E' tutta qua.
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
sabato, settembre 29, 2007
venerdì, settembre 28, 2007
La rabbia
Maledetti rappresentanti.
Adesso vi racconto come funzionano alcuni venditori; i baroni della rappresentanza sono quattro o cinque vecchi culi di cemento che assommano qualcosa come duemila mandati a testa; hanno il meglio del meglio non per meriti personali ma per incomprensibili fenomeni di baronia (per cui se sei agente di -esempio- Ferrari diventi pure agente di Gaja, Antinori, e via griffando). Questi vecchiacci attaccati alle rendite non vanno mai in pensione, pure a novant'anni, ma continuano a vivere di vendite siglate rispondendo al cellulare sdraiati sotto l'ombrellone. Questi fenomeni parastatali della rappresentanza se ne fregano altamente di girare coi listini, che tanto il prodotto viene elargito soltanto alla categoria di clienti che e' simile a loro, cioe' i baroni della ristorazione e delle enoteche (similia cum similibus; oppure: chi si somiglia si piglia). Per inciso, i baroni tra gli enotecari sono sempre quei quattro o cinque vecchi eccetera eccetera, gli unici a cui la stampa fa riferimento quando parla di enoteche della tua citta'; per cui se il Gambero Rosso fa un articolo sulle enoteche di Genova, gia' sai dove andra' a parare. Io, nemmeno a dirlo, non appartengo a quel numero di baroni, e date le premesse spero ardentemente d'essere ignorato per il resto della mia esistenza.
E veniamo al motivo di tanto giramento.
Prima dell'estate sbarcava nella mia bottega, probabilmente per sbaglio o perche' aveva forato una ruota, il collaboratore di un barone; dìcesi collaboratore il giovane di bottega del culo-di-cemento, cioe' quello che per una percentuale esigua dell'intermediazione gira come un dannato col listino del capo, mentre questo fuma il suo Havana assieme all'altro enotecaro barone, sotto l'ombrellone eccetera (ci siamo capiti, ormai). Il giovane di bottega ha comunque tra i 40 e i 50 anni (si e' giovani a 50 anni, si sa). Da parte mia, ho scrutato il listino pochi secondi, quanto basta per rendermi conto che l'occasione andava afferrata al volo. E siccome qui non si fanno nomi, ma solo cognomi, diro' che il listino sul quale ho fatto il sorriso da pescecane era quello di Giacomo Conterno. Commetto pero' un errore atroce (il primo di una serie) e lo congedo pregandolo di rifarsi vivo a settembre, per un ordine. Contavo sul fatto che ci fossimo capiti: io paria dei bottegai, tu paria dei venditori, uniamo le nostre solitudini in un connubio tra perdenti.
Piccolo inciso: io avevo in cuore di passare a Monforte, presso il produttore in questione, da circa duemila anni; il suo prodotto e' quel che si dice un must, ma non in quanto griffone fighetto; e' proprio un gran vino, del genere memorabile. Il Barolo Monfortino, pure nel suo prezzo stellare, segna da sempre un punto di riferimento per la produzione dell'area; ricordo la prima volta che l'assaggiai, dal Pescatore; il boss Antonio Santini aveva il Monfortino fuori carta dei vini, in quanto affermava fosse sua fornitura personale; ma gentilmente accetto' la nostra richiesta.
Nonostante tanta premessa, non ho mai trovato il tempo (e forse la voglia di sentirmi dire "no") per visitare Conterno. Avrei dovuto farlo, se non altro perche' aspettare la visita del suo agente equivaleva ad aspettare Godot. Secondo errore.
Insomma, arriviamo allo showdown. Ieri il mio venditore paria mi illustra le disponibilita' del listino; io non mi accontendo di annunciargli che sono interessato all'acquisto, aggiungo pure che passerei lunedi' prossimo a Monforte, per ordinare direttamente in cantina dopo una visita. Tutto molto bello, vero? Un po' troppo.
