[Si, vabbe', si riparla di Brunello, porta pazienza, ci infilo pure altro]
Probabilmente la principale annotazione, il primo titolo di merito che mi va di enfatizzare principiando questo post è: il grande Gaja-le-roi ci guarda da lassù; Angelo Gaja, o qualcuno per lui, ci legge e ci considera in qualche misura, a noi bloggaroli. Altrimenti non si spiega perchè abbia inviato a svariati influenti enoblogger[z] la sua ultima statuizione riguardo alla possibile modifica del disciplinare del Brunello di Montalcino. Per inciso, al momento i miei feed mi segnalano Franco, Ari, Marco come destinatari della missiva in questione; per motivi del tutto imperscrutabili, pure chi vi scrive è stato fatto segno della comunicazione, e questo ovviamente ci confonde e ci perturba, costringendoci ad assumere pose da persona seria - cosa notoriamente ostile alle nostre naturali inclinazioni. Vabbe', comunque grazie, o voi che lassù mi leggete. Anzi, già che ci sono ne approffitto: ciao Angelo, io ti ho sempre ammirato, lo sai. Ricordo ancora con emozione la tua rapida epifania nella mia bottega molti anni fa, che mi lasciò ammutolito, appunto perché emozionato.
Oh, ognuno ha i suoi culti delle sue personalità, che volete farci.
Ma veniamo alla sostanza della notiziola: non serve che ripubblichi tutto il testo, se come sempre altri già l'hanno fatto; posso solo registrare brevemente l'aspetto centrale dell'assunto: "occorre individuare una formula che consenta agli artigiani di esprimere nei loro vini la straordinaria dignità del Sangiovese e di poterla dichiarare in etichetta rendendo così riconoscibile la loro fedeltà al 100% della varietà, ed ai produttori di grandi volumi di poter operare con maggiore elasticità: e tutti e due i vini debbono potersi fregiare del nome Brunello di Montalcino".
Traduzione: si adoperino vitigni migliorativi (caberlot, et similia) per i grossi industriali che hanno vigne poco vocate, e alla fine si evidenzi, in qualche modo in etichetta, chi e' purista e chi no.
Commenti possibili: il primo che mi andrebbe di rimarcare ora, è: io l'avevo detto che finiva così. Secondo commento possibile: io sono un post-maroniano bevitore di supertuscan e barriconi rotoconcentrati, quindi mi faccio andar bene pure il Brunello taroccato al cab. Però, pure un modernista come me ha avuto quel mezzo minuto di serietà tale da discernere che la fama del Brunello attuale è dovuta al prodotto tradizionale, non alle derive moderniste. Quindi, abbracciare questo genere di stravolgimenti finisce per essere pericoloso; per il futuro business legato al Brunello, credo.
Terzo commento possibile. Beh, sapete che c'è? Io mi arrendo; rinuncio a capire, ma soprattutto ad avere un'opinione in merito. Serve forse a qualcosa? Come moltissimi enoappassionati ho seguito, da brunellopoli in poi, il dibattito si/no/forse legato ai cambiamenti possibili sul rossone ilcinese; ho pure una mia idea, che coincide con quella di altri "tradizionalisti", ma pure questo ormai mi pare inutile; dirò di peggio, io mi sento orrendamente fuffoso ora; ma leggete cosa ho scritto fin'ora, ma che valore avrà mai questo fuffosissimo post, quando i giochi sono comunque fatti e decisi da corazzate finanziarie del calibro di Banfi e Gaja. Ma chi sono io, chi siamo noi, per pensare di avere qualche speranza di fermare questa specie di valanga? Forse è giusto arrendersi, lasciar perdere, così come ci si rassegna all'inevitabile e, piuttosto, cercare di guadagnare qualche genere di rifugio per salvarsi da quest'onda di piena, incontenibile, perché oltre ai potentati enofinanziari si somma pure la quasi totale, temo, insensibilità al "problema" delle masse di clienti potenziali, i quali probabilmente hanno altro di cui dolersi. Io dico che bisogna arrendersi, quando capisci che alla fine solo i possenti meccanismi finanziari sono quelli in grado di dominare e determinare lo stato delle cose: la discesa in campo di Gaja mi ha fatto un'impressione di già visto, come se qualcuno che davvero, e veramente, conta qualcosa nel nostro vago (eno)mondo, fosse sceso a dirci che la ricreazione è finita.
Come dicevo, si parla di Brunello, ma pure di altro.
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
mercoledì, agosto 27, 2008
sabato, agosto 16, 2008
Giù il cappello
Interrompiamo l'ozio ferragostano per segnalare la prosa vinosa del mese. O dell'anno, temo.
