martedì, dicembre 30, 2008

Il ragazzo delle consegne


Passato il caotico lavoro natalizio, in questi giorni l'enotecaro recupera ritmi e dimensioni umane. Ci sono lavorini residui da ultimare, dettagli, scartoffie, e qualche rissa col corriere; cose normali, comunque. Bisogna verificare alcune consegne, non performate dal team di ragazzi che collaborano a recapitare pacchi e pacchetti. "Come mai questa non l'hai consegnata?" - "Non si trova la strada, non è sullo stradario, nessuno la conosce". Poi guardi su gùgol màpz, e manco a dirlo, c'è. Così, ora che l'enotecaro ha tempo, cavalca il destriero d'acciao (il vecchio scooter, insomma) e s'addentra per boschi e per valli - e non è un modo di dire, questo. Genova è una città costiera, lunga e stretta, basta fare un chilometro nell'entroterra per essere sull'aspro Appennino. Oggi ero in uno di questi perigliosi ed avventurosi tour, su una stradina appena asfaltata, che appunto qualsiasi corriere o consegnatario si guarda bene dal percorrere. Tra una salita ed un fosso si è realizzato così un sublime cortocircuito disintermediante: consegnavo un paio di bottiglie dello Champagne ultimamente importato - di cui ho in agenda di recensirvi meraviglie - e quindi mi trovavo ad essere, contemporaneamente, svariate figure coincidenti: l'importatore, certo; il venditore, con la mia irresistibile loquela; il commesso addetto al packaging; ed il ragazzo delle consegne.
Arrivato a destinazione, niente mancia; ma io lo so, e voi lo sapete, questo è un mondo imperfetto.

[Nell'immagine: il destriero d'acciaio, e l'Appennino di cui sopra]

giovedì, dicembre 25, 2008

A Natale siamo tutti più cattivi (noi enotecari)

I gurmet più snob dovrebbero sapere che, secondo una norma di bon ton, non sta bene augurare "buon appetito" ai commensali; ignoro il fondamento (preciso: non ho voglia di googlare) ma, da buon snobbone, io ho adottato da tempo l'assunto. Così, ad ogni pranzo o cena, sollevo il ciglio ogni volta che l'augurio viene profferito. Stoicamente, sopporto.
Io sogno, pure, che con altrettanto spirito snob sia bandito dal consesso delle umane genti l'augurio di Buon Natale. Principalmente l'augurio fasullo, quello spedito per email a mo' di spam da miliardi di umanodi per lo più sconosciuti. E ad alcuni di questi, segnatamente produttori di vino, che si sentono in dovere di intasare il mio inbox lavorativo con scansioni da due giga del loro biglietto natalizio, voglio dire chiaramente: io vi sto schedando. Io, purtroppo, al momento non conto una cippa quanto ad enocomunicazione online; ma un giorno diverrò caporedattore da qualche parte, in qualche genere di rivista o pubblicazione; e quel giorno vi verrò a cercare, uno per uno, casa per casa, e scriverò recensioni agghiaccianti delle vostre produzioni. Ve lo giuro, lo farò.

martedì, dicembre 23, 2008

Client of the day

Normale concitazione da ultimi giorni di Pompei di Natale. Normale cliente che apre la porta col relax di un centometrista che si tuffa sul filo di lana. Lui mi guarda, io lo guardo.
E mi dice: "lei è Alessandro?"
"No" - dico - "io sono Fiorenzo. Fio-ren-zo".
"Ma questa non è l'enoteca *******?? [nome dell'enoteca concorrente a cinquecento metri da qui, ndr]
"Eh, no" - rispondo - "non lo è".
Fuga concitata del tizio. Sipario.

martedì, dicembre 16, 2008

Sogno e son desto


Cari colleghi, se avete ricevuto un email da questa tipa, stanotte, annullate l'ordine:
"L'ultima scoperta dei medici in materia di sonnambulismo riguarda internet: una donna è riuscita, mentre dormiva, ad inviare alcune email ad amici chiedendo vino e caviale".

