giovedì, novembre 25, 2021

La solita

La solita, bella e profonda, riflessione sul vino - naturale ed altro - di Corrado Dottori. "Solita" si fa per dire, ad averne di osservatori così. Dove si legge tra l'altro:

"Eppure oggi l'esplosione stile supernova del "naturale" e il suo enorme successo mi sembrano in gran parte una rappresentazione già vista, vecchia. Con tutte le sue narrazioni, i suoi selfie, le sue forzature, le sue bottiglie feticcio, i suoi influencer, il suo circo e i suoi circoli e le sue falsità belle e buone. Proprio nel momento in cui i nodi della catastrofe ecologica che ci circonda vengono definitivamente al pettine, proprio quel mondo, il nostro mondo, balbetta parole come "sostenibilità" e "biodinamica" ma in fondo in fondo è del tutto silente. E politicamente ininfluente". 

martedì, novembre 23, 2021

Life hacking: come aprire le bottiglie vecchissime (à la Mario Pojer)

Questa tecnica di apertura di bottiglie ultra arcaiche richiede, peraltro, un caminetto e una pinza da fabbro (da qualche parte ne abbiamo tutti una) ma - scherzi a parte - è straordinariamente efficace. Se non altro, notevole da vedere quindi ecco Super Mario all'opera.

mercoledì, novembre 03, 2021

Si sta come d'autunno le fiere del vino


Il ritorno alla normalità passa per il ritorno alle fiere vinose. Già dissi che mi mancano, e ora rieccole, che si fa? Ci si lamenta che piove, che il posteggio è difficile, che non ti danno l'accredito? Ma ci mancherebbe. Va tutto benissimo, anzi.

E' tornata Fornovo, la fiera denominata Vini di Vignaioli, ma conosciuta ovunque come Fornovo e basta. Ora però si tiene a Varano de' Melegari, nei dintorni, quindi non sappiamo più come chiamarla. Essendo conservatori continuiamo tutti a dire ci vediamo a Fornovo, ma in quell'altro paese, comesichiama

Il distanziamento era migliorabile, ma che ci vuoi fare.

Nuova location decente, tempo ùrendo, da quelle parti quando non piove c'è freddo e/o la nebbia. Ma appunto, è bello ritornare ai grandi classici.

Gli assaggi sono stati interessanti, alcuni anche molto piacevoli, essendo quello il giro dei vini naturali la percentuale è sempre: 20% buoni, 80% non li capisco. A voi ggiovani invece piacciono così, brettati e volatili, che ci possiamo fare? Passerà pure 'sta moda del "facciamoci del male", per come la vedo siamo nel mezzo di una nuova forma di standardizzazione del gusto: colore opaco, nota acetica, mela acerba, qualche strano tannino, giudizio finale "boh". (E questa era la descrizione standard di un assaggio bianco).

Peraltro c'erano cose buonerrime. Afferro gli appunti e trascrivo a caso, tra parentesi i punteggi tanto per fare il bastian contrario.

Cascina Boccaccio ha centrato di nuovo il suo succoso Celso Zero (88), dolcetto con una breve macerazione carbonica che enfatizza il frutto (bella sta descrizione tecnica, eh?). 

Ah, questi ovadesi, quanto ci piacciono.

Podere Borselli mi ha fatto conoscere Ostro, un bel vermentino 2016, (apperò) pieno di frutta bianca e in bocca personale, morbido eppure fresco (87). Cascina Corte molto sugli scudi con quasi tutto, il migliore è forse il Dogliani Superiore 2017, potente, stratificato e austero (87+), e belle le cose in anfora. Anche Andrea Occhipinti ha messo in fila solo cose encomiabili, il mio preferito resta Alea Viva 2020, naso di rose e spezie, bocca saettante (88+). Tra i primi della classe (ri)spicca Marco Sara, l'assaggio del suo Erba Alta 2016 (89) è stato tra i top dei top, naso mooolto (con tre o) complesso, bocca suadente e vivida. Altro meritevole è Sedilesu che traccia la linea di definizione del concetto cannonau, tutti molto buoni, e centra il primato con un incredibile Perda Pinta 2019 (89) che a dispetto di una gradazione alcolica esorbitante, 17°, è un bianco che vola altissimo, aitante come uno sparviero sardo (ci sono gli sparvieri in Sardegna? Non so). 

