sabato, novembre 21, 2020

Botteghe oscure ma non troppo. (Oppure: cose che ho scordato di dire)


Ieri è andata in onda la chiacchierata enotecaria del vostro quipresente, assieme a Guido Porrati, ospiti di Alessandro e Daniele di Papille Clandestine. Siccome la diretta era in orario lavorativo, ogni tre per due mollavo la postazione e servivo qualche cliente - con la conseguenza un po' comica di dire al cliente di cui sopra "scusa ho una diretta Facebook in corso con..." e registrare le varie reazioni, tra il comprensivo e il "ma chi se frega, vendimi il mio vino" ad opera del mio cliente (fintamente) brutale preferito, che peraltro legge sto blog e quindi saluto. Peccato non aver fatto la diretta dentro la bottega (ero nell'ufficio), sai che bel tranche de vie?

Tra un vai e vieni ho perso qualche passaggio e mi accorgo ora di aver anche saltato un paio di domande, per esempio questa


quindi adesso faccio una cosa metacomunicativa (butto lì un parolone a caso) e integro il filmato con un post.

La questione ha a che fare con aspetti che ho segnalato nell'incontro, specialmente quel che io vedo come un'involuzione di alcuni ambienti comunicativi, tipo Facebook, afflitti da un fragoroso rumore di fondo che limita l'efficacia delle conversazioni. A questo proposito (quando avete tempo) vi linko un paio di letture che ho citato, "La teoria dei giochi e il Covid-19. Perché sapere troppo rischia di non farci capire niente", ma anche "Se i social ti hanno stufato, è ora di costruirti un giardino digitale".

(Appare buffo dire durante una diretta Facebook che Facebook è un postaccio, ma è un mondo buffo, in effetti).

Venendo alla domanda in questione, a cui ho risposto parzialmente, Francesco chiede "Come vivono le cantine e le aziende vinicole questo momento?" - ecco, ho omesso di dire che chi produce vino si è attivato, e bene, a vendere online direttamente: con i principali clienti (ristoratori eccetera) bloccati dal lockdown, è stata una conseguenza naturale. La stessa cosa stanno facendo anche molti distributori e grossisti, e tutto ciò aumenta la famosa disintermediazione. 

La disintermediazione in apparenza è un fatto che, ancora di più, comprime i margini di quelli come me, destinandoli a diventare, forse più velocemente, statuine del presepe. Tuttavia, per un paradosso riassumibile col brutto "tanto peggio, tanto meglio", questo fenomeno accresce ancora di più la portata del flusso oceanico di ulteriore rumore di fondo che aumenta la confusione nei nostri clienti. Ecco perché, per paradosso, un giardino nemmeno digitale alternativo e utile è rappresentato, ancora, dalla piccola bottega che ha una sua ragione, propositiva, di esistere. Del resto qualcosa del genere l'ha detta pure Guido.

Concludo parlando di vino, se non altro perché questo è un wine blog e ogni salmo finisce in gloria. La chiacchierata termina chiedendomi quale vino consiglio. In maniera davvero meta, ho consigliato esattamente quello che avevo venduto un minuto prima (dopo la mia ennesima sparizione dal set) ad un cliente: il Merlot rosato di Armin Kobler, semplicemente perché è un vino fenomenale ma pure confortevole - e insomma, c'è bisogno di comfort, eccome.

venerdì, novembre 06, 2020

La comunicazione del vino passa per vie inaspettate


Entra il corriere con una bella pila di cartoni neri, eleganti come l'etichetta del suo contenuto, Gelso Nero di Podere 29. Dice "devo consegnare questo vino bio". Io, che la so lunga, lo correggo: Gelso Nero non è mica biologico.

Lui, che sa leggere un documento di trasporto ed è meno distratto di me, replica "oh, qui c'è scritto bio".