Mandare segnali

La questione è semplice. Se passa la leggina dello 0,2% di tasso alcolemico per prevedere la sospensione della patente, non si potrà bere nulla prima di salire in auto. Alla fine il nostro legislatore ha scoperto che le tabelle affisse nei locali pubblici sono inefficaci (ma pensa un po') ed è passato alla misura draconiana: niente, e basta.
Il primo elemento di discussione è: ma così crollano i consumi; si comprimeranno enormemente i consumi in un periodo già tragico per ristoranti e bar. Ma sai che c'è? La crisi è così nera che qualcuno potrebbe non accorgersene. Chi ci governa è comunque disgiunto dalla realtà, non vive una vita connessa col mondo reale: se per ridurre gli incidenti si deve intervenire con modalità devastanti su uno dei pochi settori produttivi della nostra economia, quelli lo faranno senza complimenti, e del resto la giustificazione principale è appunto questa: per salvare una vita dobbiamo essere disposti a passare sopra qualsiasi argomento.
Ora, sia chiaro, data questa premessa ogni ulteriore discussione è inutile. Non saranno certo le lamentazioni degli ultimi spacciatori dell'unica droga legalizzata (non so ancora per quanto) ad intralciare i nostri solerti salvatori. Ogni altra considerazione su ciò che sarebbe auspicabile, dalla qualità dei controlli all'educazione dei consumatori, sembrerà solo un lamentio irritante.
E dunque, venga la misura draconiana. Cosa succederà? Il mio primo pensiero (non ci crederai) è andato al Vinitaly.
La rassegna veronese mi impegna svariati giorni, nei quali assaggio centinaia di vini. Chi mi conosce sa che uso sputare sempre ad ogni assaggio tecnico, praticamente come fosse una religione; del resto l'alternativa è impossibile; questo mi consente, alla fine di ogni giornata di assaggi, di salire in auto senza patemi.
Ora, però, senza essere un medico od un esperto di alimentazione, temo che il limite dello 0,2% non mi conceda alcuna speranza; spero di essere smentito, ma la verifica di un numero rilevante di bicchieri di vino, pure sputando, potrebbe certamente portarmi fuori limite; magari uno 03-04%, peraltro legale al momento, ma che con la nuova legge prevederebbe una serie di misure, per me, disastrose. Vediamo nel dettaglio: la sospensione della patente mi costringerebbe ad una specie di trattamento obbligatorio, tipo il tossicodipendente che deve recarsi, periodicamente, presso le strutture sanitarie per controlli e per rieducazione, magari. Ma questo non sarebbe l'aspetto peggiore; purtroppo prevarrebbero elementi personali (non so poi quanto, però) su cui vi intrattengo brevemente; io sono costretto ad usare un mezzo privato, data l'insufficienza di mezzi pubblici che coprono le mie trasferte mattutine: casa-scuola del figlio-lavoro. Se dovessi mai perdere la patente si aprirebbe un quadro tragico del genere: taxi (ogni giorno!) per scuola e lavoro, e riduzione quasi totale della possibilità di visitare clienti e fare consegne (certo, ho pur sempre la bicicletta). Questa configurazione ha solo un puro valore teorico, siccome non so immaginare la mia giornata secondo uno schema così impraticabile, nei costi, nei tempi, e nella mancata produttività: sarebbe semplicemente una tragedia.
E allora: quale soluzione? Non si tratta solo di non bere, mai, ogni volta che ci si mette alla guida; si tratterebbe, anche, di smettere di frequentare rassegne di ogni tipo - od, in alternativa, frequentarle con mezzi pubblici, con costi esorbitanti e/o tempi biblici di trasferimento; e ancora: fine delle visite in cantina, alla scoperta di produttori, o a visitare quelli già noti; niente più assaggi di lavoro, che sono (è il caso di spiegarlo?) semplicemente l'essenza del mio mestiere. Certo, ci si potrebbe attrezzare con l'aiuto di amici astemi e autisti che ti seguirebbero (gratis) per riportarti a casa, dopo; lo stesso dovrebbe fare chiunque, che visitasse qualsiasi tipo di rassegna (il Vinitaly di cui sopra). In definitiva: le soluzioni non sono proprio impossibili; sono solo un po' difficili da praticare.

Oppure c'è una soluzione definitiva e finale. Mettersi a vendere tondino di ferro, anziché vino. Hai presente quando il mondo ti manda segnali? Ecco, forse questo è un segnale.

lunedì, dicembre 15, 2008

Thunderbird spietato (e privo di spirito natalizio)


Ogni tanto nel cestino in cui, automaticamente, Thunderbird spedisce lo spam trovo qualche sorpresa. Questo povero produttore, per dire, ti spamma un innocuo augurio natalizio, e il client di posta, spietato: "Thunderbird sospetta che questo messaggio possa essere un tentativo di frode". Esagerato.

mercoledì, dicembre 10, 2008

Una certa idea di crisi

Un segno esteriore del mio stato di crisi (ne abbiamo quasi tutti qualcuno) è il cambiamento nelle dinamiche di vendita e pagamento che quest'anno concedo ai clienti; in sostanza, spiego alle aziende acquirenti di omaggi natalizi, che le dilazioni di pagamento (che si prendevano) non sono applicabili; come spiego in questi casi, io so fare bene svariate cose, so comprare e so vendere vino, ma sono un pessimo banchiere, non è il mio lavoro. Il discorso l'ho rivolto, finora, ad un paio di allegre pecore nere, che comprano a Natale e pagano a Pasqua; una di queste ha detto "non c'è problema" - ergo, preparato l'ordine e la fattura, oggi arriva un loro dipendente a ritirare la merce; e indovina un pò? Non aveva alcun assegno con sé. Ora, domanda: che faccio, lo uccido? Ovviamente gli consegno tutto, e faccio finta che vada bene.

sabato, dicembre 06, 2008

Per una rifondazione dei criteri di analisi valutativa del vino

[Ovviamente potevo darmi un titolo meno roboante. Ma vuoi mettere?]