Pure le etichette di Francesco Marra erano piene di stile.

Francesco Marra aveva due spettacolari rosati da primitivo e negroamaro (87+ tutti e due), nonché due rossi dalle stesse uve, di una precisione encomiabile - e non solo, erano pure una delizia. Salto ogni recensione di Stefano Amerighi semplicemente perché la perfezione esecutiva del suo syrah cortonese non è più una notizia da annorum.

Notizie che non lo erano.

E direi che ci possiamo fermare qui, che sennò si fa lunga. E siccome le fiere ricominciano davvero, pure qui si prepara qualcosa, torna Vin Natur a Genova, i prossimi 21 e 22 novembre: ci si (ri)vede là.




sabato, ottobre 16, 2021

Il sauvignon friulano di Ferlat sfugge ad ogni tentativo di incasellamento


Il titolo contiene già il post quindi chiudiamola qua.

Eh no, era uno scherzo, che, ci eravate cascati? E invece ecco, svolgimento: in enoteca mi piace aprire bottiglie a random, soprattutto tra i nuovi arrivi, e assaggiare coi clienti. Fossi uno serio direi free tasting per la customer satisfaction. Oggi è toccato al Sauvignon Venezia Giulia 2019 di Ferlat. L'ho acquistato sull'onda del ricordo, nel senso che ricordavo assaggi di quel produttore in un tempo un po' troppo remoto - per cui urgeva il ripassino.

Quando apri un sauvignon giovane hai qualche legittima aspettativa, pensi di trovare un bianco secco, dritto e acido, col tradizionale corredo aromatico un po' esorbitante e sparato di foglia di pomodoro. In un certo senso lo speravo, perché è il tipo di assaggio ludico da cliente del sabato mattina ("dai che ci facciamo l'aperitivo già che sei qui").

Più che una retro etichetta, un'etichetta bislunga

E invece, tac, lui (quel sauvignon) ci ha fatto la sorpresona: niente di tutto quello. Anzi, ora che è pomeriggio tardi e in enoteca è passata un po' di clientela, tutti ci siamo chiesti: ma che razza di sauvignon è? Niente pirazine aromatiche che fanno i fuochi artificiali, ma piuttosto la frutta a pasta gialla, tipo pesca molto matura, anzi succo di frutta alla pesca su base alcolica. In bocca poi ti lascia stupefatto: va be' vena acida, ma anche tono morbido, tipo (quasi, ma non credo, lo dico per dare l'idea) residuo zuccherino. E poi siccome non ne vuole sapere di incasellarsi in nessun modo, finisce con un amarino tipo mandorla. Ma che diav? Hai l'impressione di aver bevuto un cocktail alla frutta tropicale però buono, ecco, spiazzante. A fine giornata ne ho un po' nel bicchiere, ogni tanto ci ripasso su il naso e ci trovo altre sensazioni. Nessuna facilmente incasellabile. Bravo Ferlat.

Il sito di Ferlat al momento è in costruzione. Comunque: produttore molto naturale, cinque ettari a Cormons (Gorizia). Prezzo sui 18 euri.


mercoledì, ottobre 06, 2021

Etna Rosso e vini montanari, nel senso buono del termine


In generale funziona così: io vendo quel che mi piace. Se qualcosa mi piace lo compro e lo propongo ai clientes, punto e basta - tutto sommato, è uno schema semplice. Poi, siccome sappiamo che il vino diviene, cambia e muta nella sostanza gustativa, serve fare quel che si chiama "prelievo di scaffale" (chi legge 'sto blog sa che è un classico), per vedere a che punto siamo con quella famosa evoluzione.

A volte serve, a volte no, a volte basta il feedback del cliente: "oh ma era proprio buono, sai?", anzi quando c'è quel tipo di conferma finisce che io rimando la verifica, vuol dire che l'impressione iniziale era corretta, e tutto sta andando per il verso giusto.

