mercoledì, maggio 27, 2009

Io, e quell'altro


Allora, succede che la mia enoteca si chiami La Botte Piena. Erano i primi anni novanta, ed io ero ancor più faceto di adesso, che non è poco. Poi avevamo le botti, vendevamo vino sfuso, ed avevo probabilmente il perverso scopo di finire nella rubrica botteghe oscure di Cuore.
Succede, poi, che da queste parti tutti stanno aprendo enoteche, sembra che non abbiano di meglio da fare; ma perché non aprite una fonderia, piuttosto.
E succede, infine, che una enoteca da poco avviata a Voltri (quartiere genovese a pochi chilometri da me) abbia scelto di chiamarsi, in dialetto locale, A Botte Pinn-a 2. Arrivato al terzo cliente che m'ha chiesto se avessi aperto un altro punto vendita, mi sono francamente seccato. Il nome del'enoteca-clone non è esattamente identico, ma quel numero "due" che segue l'intestazione è ambiguo. Possibile che esista una "Botte Pinn-a 1", oppure è possibile che sia una precisazione in qualche modo evocativa: di me stesso. Quasi quasi ci sarebbe di che vantarsi.
Ebbene, adoperiamo il blogghe per la comunicazione ufficiale: quello non sono io. La mia azienda fu, era, è, sempre sarà una one-man-band.

Quanto al collega privo di fantasia, mi domando come procedere. Possibili vie:
1. Gli faccio causa per dieci milioni di euri (poi divido con voi, prometto).
2. Lascio perdere, e ciao.
Che fare?

domenica, maggio 24, 2009

C'è un Abisso


Piccoli geni del marketing crescono: scordatevi quel giuggiolone di Farinetti, noi abbiamo Bisson, che affonda 6500 bottiglie di spumante al largo di Portofino per affinare meglio; il vino, manco a dirlo, si chiamerà Abissi. Non so in quale misura la geniale trovata influenzerà la presa di spuma del metodo classico - quel che è certo, è che la stampa si è tuffata (ahem) sulla notizia.

[Bonus link autoreferenziale: alle solite, non si inventa mai nulla].

giovedì, maggio 21, 2009

Flettere i muscoli


E allora diciamolo: flettere i muscoli è in ribasso. Enoicamente parlando, perlomeno.
Tra le cosine raccolte nel mio tour in Valtellina ho una specie di innamoramento (oggi, ché volubile come solo domani cambio amore) per il Rosso 2006 di Ar.Pe.Pe. Il colore di questo nebbiolo valtellinese è pallidino, scolorito, quasi quasi ti verrebbe voglia di comprargli un rotomaceratore, al cantiniere. Il naso è peposo, con spezie mixate al frutto non esorbitante. Bocca perfettamente equilibrata, cioè con un ingresso pieno ma senza esagerare, all'insegna dell'armonia; veramente una delizia, perché sotto sotto cova carattere e personalità, ma senza esibizionismi, appunto. Noterella: gran parte di questo 2006 è destinato all'estero, quindi, chi lo trova si affretti a comprarlo. Quanto a me, non posso rubricare questa degu sotto i prelievi di scaffale perché ne ho pochissimo, nemmeno inserito a listino. Ad occhio e croce, verrà destinato tutto ad autoconsumo.

venerdì, maggio 15, 2009

Nel culto della bugìa

Aranciata senza arance. Ma anche "formaggio prodotto utilizzando cagliate, polveri o caseinati al posto del latte e il vino senza uva, realizzato dalla fermentazione di frutta, dai lamponi al ribes". E cioccolato senza cacao, vino rosato ottenuto da miscela di bianco e rosso; se la guerra all'aranciata fasulla sembra vinta, resta la pesante impressione che le modifiche apportate, ex lege, a quel che ingoiamo, servono a legalizzare la bugìa. Nell'articolo si legge, pure, che "l'abbassamento della qualità dell'alimentazione è diventato un pericolo reale che colpisce soprattutto le classi economicamente più deboli, costrette a risparmiare sul cibo e per le quali la spesa incide sempre più sul budget familiare". Quest'osservazione, interessante, è da collegare ad altre forme di progressiva compressione dei nostri standard; non è casuale incrociare questa con altre notizie: "protesta delle mamme: beffate sulla scelta del tempo pieno"; comincia ad essere chiaro che le storie sul mantenimento degli standard relativi alla scuola, dopo il decreto Gelmini, erano appunto storie. Oppure questa: "crolla il Pil in Italia: -5,9%". La distanza dal primo argomento è solo apparente; in realtà stiamo finendo dritti in un disastroso restringimento dei livelli minimi garantiti, e sembra che pure il cibo debba seguire le sorti, direi finanziarie, di questo declino. Su tutto, poi, prevale la menzogna degli annunci per i quali nulla cambierà, le cose verranno mantenute, eccetera. Storie, appunto.