Ed è così che scopro che la vendemmia 2019 di Gelso Nero, uva di Troia, pugliese nonché decennale del vino, è diventato ufficialmente bio. Ecco, le vie inaspettate di cui al titolo. Grazie anche all'addetto alle consegne.


venerdì, ottobre 30, 2020

Qual è il vino che preferisco


Almeno una volta ogni enoqualcosa se l'è sentito chiedere: qual è il vino che preferisci? Io, che quando dico cosa faccio nella vita dico "faccio l'assaggiatore di vino", normalmente ottengo quella domanda come prima reazione. Ogni volta mi invento una risposta nebulosa, del tipo è il prossimo che assaggerò, è quello che non assaggerò mai. Il fatto è che non ho una risposta a quella domanda. Sono curioso e volubile nei gusti, oggi mi piace una cosa domani un'altra. Dipende dall'umore, che più del cibo per me determina l'abbinamento. 

Anche se, in effetti. Ultimamente mi succede un fatto.

Mi pare di aver sviluppato, per la prima volta, una possibile risposta alla domanda. Credo proprio di avere una generica preferenza per le rifermentazioni naturali. Che sono quei vini frizzanti ottenuti dalla presa di spuma in bottiglia - un po' come il metodo classico, ma senza il degorgement, cioè col fondo. Ormai quando vedo una produzione di qualsiasi vitigno che vada a formare un qualche tipo di rifermentato naturale, tac, lo voglio. Non è sempre una bevuta perfetta (la formula della perfezione enoica non esiste) ma quasi sempre va a finire che mi piace. Come mai? Ci sono diversi motivi.

1. Sono vini antichi però moderni. Sono la prima forma arcaica di bollicine, e ora sono diventati la modernità. Strano, vero? Questo paradosso spaziotemporale mi diverte assai.

2. Sono bevute allegre e spensierate. E lo sa il cielo quanto gli enoqualcosa hanno bisogno di prendersi una pausa dalle formule rituali come "colore giallo paglierino scarico, naso di mela e banana, in bocca fresco e sapido".

3. Stanno bene su tutto come il blu. Sono turboversatili in abbinamento, probabilmente anche per quel che dicevo al punto due.

Ormai per me è un riflesso condizionato, mi versano una bollicina torbida e opalescente e dico "benissimo". L'ultima volta era domenica scorsa, seduto all'aperto in un'osteria piacentina, l'oste arriva al tavolo con un vino così, che abbiamo prosciugato in un attimo. 

Così veloci che manco ho fatto la foto, ecco, per dire quanto m'è piaciuto. Quindi a titolo di esempio qui sotto metto un rifermentato che vendo - non serve dire che mi piace. La foto in alto, idem.




mercoledì, ottobre 21, 2020

Birre di Franconia e difetti. Un laboratorio con Simone Cantoni


Ed ora qualcosa di completamente diverso. Ho seguito un interessante laboratorio sui difetti riferibili alle birre di Franconia, tenuto da Simone Cantoni a Genova, al pub del cuore (Scurreria). L'argomento, declinato a quel modo, pare un po' tremendo, ma in realtà è stato un lavoro di studio alquanto interessante, reso anche facile dall'abilità del relatore.

Si è parlato di difetti pur avendo nel bicchiere birre non esattamente difettate, ma semmai contrassegnate dal carattere rustico della birra fràncone - non è stato un assaggio di birre didattiche (cioè cattive), ma un viaggio attraverso i possibili difetti che, tra un'olfazione e un sorso, potevano essere descritti attraverso quegli elementi di carattere. Queste le birre che hanno accompagnato il lab:

1. Hofmann Gräfenberg Helles, 4,9% vol
2. Pfister Schwarzer Keller, 4,9% vol
3. Elch-Bräu Dunkel, 5,1% vol
4. Knoblach Stammberg Bock, 7% vol

Ecco il (lungo) estratto video, in due parti. Mettetevi comodi, possibilmente con una birra fràncone nel bicchiere. 





Per sapere qualcosa in più sulle birre di Franconia, consiglio questa lettura.


giovedì, giugno 11, 2020

Cronache della fase due. Nelle Cinque Terre, per vigneti e terrazzamenti

La festa della Repubblica, il 2 giugno, è stata l'occasione propizia per la prima uscita dopo-lockdown, e nello spirito localista che animava ancora la normativa di quei giorni, solo le gite regionali erano concesse: è un segno, ho pensato, me ne sto nella mia Liguria - a Vernazza, nelle Cinque Terre, per la precisione, dove c'è la cantina di Cheo. Quanto tempo è che rimandavo? Troppo. E dire che sono un po' di anni che quel cinqueterre è uno dei miei vini del cuore. Anzi, come fosse un wine blog, ecco gli assaggi recenti.