Poi succede anche che non ti accontenti del feedback. Il Ripiddu 2017 di Filippo Grasso, rosso etneo a base di nerello mascalese e nerello mantellato, è una specie di abbonato alla recensione favorevole, ma era troppo tempo che non lo riaprivo. Quindi eccolo qui, nel bicchiere. E devo dire: perché ho rimandato tanto? Questo rosso mi conquista ogni volta.


La retro etichetta qui ha un bel po' di cose da dire

Lassù sulle pendici dell'Etna i vini sono montanari, sono vini di altitudine, hanno niente a che fare con un'idea retrò di vino meridionale. Ripiddu è tutto questo: un sorso fresco, teso, elegante, il naso mescola spezie e fiori, la frutta ora è accennata. In bocca l'astringenza tannica è quasi dolce, tanto è ben bilanciata. Chiude lungo, ha classe e stile, come recita la retro etichetta ha un che di austero, e insomma da solo spiega bene perché l'area dell'Etna oggi produce alcuni tra i più formidabili vini che si possano assaggiare. Che alla fine penso: accidenti a me, troppo tempo ho rimandato questo prelievo di scaffale.

Qui trovate un po' di informazioni sul produttore.


martedì, settembre 28, 2021

I soliti confronti tra spumanti italiani e Champagne


L'assaggio dell'altroieri mi ha consentito l'ennesimo confronto tra Champagne e metodo classico italiano. Nella carriera dell'enofilo compare periodicamente, come fosse una tassa, uno che ti dice: "eh, ma noi italiani lo champenoise lo facciamo meglio che i francesi, altroché". Ora, siccome io qui amo distribuire consigli, vi consiglio volentieri: lasciate perdere chiunque dica una simile nefandezza. Il confronto è demenziale, troppe differenze dal punto di vista del territorio, per non dire della storia, trasformano l'intero discorso nel famoso confronto tra mele e pere. Una perdita di tempo.

Ma illustriamo anche la sempiterna utilità della retro etichetta

Fresco come sono di passeggiate nei vigneti francesi, con in bocca ancora il salino dei blanc de blancs della Marna, ho bevuto con denso piacere il Brut trentino di Balter. Uno chardonnay in purezza, 36 mesi di presa di spuma, 15% del vino base in barrique, mette nel bicchiere un vino soffice, confortevole, con quelle note butirrose di pasticceria che da sole servono a dirti: salve, sono proprio chardonnay. Una bevuta succosa, finita pure troppo presto (ce lo vogliamo trovare un difetto, almeno?) e soprattutto il genere di bontà che ti distrae e ti salva dall'inutile confronto di cui si diceva. 

In enoteca costa sui ventidue euri, notevole nel rapporto prezzo/piacere.

sabato, agosto 07, 2021

Di ritorno da Champagne e Borgogna


Adesso che sono tornato dal mio tour tra Champagne e Borgogna, farò il punto sulla Francia e il suo vino. Rullo di tamburi.

No dai, scherzo: esiste mai un argomento vinoso più sconfinato? Quindi farò altro. Dal momento che questo blog parla di vino e dintorni, mi trovo nell'impasse: per chi scrivo? Per chi conosce già molto - o quasi tutto - sull'argomento? (Tra l'altro: ma che leggete a fare ormai). Oppure faccio una cosa basica, dal titolo molto search engine optimization "come si fa a visitare un produttore di vino in Francia"? Nel dubbio, farò una terza cosa, una summa delle due formule, vediamo cosa ne esce. Se vi interessano esclusivamente i vini e non le mie chiacchiere a margine saltate al punto 3 (tre).