martedì, maggio 12, 2009

Sommelier con problemi di diottrie


Qualche tempo fa Andrea ha segnalato un interessante articolo del Times Online, sull'uso del sommelier. Inteso proprio come "istruzioni per l'uso", rivolto a quanti si ritrovano davanti la ieratica figura del suggeritore di vini, magari al ristorante, e non vogliono sentirsi schiacciati dalla sua esorbitante conoscenza. Esistono problemi peggiori, potremmo dire, ma qua si parla di vino, appunto. La lunga lettura nella lingua di Albione viene opportunamente riassunta, nel blog di Burde, con i quattro punti finali: cose da fare, e da non fare; si deve:
  • informare immediatamente il sommelier del budget che avete deciso per il vino
  • Ricordare che non è solo il prezzo che fa la qualità di un vino ma spesso anche la reputazione e la relativa scarsità di una etichetta per cui spesso sono migliori affari vini che costano meno ma che offrono la stessa soddisfazione a tavola.
E poi, non si deve:
  • accettare un 2005 al posto di un 2006: controllate l’annata che vi viene effettivamente portata e insistete nell’avere esattamente quella che avete indicato perchè spesso una stessa etichetta ha grande variabilità in qualità di anno in anno e anche di prezzo, cosa che spesso non è riportata chiaramente in carta.
  • Rifiutare un vino solo perchè ha un tappo a vite, vi perdete un sacco di occasioni di assaggio di buonissimi vini.
Apparentemente, un insieme di consigli sottoscrivibili. Tanto più interessanti in quanto segnalati da un Sommelier professionista.

Tuttavia devo essermi sbagliato: tornando a rileggere il post, ho notato una serie di commenti assai seccati di altri sommelier, che, inviperiti, commentavano cose tipo: "quando un cliente si presenta e dice al sommelier qual’è il suo budget per il vino mi viene da pensare: o non ha guardato la carta oppure ritiene il sommelier un ladrone" e ancora "lo stesso vale anche per il punto due delle cose da non fare perchè significa che io potrei essere li pronto a rifilare al cliente una bufala, e anche questo lede profondamente il mio modo di pensare e di lavorare". Ma dai? Come se la carta dei vini fosse esibita sempre, ovunque. Come se polemiche di questo tipo non fossero sorte mai.

Insomma, classico esempio di comunicazione non pervenuta: eppure, tutto mi pareva assai chiaro: possibile che qualche sommelier abbia problemi di diottrie? Soprattutto: la lunga lettura del Times (cliccare i link aiuta molto a comprendere) avrebbe consentito di esprimere commenti un po' meno acidi, e, spiace dirlo, assai coda-di-paglia. Da addetto ai lavori, e da frequentatore di sommelier, so benissimo che le quattro, semplici regolette elencate da Andrea non sono, propriamente, legge incisa nella pietra: io ho trovato quel richiamo assolutamente opportuno. O forse la funzione del sommelier è talmente sacrale da non sopportare alcun genere di appunto? Tra l'altro, nessun commentatore del Times Online ha rilevato questa grave, lacerante offesa alla dignità del sommellier.

Propendo per qualche difetto di visualizzazione. Del resto, un commentatore chiosa: "non ho ben capito se tu andrea gori sei o no un sommelier". Ecco, appunto, capire meglio aiuterebbe (il commentatore).

[Piccola postfazione: ovviamente mi fa velo la mia amicizia con Andrea; anzi, colpevolmente, ho rimandato di segnalare che a Firenze da qualche tempo esiste un fighettodromo assolutamente imperdibile, l'Osteria Tornabuoni, in cui il prode Andrea è schierato, pensa un po', in quanto Sommelier. Qui una mirabolante galleria fotografica].

mercoledì, maggio 06, 2009

Scopri l'intruso


Nello stesso articolo, sul Resto Del Carlino, c'è l'intruso. Scoprilo. Nella prima parte si legge:
Sono dei veri e propri esperti di nettare degli dei i ladri che, la notte tra sabato e domenica, hanno messo le mani sugli scatoloni di vino in bottiglia che si trovavano nel rimorchio di un tir.
E poi prosegue:
Preziose bottiglie della ditta Cavit pronte per essere portate a destinazione il giorno successivo.

lunedì, maggio 04, 2009

Veniamo giù dai monti

Ma non è Tirolo; siamo lietamente fuggiti in Valtellina per il finesettimana allungatissimo; e per sentirci meno in colpa abbiamo caricato il bagagliaio di rossi valtellinesi.

Abbiamo visitato - anzi, ho visitato, ebbasta con 'sto plurale majestatis - ho visitato un paio di produttori interessanti, tra un ozio e un abbronzaggio. A parte il must Ar.pe.pe, presso il quale ho fatto solo assaggi di botte (rece prossimamente) ho aggiunto alla wish list Balgera, con tre nebbioloni ipertradizionalisti. Interessante il suo "Riserva del fondatore", un inedito mix delle 4 aree storiche valtellinesi, messo in vendita solo dopo lunga maturazione in legno, e in vetro. La maturità è la cifra stilistica da ricercare nei nebbioli di quest'area montagnosa: il tempo concede alle durezze di diventare carattere; quindi, onore al merito a Balgera, che affina i suoi rossi per periodi non piccoli, prima della commercializzazione. Nella borsa della spesa c'è il suo Sforzato "tradizionale" e quello appena più modernista (barrique quasi irrintracciabile) e sono vini del 1998, e 1999.

Un po' di immagini a corredo di tante fatiche; nella pic#1 le etichette di Balgera; la foto numero 2 ritrae la tipica vigna valtellinese, ripida, scoscesa e impercorribile (è vitivinicoltura eroica, non per niente). L'immagine nr.3 non ritrae la grotta di Alì Babà, ma la cantina di stagionatura degli iperbolici Bitto reperibili presso il mio ospite (quando si dice il caso), l'agriturismo Ribuntà. Infine, l'antro ritratto nella foto 4 è la cantina di Balgera, praticamente un'icona della cave vecchio stile.