In serata mi avvisa, il simpatico venditore, che il prodotto desiderato (Monfortino e Barbera Cascina Francia) non e' disponibile. E allora, chiedo, perche' giri col listino? Mah, non lo so, tanto questi non me li chiede nessuno perche' sono troppo cari, dice lui.
Ora dimmi tu se non dovrei essere mangiato vivo dalla rabbia.
Ma mica contro il venditore. No, io sono arrabbiato con me stesso. Dopo ere geologiche che spaccio vino, ancora non so che certa roba va prenotata? Ancora non so che ci sono delle liste d'attesa? Ma quanto sono stato fesso? Come ho potuto credere che esistesse Babbo Natale, e che facesse il collaboratore di un agente barone?
Gran finale: lunedi' prossimo niente visita in azienda, hanno troppo da fare per la vendemmia e poi il prodotto non e' disponibile, che vieni a fare?
Ora dimmi tu se non dovrei essere mangiato vivo dalla rabbia.
martedì, settembre 25, 2007
Il club dei tre ettari
Di ritorno dal Festival del Franciacorta; poche righe per segnalare un'iniziativa esemplare, per l'ottimo livello generale dimostrato; questa capacita' di associare qualita' di prodotti con competenza comunicativa ed organizzativa e' diventata, a mio modo di vedere, la cifra qualificante di (quasi) qualsiasi cosa rechi il nome di Franciacorta. Pure avendo un paio di quelle bollicine a listino, non e' stato difficile scovare altre tentazioni; volendo segnalare almeno un nome su tutti, indicherei Borgo La Gallinaccia (Via IV Novembre, 15 - 25050 Rodengo Saiano BS - Tel. 030/611314-3531506); l'azienda ha presentato una sola etichetta, un Brut, che nei miei personali appunti ha prevalso su tutti. Il prezzo in cantina e' allineato verso l'alto (oltre dieci euri, piu' IVA), ma e' un sacrificio che consiglio volentieri. Curiosamente, e' il secondo produttore che incontro, nell'arco di pochi mesi, ad avere una superficie vitata decisamente piccola, tre ettari, che lo inserisce nel numero dei produttori omeopatici; come il mio Brunello del cuore, Macioche, che sara' probabilmente il prossimo wine-of-the-day per Kelablu. Stay tuned.
venerdì, settembre 21, 2007
I famosi contenuti
Tanto per proseguire nel tema del post precedente: quando hai un contenuto globalizzato, magari un po' anonimo, magari un po' amorfo, (e soprattutto, se non hai uno straccio di vitigno autoctono) la meglio cosa da fare e' affidarsi al contenitore, ovvero la forma prima della sostanza. Non potendo contare sull'appeal del vino, tanto vale profondere ogni energia sull'etichetta, cercando di scovare la combinazione visuale o cromatica piu' abbacinante. Preciso che la qualita' dell'etichetta e' un tema che angustia piu' di un produttore, pure il piu' serio, ed io non sono l'interlocutore piu' adatto a valutare i loro encomiabili sforzi, siccome continuo un po' ingenuamente a credere che il winemaker dovrebbe concentrarsi sul vino e non sull'etichetta; ma credo, appunto, di essere minoritario in questa opinione, quindi ininfluente. Oggi (esempio) inutilmente sbuffavo su questo sito dove si esibisce una galleria di etichette che dovrebbero, a loro dire, fare colpo. Ma certo, come negarlo, mettere Marilyn (non Manson) in etichetta e' una gran cosa; soprattutto se il vino sara' sui 55/100 di punteggio, almeno ti consoli con l'immagine. Poi ecco la felice nemesi: un magistrato in Alto Adige avrebbe sequestrato le sciagurate bottiglie con Hitler in etichetta, non so se avete presente il genere. Il produttore di tanta meraviglia peraltro mette in etichetta Mussolini, Che Guevara, Napoleone, Lenin, Stalin, Marx, insomma un ecumenismo parcondiciante dell'etichetta esecrabile. Sfortuna vuole che Adolf sia stato giudicato appena un po' troppo apologetico dei noti reati. Come diceva quel tale, ci sara' pure un giudice a Berlino.