1. In generale i francesi se la tirano e fanno bene
Fissare un appuntamento con un vigneron non è facile. Soprattutto se ci si ostina a voler incontrare solo cantine artigianali. Inoltre ho scelto un periodo non facilissimo per l'accoglienza, alla fine di luglio ci sono lavori in vigna da fare, che preparano la vendemmia: trovare un incastro nella fitta agenda del vigneron è stato difficile e a volte impossibile. Oppure ci sono quelli che sono in meritata vacanza. Pazienza, nel caso organizzatevi con largo anticipo (cosa che ho fatto) e preparatevi a qualche "no monsieur" (cosa che ho fatto). Il vigneron francese di ampio successo è difficile da avvicinare, e ha le sue buone ragioni: quando il tuo prodotto si vende, e il tuo mercato è il pianeta intero, puoi dedicare una porzione minima di tempo al povero pellegrino che bussa alla tua porta per una visita guidata e una serie di assaggi - tutte cose che impegnano per un'ora o due, che il nostro vigneron avrebbe potuto (e voluto) dedicare al potente buyer di [inserisci una nazione ricca a caso]. Quindi non ingrugnatevi se succede, e comunque pensate che le maison industriali invece sono aperte sempre, notte e giorno pranzo e cena, e vi aspettano a braccia aperte. Io manco a dirlo ho puntato solo a quelli della categoria uno, quelli che hanno di meglio da fare che accogliere me. Infine, un buon metodo per scegliere un vignaiolo da visitare è infilarsi in un bistrot che ispira fiducia, e farsi suggerire dall'esercente local. I commercianti sono la salvezza, sempre (a questo concetto dedicheremo un post a parte).

2. La regione della Champagne è bella ma quella di Borgogna è meglio
Se siete persone normali, cioè se non siete fissati col vino e in vacanza magari volete vedere anche qualcos'altro, ecco un paio di appunti. 

In Champagne da vedere c'è primaditutto Reims, con la peraltro meravigliosa cattedrale. Epernay invece mi lascia sempre un po' meh. I ristoranti quasi ovunque hanno orari assurdi, "aperto a mezzogiorno del martedì poi chiuso fino a giovedì con apertura solo serale" - io, per dire, una domenica a Epernay ho trovato aperto solo una specie di pub che serviva birra industriale, la quale era comunque meglio del loro vino a bicchiere. Fuori da Epernay merita una visita Hautvillers, paesino lindo e pinto dove nell'Abbazia riposa Dom Perignon. Andarci è una specie di rito obbligatorio, per recitare la preghiera: Dio fammi diventare non dico ricchissimo, ma abbiente quanto basta da bere Dom Perignon. Le trasferte in auto tra una maison e l'altra sono piacevoli, le vigne pettinate si alternano ai boschi fitti della montagna (in realtà un altipiano) di Reims. Le aree della Champagne sono articolate, tra le altre c'è la Cote des Blancs dove fanno essenzialmente bianco (chardonnay, avevate indovinato eh) e la Montagne de Reims più vocata al pinot nero. Questa è la regola. Però poi tra i primi c'è chi fa pinot nero e tra i secondi c'è chi pianta chardonnay, e a quel punto non ci capisci più molto e vorresti dirgli: mettetevi d'accordo.


La cattedrale di Reims


Interno della cattedrale di Reims


Un vigneto a caso, viaggiando, qui nei dintorni di Mesnil sur Oger


La tomba di Dom Perignon, l'abate che ha codificato la ricetta dello Champagne (quasi un santo)

La Borgogna, eh beh, dal punto di vista turistico vince a man bassa. La regione non è solo il paradiso del pinot noir, sommo rosso che mette assieme leggerezza stile e profondità facendo impazzire di gioia l'enofilo medioman e il guru che ormai ha bevuto il mondo. Tutto ciò avviene nella cornice (abbastanza splendida, sì) di paesaggi segnati dalla lunga linea verde di vigneti, che da nord a sud scende tra rive che nel nome hanno quasi tutto quel che serve a far sognare: Cote d'Or, Cote de Nuits, Clos Vougeot, Vosne Romanée, e infatti i prezzi sono stellari. All'improvviso Dom Perignon vi parrà a buon mercato. I clos, cioè i muretti che delimitano le vigne, formano una scacchiera irregolare e pittoresca, superata in bellezza solo dai vecchi borghi medioevali. Girando per borghi e stradine la bellezza è tale che per un attimo dimentichi il vino, ma dura solo un attimo. Fate (come me) base a Beaune, e da lì potrete girare agevolmente i vari climat, come si chiamano là i cru. Che a loro volta sarebbero le sottozone, vabbe'.