Chi scrive di vino sulle guide, sulla carta stampata in generale e pure in rete, adopera svariati criteri di valutazione critica. Ci sono i famosi metodi di analisi valutativa dell'Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino, o quelli dell'Associazione Italiana Sommeliers, o quelli di Luca Maroni - differiscono tra loro, ma in definitiva servono a fornire una misura, magari per stilare classifiche sui migliori. Perfino chi, come Porthos, rifugge non solo dal punteggio, ma probabilmente dal concetto stesso di classifica, esprime pareri comunque approfonditi, e magari dirimenti, sul vino. Ora, questi metodi hanno grande risalenza ed efficacia, ed io stesso li uso sia nei corsi che tengo, sia nell'ambito del mio lavoro ogni volta che valuto un vino: solito esame cromatico, olfattivo, gustativo, a cui segue voto, centesimale secondo la mia preferenza. Il metodo è affermato, direi quasi stabilizzato, eppure non smette di generare dibattito sui possibili miglioramenti da apportare al sistema di valutazioni: il concetto di superamento dell'attribuzione del punteggio è figlio di questo dibattito, ed è, credo, segno dell'insoddisfazione che deriva, nonostante tutto, dal complesso sistema di tecniche valutative di cui parlavo.

Ora, il mio intento, qui, non è, nonostante le premesse, quello di proporre un sistema nuovo; questo, onestamente, va al di là delle mie capacità peraltro sovrumane; l'idea sarebbe quella di suggerire una forma di superamento del concetto di valutazione, senza abbandonare del tutto la valutazione per come la conosciamo. L'idea consisterebbe, specificamente, nel focalizzare per un po' l'attenzione sul produttore, e non sul prodotto.

Nel corso degli ultimi anni, nel mio lavoro, mi rendo conto di aver rinunciato all'idea di trovare, ad ogni vendemmia, il vino perfetto per una data tipologia; questo resta sempre un prodotto figlio della stagione, degli eventi climatici, e talvolta pure di caso e sfortuna (o fortuna). Il prodotto della natura è una variabile; c'è, forse, una costante a cui fare riferimento, in alternativa? Ecco, io credo che la costante sia la persona che produce. Il contadino, diciamo, il vigneron come dicono i francesi, insomma colui (o colei) che segue il processo produttivo imprimendogli le sue condizioni, i suoi gusti, convinzioni e visioni. Nel dire questo, ho la netta impressione di seguire piste già tracciate da altri, prima; ma spero ugualmente di fornire una serie di elementi utili ad approfondire il concetto. La Guida ai vini d'Italia edita da Gambero e SlowFood, per esempio, da tempo, oltre a premiare i vini, si incarica di fornire una classifica degli stessi produttori: quelli più "performanti" ottengono la stella - avendo esaurito l'iconografia di bicchieri ed altre stoviglie, sono dovuti ricorrere all'ipeuranio. Ma questa forma di classifica dei produttori fa riferimento, a sua volta, alle performances di classifica dei loro vini, da cui appunto volevo (solo per un po', come detto) affrancarmi.

Quindi, adesso, quello che posso fare è introdurre il mio personalissimo criterio di analisi valutativa di un vino, che non si fonda, pensa tu, sulla valutazione del vino, ma su chi lo fa; si tratta, chiaramente, di applicare veri e propri elementi di pre-giudizio, per cui questo si avvia ad essere un discorso alquanto ideologico. Un po' come la guerra preventiva, ma meno cruento e soprattutto, mi auguro, meno infondato. Il fatto è che un elemento qualitativo di qualche sicurezza dipende pure da chi fa il vino, prescindendo dal prodotto stesso. Così, io ho una mia personale scala di valutazione del vigneron, che è funzionale al vino stesso. I punti principali sono tre.

1. Il produttore qualitativo è (spesso) piccolo.
La piccola produzione si identifica, normalmente, in una superficie vitata non immensa; è un fatto che molte cose encomiabili assaggiate ultimamente provengano da produttori nel range dei dieci-venti ettari; le eccezioni superiori ci sono, ma comunque oltre i cento ettari difficilmente si parla di viticoltori; per lo più si tratta di grosse realtà industriali, o semi-industriali, che fanno capo a SpA. E questo ci conduce al punto due.