Cinque Terre Perciò 2019. Che deve il suo nome al contadino che conduceva quel (micro) vigneto prima di Bartolomeo Lercari, che con la signora Lise Bertram oggi manda avanti l'azienda. Quello aveva un intercalare, diceva sempre "perciò", e tac, ecco fatto il nome del cru. Che contiene tra l'altro un vitigno un po' inedito, il piccabun. Il risultato è un biancone fragrantissimo, tutto mare e luce, e non sono condizionato dalle visioni del panorama. Fiori frutti e salsedine, in bocca guizza come un'acciuga. Vabbe' sono un po' condizionato.


Liguria di Levante Rosso 2018. E a proposito di vitigni insoliti, Cheo ha un bel po' di filari di refosco dal peduncolo rosso, gambu russu lo chiama, finiti su queste terrazze a causa di un'ascendenza friulana tra i parenti. Assieme c'è syrah e cabernet sauvignon, si fa un anno metà in barrique e metà in acciaio, poi in bottiglia. Il risultato (again) è un rosso esorbitante di frutti e succo, davvero una roba più unica che rara per le Cinque Terre (qui ho peraltro messo la mia rece su Intralcio) e per me è stato ammore con due emme a prima vista. Mai più senza.


Vi risparmio la rece sul loro Sciacchetrà 2017 perché ho finito le esagerazioni. Negli appunti per la prossima Guida Essenziale ai Vini d'Italia che è in lavorazione ho scritto, tra l'altro: "bocca dalla dolcezza gloriosa, miele amaro e inedita astringenza, potenza in equilibrio con un corroborante finale di freschezza agrumata". A volte faccio l'assaggiatore serio.

Ma di un tour del genere, quel che merita sono i paesaggi. I terrazzamenti delle vigne a picco sul mare danno dignità di fotografo pure a un incapace, quindi come se fosse un photoblog ecco un po' di immagini.

Sulla spiaggia di Vernazza potreste scorgere la lussuosa imbarcazione aziendale dei titolari. Il tipico gozzo ligure

Il panorama dai vigneti, sopra Vernazza


Il panorama come sopra, col particolare dei carrelli della monorotaia che ci porta quassù. Bello ripido, eh

Bartolome Lercari

Una botticella che contiene Sciacchetrà


La cantina, con gli spazi ristretti, tipicamente Cinque Terre

Ultimo ma non ultimo: per salire fin lassù serve accomodarsi (si fa per dire) sui carrelli della monorotaia che risale i pendii. E come fosse un videoblog, ecco com'è stare là sopra.

mercoledì, maggio 06, 2020

Fase due, e altre forme di Intralcio

Ora che è iniziata la fase due, sto in enoteca con un orario quasi normale - pomeriggio, ma anche la mattina quando capita. Sempre meglio che far niente, e comunque mi piace stare qua, nel mio luogo deputato, nella mia enoteca. Anzi, in un momento di incoscienza, sto dilapidando gli ultimi spiccioli in acquisti di nuovi vini - ne riparleremo. Mi piace, come sempre, far entrare cose nuove, ed ora più che mai compro cose che mi piacciono o che mi sarebbe piaciuto comprare, solo rimandavo perché boh, aspettavo tempi migliori. Ma 'sti benedetti tempi migliori non arrivano mai, tanto vale buttarsi avanti. E siccome sono un enotecaro indie, compro e vendo quel che mi va, a volte faccio entrare etichette che i clienti guardano un po' sconcertati: ma questo che è? Perché ce l'hai? La risposta a queste domande, il racconto, è una delle cose divertenti del mio lavoro.