mercoledì, settembre 19, 2007
Vini noiosi
Essere alternativi paga: ho sempre pensato che fornire proposte inedite (nel limite del possibile, e del fruibile) fosse vincente. L'orticello enoico nel quale, professionalmente, curo il raccolto, non fa gran che eccezione; nello specifico, ho sempre concordato con quanti individuano nel vitigno autoctono, nostro ed inimitabile, una specie di risorsa imbattibile contro il famigerato livellamento globalizzante (lèggasi chardonnay-merlot-cabernet-barrique). Cosi' oggi, leggendo questo articolo del Seattle Times, non ho potuto fare a meno di sorridere: "vini noiosi? L'Italia vi salva. Mentre il mondo e' inondato di varieta' internazionali, chardonnay merlot e cabernet in particolare, in Italia i viticoltori si dedicano a far vino con rari - e raramente assaggiati - vitigni indigeni". Segue un interessante elenco della spesa alternativa, dove si segnalano pignoletto, lugana, aglianico. Per finire, trionfalmente, col Barolo chinato.
lunedì, settembre 17, 2007
Monster Blue
Dunque pure Microsoft ha il suo vino aziendale; non e' in commercio, ma e' destinato solo ai regali aziendali (che fortunelli) il "Monster Blue", un vino griffato MS ma proveniente da colture sudafricane: "come rivela oggi il Financial Times, la Microsoft ha creato un'etichetta di vini destinati ai dipendenti da diffondere all'interno del colosso di Redmond. L'etichetta, chiamata Monster Blue è stata realizzata da un produttore sudafricano per conto di Microsoft e sarà regalata soltanto ai dipendenti Microsoft e ai loro collaboratori e non sarà mai messa in vendita all'esterno del gruppo. Già il titolo dell'etichetta «Monster Blue» vuol essere un tentativo di ironizzare sulla visione che gran parte del mondo esterno ha di Microsoft, vista come una sorta di azienda mostro". [link]
Mah. Io ho trovato azzeccato, piu' che il termine monster, il colore blue, in quanto assai attinente al marchio; blue screen, mai sentito?
venerdì, settembre 14, 2007
Spirito natalizio (a settembre)
Quando il resto dell'umanita' fa la prova costume, a giugno, il bottegaio e' gia' intento a preparare il lavoro natalizio, e contempla patinate pubblicazioni di scatole, cartoncini, fiocchi e simili ammennicoli. Quando e' agosto e siamo tutti abbronzisti, sulla scrivania ci sono le renne, i babbi natale, gli alberi innevati. A settembre siamo in pieno spirito natalizio, che quasi ci sentiamo piu' buoni; e pianifichiamo di imitare il nostro commesso di riferimento, Rowan Atkinson.
martedì, settembre 11, 2007
Maledetti piratacci
Non so se pure a voi sono venuti a noia i filmati contro la pirateria; non siete soli, pare.
A proposito, il mio sito del cuore per scaricare (o vedere in streaming) film in lingua originale, resta joox.net. Buona visione.
Sangiovese democristo
Il moscato e' diessino, il prosecco e' leghista: sulla Stampa odierna, amena presentazione di un libro di Andrea Scanzi.
Piccolo estratto: "il sangiovese, non me ne voglia, è democristiano. Ha sempre la maggioranza. Piace a tutti, lo trovi ovunque e il suo governo (alla Toscana) non cade mai, a conferma del vecchio detto per il quale moriremo democristiani. Come i reduci scudocrociati, dopo Tangentopoli - che per il vino è stato Metanopoli - si è scisso in partiti e partitini. Il sangiovese toscano, a sua volta spezzettato in vari tronconi (Brunello, Morellino, Nobile…), si è diviso tra Partito Popolare (Chianti Classico) e Forza Italia (i Supertuscans imparentati con cabernet e merlot). In Umbria, più austero e meno disposto al dialogo, sarà un teodem associato a Rocco Buttiglione (mi scusino gli amici del Torgiano Rosso Riserva). Nelle Marche, più aggraziato, si sposerà con il Montepulciano d'Abruzzo per garantirsi un allargamento della base elettorale, come il partito di Pier Ferdinando Casini".