2. Il produttore qualitativo fa il produttore.
Io trovo significativo che il produttore lavori fisicamente in vigna ed in cantina; di fatto mi pare bizzarro valutare un vino che non è prodotto dalla persona che mette il nome e cognome in etichetta - per non dire poi di certi vini assolutamente senza volto, figli di scorribande enofinanziarie - tipo il famoso architetto che fa il vino, o lo stilista, avete presente questi fenomeni. Capisco, questi delegano il lavoro ad operai sicuramente capacissimi, ma questa forma di catena produttiva andrebbe disintermediata, ed io preferisco interfacciarmi (scusate il termine) con chi ci mette la faccia e le mani.

3. Il produttore qualitativo ha qualche risalenza.
Un altro elemento di interesse è la risalenza produttiva; chi fa il mestiere del vigneron da generazioni ha, effettivamente, qualche appeal in più, su di me. E comunque la risalenza non deve essere certo secolare, ma quando un produttore ha, dietro di sé, dieci-quindici anni di vendemmie ha comunque svariati titoli di merito in più rispetto a quello che "abbiamo cominciato la produzione l'anno scorso" (e magari a listino stanno al doppio della media di mercato: mah).

Concludo; troverei interessante rivedere il concetto di guida sui vini partendo da questa riformulazione: prima classificare il produttore, secondo questi (od altri) prerequisiti, e poi valutare il vino; sempre col vecchio punteggio centesimale, magari. L'approccio alla "bevanda odorosa" risulterebbe più antropocentrico, e forse meno freddo ed impersonale. In fondo si tratta di mettere la persona che fa, davanti alla cosa che si produce.

mercoledì, dicembre 03, 2008

E bravo il Jap antiproibizionista


Parrebbe che in Giappone, in questo periodo dell'anno, riccorra qualche genere di roba per cui ci vadano giù parecchio duro, con l'alcol. Posto che ciò è male, non si dovrebbe, l'alcolismo è un flagello eccetera-eccetera; leggendo qui la notiziola, trovo rilevante il manifesto diffuso nelle metropolitane, dal tono fatalmente antiproibizionista: se proprio vi va di esagerare, almeno fatelo a casa. Troppo avanti, gli orientali.

lunedì, dicembre 01, 2008

La maturità insolita

Ci sono vini fatti per maturare, e vini fatti per essere bevuti giovani. Però, se l'enomondo fosse riassumibile così presto, noi non ci divertiremmo poi molto; dalle variazioni, dai distinguo e dalle devianze nascono piaceri inaspettati, ed una tantum confessabili. Prendi, ad esempio, il Moscato d'Asti, nella sua versione appena vivace - e tralascia l'Asti Spumante, su cui infierirei un altro giorno; oggi mi sento buono. Il Moscato d'Asti, dicevo, esprime il massimo nell'annata, in estrema gioventù, con la sua prorompente carica aromatica, tanto ampia quanto riconoscibile. Uno dei piaceri enoici che ci concediamo volentieri, insomma.
Ma una sua release da bersi matura, a due-tre anni dalla vendemmia, può essere veramente emozionante. Il Moscato d'Autunno di Paolo Saracco deriva il suo nome dalla vendemmia ritardata rispetto agli standard astigiani; la lieve surmaturazione delle uve in pianta consente la produzione di un Moscato che non ha praticamente rivali; ma soprattutto, genera una versione di questo vino, in apparenza facile e basta, in grado di divenire altro; nel corso degli anni affina ed evolve, fino a rivelare, bevuto nella maturità, una stratificazione complessa assolutamente esaltante. Ieri ho riaperto la vendemmia 2006 del Moscato d'Autunno - resistendo alla tentazione di prelevare dallo scaffale il 2007 - e mai scelta fu più goduriosa. Oggi il 2006 è inarrivabile, ha note di agrumi glassati, di fiori; armonioso, lungo, esaltante perché concettuoso; ancora una volta il tempo gioca un ruolo prezioso, e costituisce misura della qualità. E qui la maturità, insolita per il vitigno, è veramente una bella sorpresa. Un assaggio notevolissimo, per me 88/100, ma pure di più.

Noticina finale: il Moscato d'Autunno non si fregia della Docg Asti, ma rientra nella più plebea Doc "Piemonte" - e non so bene il perchè; probabilmente il periodo vendemmiale ritardato lo tiene fuori dalla denominazione controllata e garantita; quel che è certo, è che ancora una volta la politica delle denominazioni si dimostra, perlomeno, incomprensibile; a questo Moscato, uno dei migliori del Piemonte (ergo, del mondo) è riservata la denominazione minore.