Nel belmondo duepuntoqualchecosa, fatto di bloggaroli che contano come il two of spades quando la briscola è fiori, siamo da sempre acidissimi con Bruno Vespa; ma perché, perché proprio a lui è concessa la rubrica delle rece a Panorama? Lui che quando scrive scopre solo etichette déjà vu, note a millanta enofili, lui che ti narra, come fosse un oracolo, che ha assaggiato quel certo incredibile sconosciutissimo siciliano, e ti parla di Planeta. Argh. Oh, quanto meglio sapremmo noi fare il suo mestiere. Ma che dico noi, siamo sinceri: intendevo scrivere io.
Ma poi, oggi, sull'ultimo numero del settimanale, ti inchioda alla sdraio con una descrizione che nemmeno Luca Maroni (in piedi, quando si pronucia il Suo nome). Eccola qua riprodotta, leggetela bene. C'è tutto un mondo, dentro.
Nel belmondo duepuntoqualchecosa, fatto di bloggaroli che contano come il two of spades quando la briscola è fiori, siamo da sempre acidissimi con Bruno Vespa; ma perché, perché proprio a lui è concessa la rubrica delle rece a Panorama? Lui che quando scrive scopre solo etichette déjà vu, note a millanta enofili, lui che ti narra, come fosse un oracolo, che ha assaggiato quel certo incredibile sconosciutissimo siciliano, e ti parla di Planeta. Argh. Oh, quanto meglio sapremmo noi fare il suo mestiere. Ma che dico noi, siamo sinceri: intendevo scrivere io.
Ma poi, oggi, sull'ultimo numero del settimanale, ti inchioda alla sdraio con una descrizione che nemmeno Luca Maroni (in piedi, quando si pronucia il Suo nome). Eccola qua riprodotta, leggetela bene. C'è tutto un mondo, dentro.
"... Malvasia Nera in purezza, ha un corpo bruno e profondo come quello di una bella eritrea che mi è capitato di vedere in uno sbarco di clandestini a Lampedusa"[Panorama del 21/8/2008, pagina 167; inutile linkare, che tanto devi registrarti]
venerdì, agosto 08, 2008
Basta produttori che vendono direttamente!
Bello il titolo del post, eh? Ci siete cascati, dannati disintermediatori. Tranqui, scherzo.
L'America patria del liberismo. L'avete sentito dire, sì? L'America culla di Internet, altra cosina gia' sentita. Storie: io voglio migrare in Indiana, l'unico angolo del mondo libero nel quale un giudice ha vietato la vendita di vino online dal produttore al consumatore, siccome le wineries, non potendo verificare la maggiore eta' del cliente de visu, non saranno autorizzate a vendere via Internet (o per telefono). La causa ha avuto l'altissimo patrocinio delle locali leghe di enotecari, ebbene sì, in quanto costoro si dichiaravano preoccupati della salute dei minori; cari colleghi, siete stati geniali, ma perche' non ci ho pensato pure io?
Quando avete finito di ridere, potete ricominciare, scorrendo i commenti alla notizia. Io vi traduco una breve selezione, che vi conosco, pigroni.
L'America patria del liberismo. L'avete sentito dire, sì? L'America culla di Internet, altra cosina gia' sentita. Storie: io voglio migrare in Indiana, l'unico angolo del mondo libero nel quale un giudice ha vietato la vendita di vino online dal produttore al consumatore, siccome le wineries, non potendo verificare la maggiore eta' del cliente de visu, non saranno autorizzate a vendere via Internet (o per telefono). La causa ha avuto l'altissimo patrocinio delle locali leghe di enotecari, ebbene sì, in quanto costoro si dichiaravano preoccupati della salute dei minori; cari colleghi, siete stati geniali, ma perche' non ci ho pensato pure io?
Quando avete finito di ridere, potete ricominciare, scorrendo i commenti alla notizia. Io vi traduco una breve selezione, che vi conosco, pigroni.
"Ai distributori non importa nulla dei minori. A loro importa solo dei loro affari"
"Vorrei sapere quanti minorenni ordinerebbero online e aspetterebbero la consegna per potersi alcolizzare"
"Ma certo, qui i genitori non riescono ad evitare che i ragazzini si procurino armi da fuoco, e adesso si aspettano veramente che questa regoletta prevenga le sbornie?"
"Mai saputo di minorenni che comprano vino su Internet, potendo approvigionarsi d'alcol nel negozio dietro l'angolo con una carta d'identita' falsa"
"Quale minorenne beve vino?? Non vi ricordate da ragazzini? Si usava roba da quattro soldi per ubriacarsi!"
"Come no, al liceo pensavo sempre che un raffinato cabernet fosse meglio di una pila di lattine di birra"
giovedì, agosto 07, 2008
Perché il Brunello è il Brunello, e la Cocacola no
Mentre scrivo sono intento in una degu appena insolita, la nuova Cocacola zero. Non male, devo dire, sono finalmente riusciti a citare lo spettro aromatico/gustativo della Coca nella sua riedizione ipocalorica, dopo qualche tentativo meno riuscito. La bevanda bilancia bene il caratteristico amaro da caramello con una dolcezza meno posticcia del solito, e guadagna con facilita' un 72/100 di punteggio centesimale (si, continuo a dare punteggi). Resta il dubbio sui metodi, sulle misture, sulle arcane molecole usate per ottenere questo alto risultato; temo che una risposta esauriente possa provenire solo dall'anatopatologo che sovrintenderà alla mia autopsia.