Il castello a Vougeot, meta di turisti


Vigneti attorno al castello di Clos Vougeot


Citofonare Vougeot

3. Ma parliamo di vino, insomma, che ho assaggiato?
In Champagne mi sono dedicato ai mei amati récoltant manipulant, ovvero quei produttori che vinificano unicamente con uve dai vigneti di proprietà. Visitare la cantina e passeggiare per le vigne, inoltre, è tutta un'altra cosa. A Cramant cioè zona da chardonnay (vedi punto 2) Voirin Jumel (piccolo e figo, circa 10 ettari) mi ha fatto sentire una bella selezione di cose deliziose, con qualche novità per me, per esempio il suo Grand Cru Blanc de Blancs dosaggio zero, che ha uno spirito più citrino del butirroso Grand Cru "normale". Poi hanno anche un interessante blanc de noirs (ecco, si diceva...) vispo ma senza l'opulenza dei pinot noir che ha invece un Roger Manceaux, altro recoltant visitato. Sotto la montagne Manceaux ha schierato una notevole produzione di bollicine dense di carattere, bevute vivide e di spessore. Insomma un po' per tutti i gusti, dovrei dire. Poi se mi chiedete chi preferisco, passate in enoteca che ne parliamo. Facendo un bel salto spaziotemporale, tra i borgognoni segnalo Chantal Lescure, che ci ha aperto (merci) le sue cantine per un'interessante degustazione direttamente-dalla-botte delle annate 2020 in affinamento. Lescure ha cantina nel centro di Nuits St. Georges, e vigneti sparsi un po' ovunque nella parcellizzatissima realtà produttiva borgognona. Tra i molti assaggi, avendo voglia di vincere facile, mi ricordo bene (molto, bene) il Vosne Romanée. I prezzi non chiedeteli, arriva settembre e ci sono le scadenze, non volete saperlo.


Vigneti sotto Vorin Jumel a Cramant


Vigneti di Voirin, una sola non bastava


Una parte della cantina di Vorin Jumel


E qualche assaggio


Bottiglie di Champagne in affinamento, da Roger Manceaux


Il magazzino di Manceaux, cose buone in affinamento


Alcune barrique nella cantina di Manceaux


Il signor Lescure (François Chaveriat) spiega con afflato


Una barrique di Pommard 


Non c'entra molto, ma una foto con dedica di Clint Eastwood a me pare rilevante


La cantina di Lescure

Come in ogni gita aziendale, anche questa volta ho scaricato un po' di assaggi direttamente dal bagagliaio dell'enotecaro-car al magazzino in bottega, un piccolo anticipo sui prossimi arrivi, quindi presto (buone notizie) riprendono gli assaggi a bottega. Preparate il green pass (si scherza, non serve da me) che io preparo i bicchieri.

sabato, luglio 03, 2021

La situ a Ponente, nel senso della Riviera

Il mese appena trascorso ha visto un bel po' di assaggi che riguardano la prossima Guida essenziale ai vini d'Italia di Daniele Cernilli, per la quale curo la Liguria. Con l'occasione una mini trasferta di due giorni a Dolceacqua è stata utile per ripassare la lezione: che aria tira a Ponente? Ecco un riassunto per sommi capi.

Terre Bianche
Succede che il Rossese di Dolceacqua 2020 by Filippo Rondelli coincide col 150° anniversario della fondazione aziendale. In questa annata l'azienda non ha prodotto le vigne singole, quelle che si chiamano Menzioni Geografiche Aggiuntive, e le uve sono tutte confluite nel Rossese classico - mai dire base, prendete nota, Rossese base è una parolaccia e da quelle parti vi cacceranno via dalla cantina col fucile caricato a sale. Il Dolceaqua 2020, dicevamo: saranno le uve delle MGA che sono comprese nel blend, sarà che a Terre Bianche dopo centocinquant'anni hanno affinato qualche tipo di abilità a fare vino, ma quel Rossese è una bomba a tempo: nel senso che già adesso è esplosivo, ma con due-tre anni di affinamento farà il botto. Quanto al loro Pigato 2020, sempre un bel lavorino, solito trionfo di erbe aromatiche e citrino il giusto. La verità è che Terre Bianche è una specie di sicurezza, quassù.
(Di Terre Bianche in enoteca vendo il Rossese di Dolceacqua, sui venti euro)


