi. E ogni volta spiego che esiste questa cosa, la birra artigianale, che sto studiando come si studia il greco e il latino (ma prima o poi questa cosa sarà tema di un altro post, ancora da scrivere). La bottiglietta si piazza cospicua e apparentemente fuori posto in mezzo ad Amarone e Champagne. "Ma che c'entra?" mi dice il cliente più benevolo.
Esiste un solo modo per rispondere correttamente a 'sta domanda: mettere quella birra nel bicchiere.
Molto scura, alcolica, molto morbida, naso alquanto sconvolgente tra liquirizia, spezie, torrefazione, chiodi di garofano, vaniglia - potrei andare avanti ancora un po' ma la smetto qui. La cosa più divertente a quel punto era vedere le espressioni di chi la assaggiava. Era un crescendo che culminava, di solito, con "ahh, ma allora, ecco perché".
Ecco perché la vendo, voleva dire. La bottiglietta da 33 cl. sta sui 6 euro. Con cosa si abbina? Vista la potenza alcolica (10 gradi) e la stazza morbidona, io la vedo a fine pasto, per chiudere in bellezza su un dessert cioccolatoso, oppure assieme al mio sigaro toscano preferito, se avete lo stesso mio vizio. Oppure associata a momenti di felicità, ecco, esattamente come quell'altra cosa che dicevo prima. Sì, in fondo 'sto mestiere non è difficile.
Il senso del titolo "finto birrino" si deve al fatto che la bottiglietta in questione ogni volta appariva come fosse intrusa, in quegli assaggi, come fosse un birrino, termine diminutivo, e invece no, non è affatto un birrino, lo è solo per finta.
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