Ovviamente non tutto e' condivisibile; io sono un bevitore compulsivo di prosecco, senza militare nelle camicie verdi.
venerdì, settembre 07, 2007
Essere solerti
Com'e' noto, ai minorenni non si vende alcol. Negli States sono ultrarigorosi, controllano i documenti prima dell'acquisto, se l'acquirente puo' pure vagamente apparire minorenne; cosi' e' accaduto a Farmington, nel Maine, che la signora Barbara Skapa, non avendo con se' la carta d'identita', non ha passato il controllo del commesso presso la catena di supermercati Hannaford: niente vino nel carrello, per la signora. Dove sta il problema? Eccolo: la signora Skapa ha 65 anni. Quando si dice "portarli bene"; oppure, essere solerti. [link]
mercoledì, settembre 05, 2007
Orgoglio bottegaio
Succede questo: un'associazione di consumatori francesi se ne esce affermando che la denominazione d'origine dei vini, cosi' com'e' accrocchiata, non garantisce minimi standard qualitativi, ormai da tempo; qui c'e' il riferimento online, in francese (vi tocca). La stampa, quella inglese per ora, mi pare abbia accolto il fatto con un gusto perfino troppo zuzzurellone-sciovinista, del tipo "sacre bleu, il vino francese e' una truffa" (vedi Scotsman News, ma pure Telegraph, o Daily Mail). Il fatto e' che, tra l'altro, i test d'assaggio che stanno dietro al conferimento delle AOC (le DOC francesi) sono, a detta de l'Union fédérale des consommateurs, una roba totalmente inattendibile e raffazzonata, visto che "slack controls saw 99 per cent of all candidate wines awarded their AOC label in 2005".
Insomma: la DOC non e' garanzia di standard qualitativo nemmeno in Francia. E qui da noi? In Italia non avremmo gran che da sghignazzare sulle polemiche apparentemente autolesioniste dei cugini; le commissioni d'assaggio per le DOC sono da tempo fonti di barzellette, meglio che la Benemerita Arma; urge autocitazione.
Siamo tutti consumatori; non so se hai presente, "nasci, consuma, crepa". Nella fase intermedia, in attesa di quella finale, mi piacerebbe avere qualche punto fermo, che so, una minima garanzia di qualita'; per questo parlo di orgoglio bottegaio, perche' mi sto infilando in una dichiarazione biecamente autoreferenziale, anzi peggio, vado a lodarmi e sbrodolarmi.
Visto che ogni norma che attiene il vivere civile dipende da Lorsignori, c'e' poco da essere ottimisti; a volte e' meglio cercare una via autoprodotta alla certificazione (di qualsiasi tipo). Ecco, tanto per fare un esempio, parliamo di vino. Io, essendo bottegaio, assaggio e riassaggio tutto, sempre (e poi sputo, tranqui). Che ci sia la DOC oppure no, sinceramente, m'interessa poco: deve piacermi. Poi, lo rivendo. Nel farlo, ci metto la faccia, il nome, il cognome, l'indirizzo ed il numero di telefono; non ho la residenza a Londra, pago le tasse qui, e se ti vendo una roba deprecabile torni da me, mi prendi per la camicia e mi dici "Fiore, che razzo m'hai venduto?" (oddio, non m'e' ancora capitato, ma rende l'idea). Capisco che sarebbe meglio la sacerrima normazione omniregolante, ma almeno questo abbiamo, e non e' poca cosa. Alternativamente, esiste l'opportunita' (lo ricordo sempre) di comprare direttamente dal produttore, e pure qui si ripete il meccanismo: il piccolo produttore con nome e faccia e' garante di se' stesso, del suo lavoro, e del suo prodotto. Normalmente, se tradisce le aspettative, ci rimette in prima persona (a fronte di un consumatore critico; ma per questo sarebbe necessario un post a parte, siccome essere critici, in senso positivo, diviene necessario).
