Ieri è andata in onda la chiacchierata enotecaria del vostro quipresente, assieme a Guido Porrati, ospiti di Alessandro e Daniele di Papille Clandestine. Siccome la diretta era in orario lavorativo, ogni tre per due mollavo la postazione e servivo qualche cliente - con la conseguenza un po' comica di dire al cliente di cui sopra "scusa ho una diretta Facebook in corso con..." e registrare le varie reazioni, tra il comprensivo e il "ma chi se frega, vendimi il mio vino" ad opera del mio cliente (fintamente) brutale preferito, che peraltro legge sto blog e quindi saluto. Peccato non aver fatto la diretta dentro la bottega (ero nell'ufficio), sai che bel tranche de vie?
Tra un vai e vieni ho perso qualche passaggio e mi accorgo ora di aver anche saltato un paio di domande, per esempio questa
quindi adesso faccio una cosa metacomunicativa (butto lì un parolone a caso) e integro il filmato con un post.
La questione ha a che fare con aspetti che ho segnalato nell'incontro, specialmente quel che io vedo come un'involuzione di alcuni ambienti comunicativi, tipo Facebook, afflitti da un fragoroso rumore di fondo che limita l'efficacia delle conversazioni. A questo proposito (quando avete tempo) vi linko un paio di letture che ho citato, "La teoria dei giochi e il Covid-19. Perché sapere troppo rischia di non farci capire niente", ma anche "Se i social ti hanno stufato, è ora di costruirti un giardino digitale".
(Appare buffo dire durante una diretta Facebook che Facebook è un postaccio, ma è un mondo buffo, in effetti).
Venendo alla domanda in questione, a cui ho risposto parzialmente, Francesco chiede "Come vivono le cantine e le aziende vinicole questo momento?" - ecco, ho omesso di dire che chi produce vino si è attivato, e bene, a vendere online direttamente: con i principali clienti (ristoratori eccetera) bloccati dal lockdown, è stata una conseguenza naturale. La stessa cosa stanno facendo anche molti distributori e grossisti, e tutto ciò aumenta la famosa disintermediazione.
La disintermediazione in apparenza è un fatto che, ancora di più, comprime i margini di quelli come me, destinandoli a diventare, forse più velocemente, statuine del presepe. Tuttavia, per un paradosso riassumibile col brutto "tanto peggio, tanto meglio", questo fenomeno accresce ancora di più la portata del flusso oceanico di ulteriore rumore di fondo che aumenta la confusione nei nostri clienti. Ecco perché, per paradosso, un giardino nemmeno digitale alternativo e utile è rappresentato, ancora, dalla piccola bottega che ha una sua ragione, propositiva, di esistere. Del resto qualcosa del genere l'ha detta pure Guido.
Concludo parlando di vino, se non altro perché questo è un wine blog e ogni salmo finisce in gloria. La chiacchierata termina chiedendomi quale vino consiglio. In maniera davvero meta, ho consigliato esattamente quello che avevo venduto un minuto prima (dopo la mia ennesima sparizione dal set) ad un cliente: il Merlot rosato di Armin Kobler, semplicemente perché è un vino fenomenale ma pure confortevole - e insomma, c'è bisogno di comfort, eccome.