Un vigneto e la cantina da Terre Bianche

Maccario Dringenberg
È interessante notare che per un Terre Bianche che stavolta non produce MGA, c'è una Giovanna Maccario che ha letteralmente il culto della sottozona, arrivando a produrre un numero consistente di Menzioni Geografiche Aggiuntive, ognuna col suo bel perché: chi ha ragione? Boh, per me tutti e due. A me piace, in Maccario, questa attenzione al genius loci, vabbè scusate il latino - era per dire: attenzione al particolare. Ogni MGA ha il suo caratterino definito, la sua dettagliata bellezza. Comunque, i 2019 di Luvaira, Curli, Posaù Biamonti (che è una sotto-sottozona di Posaù, ecco ve l'avevo detto) sono semplicemente commoventi, sono quintessenziali per capire cosa sia Dolceacqua oggi: finezza, bellezza, eleganza, facilità di beva e complessità stratificata messi assieme. Il Rossese Classico 2020, molto promettente, era ancora nella botte d'acciaio (solo acciaio per i Dolceacqua di Maccario). A proposito: visitare la (piccola, ovviamente) cantina di Giovanna, nel borgo di San Biagio della Cima, vale il prezzo del biglietto di andata, ritorno, e pure soggiorno.


Gli assaggi da Maccario


Un angolo della cantina di Maccario


Giovanna in cantina


La botte che contiene 7 Cammini, la nuova MGA di Maccario

Ka' Manciné
A me i vini di Maurizio Anfosso fanno impazzire: sempre un po' ruvidi, riottosi, si concedono poco e si aprono piano, poi dagli quel po' di tempo e te ne innamori. Esiste qualcosa di più ligustico, nel senso di territoriale, ligure, di questo? A partire dal suo bianco, il Tabaka 2020, che nel bicchiere spande un effluvio che il bravo assaggiatore creativo descrive così: belin che sei salito a fare fin qua su? Ma tornatene in spiaggia. E invece, se lo fai respirare - esattamente come il suo rosato - si diventa amiconi. Il Dolceacqua Galeae 2020 poi è uno dei migliori mai assaggiati, bel lavoro davvero. Se pianificate una visita in cantina, questa è un'altra destinazione per la quale dovete controllare bene, prima di partire, freno frizione e gomme dell'auto. Che sì, la scalata è lunga e ripida, sopra Soldano.


Gli Assaggi da Kà Manciné


La vista da Soldano


Una parte della cantina di Kà Mancinè

Testalonga Perrino
Antonio Testalonga Perrino la tocca piano, dice sottovoce: io ormai ho sessanta vendemmie alle spalle. Questo signore, che per sessant'anni ha prodotto Rossese, ora affiancato da Erica, sua nipote, è un'icona vivente a Dolceacqua. Al netto del fatto che i suoi vini sono alquanto introvabili, prodotti in misura davvero omeopatica, vi segnalo che il 2020 assaggiato in botte, nella micro cantina aziendale, si annuncia grandioso. Vi suggerirei l'acquisto compulsivo - a trovarlo. Particolarmente rilevante il suo bianco a base vermentino, se fossi uno di quei giovinastri che bevono vini naturali vi direi che è orange ma siccome sono una persona di una certa vi dico solo che è una pietra miliare di carattere e rocciosità. Delle delizie del Rossese 2019 non vorrei parlarne troppo, ne ho comprato una dose ridicola per l'enoteca e sta già finendo, lasciate perdere, bevete altro, va bene?


Alcuni assaggi


Le botti col Dolceacqua 2020 in affinamento


Vecchie etichette


Il signor Perrino racconta


La targa sulla porta della cantina

Extra bonus: Daniele Ronco
A Ranzo c'è questo giovine promettente. E a Ranzo che vuoi produrre? Ma Pigato, ovviamente, e pure un po' di Granaccia. Due ettari di vigna solamente, i latifondi in Liguria sono così. Assaggio ben tre annate di Pigato, '20 '19 e '18, tutte encomiabili (la mia preferita è la 2019 adesso) e pure la Granaccia, da un vigneto alto, a 500 metri, è tesa ed elegante, niente affatto seduta sul fruttone. Dario produce in proprio da poco, la sua famiglia fa uve da anni e annorum ma ha sempre conferito ad altre cantine. Le premesse e le promesse, dicevo, sono buone con tendenza all'ottimo.
(Di Daniele in enoteca vendo le ultime due annate di Pigato, sui sedici euri, e la Granaccia che sta a venti)