Bene, spero d'aver brillantemente dimostrato, partendo da una notizia di qualche interesse, che chi scrive indossa l'armatura luccicante del cavaliere senza macchia eccetera; tutto cio' fa molto entertaining.
Insomma: la DOC non e' garanzia di standard qualitativo nemmeno in Francia. E qui da noi? In Italia non avremmo gran che da sghignazzare sulle polemiche apparentemente autolesioniste dei cugini; le commissioni d'assaggio per le DOC sono da tempo fonti di barzellette, meglio che la Benemerita Arma; urge autocitazione.
Siamo tutti consumatori; non so se hai presente, "nasci, consuma, crepa". Nella fase intermedia, in attesa di quella finale, mi piacerebbe avere qualche punto fermo, che so, una minima garanzia di qualita'; per questo parlo di orgoglio bottegaio, perche' mi sto infilando in una dichiarazione biecamente autoreferenziale, anzi peggio, vado a lodarmi e sbrodolarmi.
Visto che ogni norma che attiene il vivere civile dipende da Lorsignori, c'e' poco da essere ottimisti; a volte e' meglio cercare una via autoprodotta alla certificazione (di qualsiasi tipo). Ecco, tanto per fare un esempio, parliamo di vino. Io, essendo bottegaio, assaggio e riassaggio tutto, sempre (e poi sputo, tranqui). Che ci sia la DOC oppure no, sinceramente, m'interessa poco: deve piacermi. Poi, lo rivendo. Nel farlo, ci metto la faccia, il nome, il cognome, l'indirizzo ed il numero di telefono; non ho la residenza a Londra, pago le tasse qui, e se ti vendo una roba deprecabile torni da me, mi prendi per la camicia e mi dici "Fiore, che razzo m'hai venduto?" (oddio, non m'e' ancora capitato, ma rende l'idea). Capisco che sarebbe meglio la sacerrima normazione omniregolante, ma almeno questo abbiamo, e non e' poca cosa. Alternativamente, esiste l'opportunita' (lo ricordo sempre) di comprare direttamente dal produttore, e pure qui si ripete il meccanismo: il piccolo produttore con nome e faccia e' garante di se' stesso, del suo lavoro, e del suo prodotto. Normalmente, se tradisce le aspettative, ci rimette in prima persona (a fronte di un consumatore critico; ma per questo sarebbe necessario un post a parte, siccome essere critici, in senso positivo, diviene necessario).
Bene, spero d'aver brillantemente dimostrato, partendo da una notizia di qualche interesse, che chi scrive indossa l'armatura luccicante del cavaliere senza macchia eccetera; tutto cio' fa molto entertaining.
martedì, settembre 04, 2007
Tutto aumenta
Non e' vero che l'informazione mainstream, massificata e appena un po' superficiale, sia tutto questo gran male; prendi per esempio la notizia del giorno: la produzione vendemmiale e' in calo, ergo i prezzi aumenteranno (Ansa e Il Sole 24 Ore, per citarne un paio). Ecco, queste si che sono informazioni interessanti. Tanto per non perder tempo, io vado a ritoccare tutti i listini, eh?
No, vabbe', scherzavo.
La colpa e' del bioetanolo. Ma si, e' colpa dell'UE che rastrella 200.000 ettolitri di stoccaggi invenduti per trasformarli in carburante, pensa tu. Gli imbottigliatori di Chianti da due euri sono gia' nel panico. Almeno quello potrebbe aumentare.
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