Con il dovuto ritardo, manco avessi molte cose da fare, annuncio anche che è partito il progetto di Intralcio, un nome a caso, un ripostiglio di appunti di assaggio ad opera di una squadra molto nutrita (doppi sensi) di assaggiatori. Nel manifesto c'è spiegato cosa io, e tutti quanti, facciamo là: riversiamo assaggi. Non è un blog (basta, abbiamo già dato) e non è nemmeno un magazine. E' un posto dove mettere quelle cose che forse buttavamo un po' incoscientemente nelle reti sociali, Facebook soprattutto, e lasciavamo che là tutto affondasse nel nulla. Ecco cos'ha di buono (tra le altre cose) Intralcio, non è una rete sociale, siccome di quelle reti sociali io ne ho davvero abbastanzissima. Molto tempo fa scrivevo qui il perché.

lunedì, aprile 06, 2020

Cronache dall'Area X. Oppure: vini da bere a casa

Raro caso di post in cui ci sono due titoli, il secondo è quello sensato. Il primo si riferisce al libro che sto leggendo, e sembrava comunque riferibile ai tempi che viviamo. L'enoteca durante il lockdown resta chiusa se non in modalità on demand, cioè su appuntamento, oppure con consegna a domicilio: basta una telefonata e si decide assieme che vi può servire (a proposito, il mio cellulare è sempre: 347 5566554). Comunque sia venerdì che sabato prossimi l'enoteca è aperta con orario pomeridiano, 16-19,30, che hey, arriva Pasqua.

Nel frattempo che si beve, chiusi a casa? Difficile fare una statistica ma in generale a me pare che stia fissando una specie di tendenza. Nel cartoncino da sei bottiglie, che viene acquistato per la consegna a domicilio, normalmente ci stanno un paio di rossi leggeri, un paio di bianchi altrettanto, una bottiglia di bollicine e un rosso, o bianco, un po' più importante e/o tosto. Si copre, all'incirca, il fabbisogno della settimana - che, lo sapete, dovete bere poco. Lo sapete, vero?

Il magazzino non si rifornisce facile, data la situazione (non ho ancora scritto coronavirus e scusate, mi faccio i complimenti da solo). Un po' per fortuna e un po' perché a me le cose easy piacciono, combinazione di 'sti tempi ho trovato le due etichette che vedete in immagine, e taac, sono davvero i vini che servono, adesso. E infatti si avviano ad essere best seller - o almeno, io me lo auguro, ecco.

Roagna, il nome del produttore, non è quel Roagna di Langa, quello superfigo e costoso, è Giuseppe Roagna, quell'altro, area Roero. per la precisione, abbiamo:

Langhe Dolcetto 2018. Finalmente un tono alcolico non ingombrante, 12,5%, che mi consente di iniziare una scheda con il grado, cosa che non faccio mai. La leggiadria è la cifra di questo rosso fragrante e croccante, coi tannini accennati e un finale di mandorlina che innamora. Jolly per molti abbinamenti possibili, compagno di tavola confortante. Di questi tempi, poi. Prezzo: euro 10,80.

Langhe Favorita 2018. "Attento a quel che cerchi, potresti trovarlo". Io cercavo un bianco fine e teso, appena petillant (eh sì, l'hanno imbottigliato con un soffio di bollicine, solo un soffio), con frutta bianca e freschezza scattante in bocca, che il bicchiere finisse in un sorso solo. Olè, trovato, adesso devo resistere alla tentazione di aprirne un'altra bottiglia. Sui nove euro.

E questi sono solo due esempi. Restate a casa, bevete poco ma insomma, bevete bene, e per ogni altra cosa restiamo a disposizione.

venerdì, marzo 20, 2020

Cronache da qui, puntata indefinita

Sta finendo la seconda settimana di fermo, e non credo che vedremo presto la fine. La cosa peggiore, ammesso che si riesca a fare una classifica, è non capire bene quando finirà. Tanto vale attenersi a quel che dicono i dottori, e non uscire, stare a casa il più possibile e resistere. Per quanto mi riguarda so che posso reggere su tempi lunghi, in questo genere di prove, ma appunto: quanto lunghi? Pure il mio lavoro non reggerà questo fermo per molto. Ma adesso non ci penso.