Assaggi da Daniele Ronco, Pigato di 3 annate e Granaccia


Il Borgo sopra Ranzo che porta alla cantina di Daniele


Daniele nel vigneto

giovedì, aprile 01, 2021

Due assaggi con svariate considerazioni a margine


Si diceva che in assenza di fiere, le fiere vengono da te. Almeno in parte: non riuscendo più a girare per rassegne, i distributori più savi si industriano e girano per enoteche (tipo la mia) con la loro mercanzia, e l'enotecaro assaggia, valuta, medita, rimembra, considera, e se va bene compra. Anzi lanciamo un appello a tutti: c'è stato un tempo in cui dovevo dire no grazie, non inviarmi campioni, dimmi a quale fiera vai che io passo ed assaggio. Adesso vale il contrario, e per fortuna qualcuno si sta dando da fare in questo modo. Succede, anche, che si assaggino cose non esattamente centrate, ma vabbè, in quel caso non faremo nomi.

Parliamo piuttosto di due assaggi tra i molti proposti da Radici Natural Wines (grazie). C'è la parolina magica natural quindi che te lo dico a fare, parliamo di vini naturali. E siccome ogni volta che appare la parolina magica tocca fare il disclaimer, si tratta di vini naturali ben fatti. Durante gli assaggi mi ha quasi sorpreso trovare come un filo conduttore in mezzo alle aziende selezionate da questa distribuzione, tutti vini che assieme al carattere spiccato mostravano una pulizia esecutiva esemplare, come se l'assaggiatore che ha fatto la selezione seguisse la sua personale visione. In mezzo ai molti, dicevo, ecco i due che mi sono piaciuti di più, e infatti finiscono sullo scaffale.

Vino Rosso "G", Auriel. Nome totalmente minimalista per questo rosso piemontese imbottigliato senza alcuna denominazione né annata in etichetta. Trattasi di grignolino, da qui la "G" - con nota di stile: l'immagine è disegnata da Dario Fo. Sottobanco apprendo pure che è vendemmia 2019. Non mi dilungo sul why e il because molti produttori preferiscano tagliare ogni orpello burocratico e usino la denominazione (appunto, minimalista) ex lege di vino rosso, a me sta bene così, io credo che il temperamento artistico e creativo di chi produce vino gli consenta questo e altro. E siccome conta quel che c'è nel bicchiere, ecco: sorpresa. Frutta rossa e anche nera direi, fitta e profonda, succosa, matura, una cosa tra la fragola e l'amarena. In bocca ha tensione, freschezza, pienezza, vino di bella e confortante soddisfazione. Prezzo in enoteca, sui venti euri. Punteggio dai miei appunti: 87+
Qualche giorno dopo dello stesso produttore assaggerò anche una barbera, fresca di agrume rosso e beverina, coerente con lo stile del produttore, cioè a dire molto bene.
Sito del produttore, per saperne di più

Malvazjia 2019, Klabjan. Una malvasia slovena dall'area istriana, la dizione completa in etichetta è Kakovostno vino ZGP - Pridelano in ustekleničeno na posestvu. E se avete letto tutto capite perché neanche ci provo a pronunciarlo, amici sloveni scusate ma non parlo la vostra bella lingua, la faccio breve e vi dico che è malvasia istriana. L'assaggio è spettacolare: colore con un velo di carica opaca, ma giusto un velo, giallo pieno. Al naso parte baldanzoso, fragrante tra la frutta e le erbe aromatiche, ampio e fittissimo. La bocca ha una presa gustativa goduriosa, di nuovo la frutta e il sale, finezza e potenza assieme - ma che bravo è il signor Klabjan? Prezzo in enoteca, 22 euro. Punteggio dai miei appunti: 90
Qui altre info sul produttore, che è anche un personaggio