Intanto leggo, guardo film e serie (come tutti quelli che conosco, direi) e bevo cose messe via o pescate a caso nella mia enoteca. Anche il lavoro, fermo com'è, è una scusa per uscire se e quando c'è un cliente che ti chiama per una fornitura. E comunque esco col senso di colpa. Ieri sera ho risentito la lumassina (rifermentazione naturale in bottiglia) di Cascina Praiè (prodotta assieme a Sancio, raro caso di collaboration tra cantine) ed è stata decisamente una bevuta confortevole e confortante. Soprattutto, è sempre la solita storia del vino che quando arriva in enoteca è poco pronto, ma dagli un po' di tempo e taac, diventa un capolavoro. Peccato che sia anche finito. Davvero, questo 2017 appena arrivato era tipicamente citrino, immaginate un succo di lime alcolico ed effervescente. Ieri sera invece era disteso e complesso.

Bevuto nel gotto sbagliato apposta, niente calice da assaggio: non si tratta di abbruttimento da casalinghitudine, era più una scelta ideologica, essendo quello vino contadino e retrò, ci voleva il bicchieraccio proletario. Quindi è un'altra forma di snobismo, sì.

lunedì, marzo 16, 2020

Tutti a casa

Alla fine pure qui si cede al virus, e si sta a casa. Direi che non serve spiegare quale virus, nemmeno si sente il bisogno di scrivere ancora mezza parola in più su quel che succede - e su quanto surreale e pazzesco sia tutto. Che poi, in effetti, nemmeno ho idea di quanto tutto sia in corso di sovversione e cambiamento. Come cambieranno le cose, da adesso in poi? Non sono in grado di formulare risposte. Posso immaginare scenari, e non mi piacciono. Cerco di ridurre al minimo il rumore di fondo, e questo post serve solo per annunciare che l'enoteca è chiusa fino a nuovo ordine. Sono possibili acquisti su appuntamento, e/o consegne a domicilio (gratis) chiamando il numero 374 5566554.

Lavorare, cioè stare aperti, con un clima da coprifuoco era impossibile. E probabilmente non aveva gran che senso: per ora è chiaro che stare a casa previene le possibilità di trasmissione e contagio, quindi per la salute mia e di tutti, è meglio ridurre in ogni modo le occasioni di uscita. E fine.

Quindi tutti a casa, anche io. Credo che sarà un periodo interessante, mi dedicherò alle letture e proverò a tenere un diario. Magari, anche, delle cose che bevo e leggo, a partire dall'immagine là sopra, pescata a caso nella mia galleria del cellulare (in questi giorni pure troppe foto così, ho inserito). Esco solo nelle situazioni consigliate (o consentite), lavoro ad un nuovo progetto, vivo e attendo. Spero tutto bene anche voi.

venerdì, gennaio 24, 2020

Grillo, nel senso del Rossese di Dolceacqua (non quell'altro)

I lavori in corso per il prossimo Genova Wine Festival hanno lati positivi e divertenti. Per esempio si cercano, e si trovano, aziende nuove e inedite. Succede anche di trovare un produttore del quale non ci sono nemmeno due righe sull'internez. Mai recensito, sconosciuto. Sito in costruzione. E allora che si fa? Facciamo noi il primo passo.

Grillo ha due ettari di vigneto nella zona del Dolceacqua (Rossese di). L'azienda in realtà fa olio, il vino è un fatto recente - e almeno quel sito esiste. "La passione per il nostro territorio ci ha invogliato a creare un'azienda vitivinicola, che si estende per due ettari, dove nasce la nostra produzione di Rossese". E fine della presentazione, non male come minimalismo ligure, vero?

Quindi che vuoi fare, assaggiamo. Ho aperto i vini in due riprese. Prima il Rossese di Dolceacqua Superiore 2018, che dal colore profondo si annuncia un po' stipicizzato, se per tipico intendiamo il colore scarico. Il naso segue a ruota, più frutta che scattanza, ma comunque bella bevibilità, certo non pesante nell'esecuzione (per fortuna). Piacevole, e da risentire. Il Rossese "base", o classico, sempre 2018, aperto il giorno dopo ha dato una gran bella prova, forse anche più attraente, adesso, rispetto al pur buono Superiore: è scarico al colore e il naso è un mix un po' selvatico di terra e frutto, la bocca è snella, insomma scatta bene. Mi piace.

Alla fine promossi, saranno al Festival. L'impressione è positiva anche data la vendemmia 2018, che da quelle parti non è stata facilissima. Ai posteri (e ai visitatori del GWF) la sentenza, speriamo non ardua.