Proprio quando stavo per eradicare definitivamente lo uniform resource locator del forum del Gambero dall'elenco dei miei segnalibri, vista la caotica inconcludenza di quel povero luogo virtuale lasciato a se' stesso senza alcun governo moderatore, ho trattenuto il mio mouse per seguire questo succoso dibattito. A riprova del fatto che pure dal caos e dall'anarchia nasce qualcosa di buono.
In estrema sintesi, in mezzo al cazzeggio e al trollismo sta finalmente emergendo qualche elemento (per me) utile a circoscrivere le ultime vicende rubricabili sotto “Brunellopoli”. Stanno uscendo allo scoperto quelli che dicono: basta tirarvela da fighetti con 'sto vinone costoso e per pochi, il brand è cosa nostra, ne faremo un vino per tutti – all'incirca. Quindi, venga finalmente un nuovo disciplinare, venga finalmente ammessa, perché no, una percentuale di uva alloctona, venga avviata la santantimizzazione del Brunello. [Sant'Antimo è una Doc minore dell'area, per la quale è all'incirca consentito tutto o quasi].
Sono scene già viste, e per questo le dinamiche relative al rosso ilcinese si stanno facendo appena un po' più comprensibili. Sono le sempiterne, inossidabili meccaniche che attengono all'industrializzazione del prodotto artigianale. Sono robe che abbiamo già visto millanta volte, ogni volta che l'industria si è appropriata del prodotto – o meglio, della sua immagine, della sua forza sul mercato, e l'ha svuotato, diluito, predigerito, precotto, ed infine squalificato. E' il caso di fare esempi? Solo qualcuno: avete comprato Montasio, Lardo di Colonnata, Castelmagno, recentemente, presso la vostra coop-sei-tu? Se sì, come me, allora avete afferrato il concetto. I prodotti in vendita presso la distribuzione industriale sono una patetica citazione dell'originale.
Certo, ora, è necessario che faccia un inciso: comprendo che il mio discorso segua una deriva ideologica che possa suonare irritante, per qualcuno. Me ne scuso e, anzi, terrei a precisare: io credo che, come sempre, il mezzo sia neutrale e il giudizio sul mezzo debba derivare dall'uso che se ne fa; ed infatti io vorrei, da consumatore, un'industria in grado di mantenere standard appena maggiori di quelli verificabili ora, che sono improntati unicamente al profitto irrispettoso del cliente, visto come limone da spremere e non come utente da servire.
Tornando al nostro Brunello, accade quindi che qualcuno, da qualche parte, abbia definitivamente chiaro che questo brand (che schifezza di inglesismo, sia consentito dire ad uno che si nutre di inglesismi) è pronto per la manovra di svuotamento.
Però, come ho quassù titolato: perche' il Brunello è il Brunello? (E avrei potuto dire, il Barolo è il Barolo, e via così). Quello che terrei a dire ora, con qualche forza, riguarda proprio l'essenza di questo vino, e la sua conseguente grandezza, che ne fa purtroppo un brand appetibile dai vasti e/o vastissimi mercati.
Qui non si tratta di essere snob, di enfatizzare l'abusato “per pochi ma non per tutti”; personalmente, poi, sono quanto di piu' distante dall'enosnobbone che ritiene che solo quel vino, da quella sola vigna, da quella sola annata sia l'unico vino che meriti d'essere bevuto; chi mi conosce sa che riesco a trovare gradevole quasi qualsiasi intruglio, perfino la Cocacola. Però credo pure di essere enofilo abbastanza da saper distinguere la grandezza dalla banalità.
Riferita al vino, la banalità è la capacità di essere prevedibile, oppure l'incapacità di destare qualche emozione. La grandezza di certi vini, storicamente, è stata determinata appunto dalla loro potente capacità di suscitare emozioni.
Se siete arrivati fino a questo punto senza scuotere la testa, bravi, siete enofili quanto basta – sennò pazienza, ci mancherebbe.
Il Brunello è il Brunello perché nel corso di decenni i pochi produttori dell'area ilcinese, con il loro lavoro, hanno contribuito a creare un prodotto suggestivo, emozionante, fatalmente per pochi, in ragione delle capacità produttive limitate; successivamente, il prodotto è risultato pure costoso ed elitario.
Ora, il tentativo messo in atto dai soliti industriali di renderlo per tutti, e meno costoso, passando magari per modifiche al disciplinare di produzione o chissà che altro, ha pochissimo a che fare con la filantropia, e molto a che fare con i loro bilanci aziendali. Ma siccome la grandezza di quel vino è appunto nella sua essenza, modificandone l'essenza si corre oggettivamente il rischio di comprometterne la futura grandezza, secondo schemi già visti e correndo il rischio che il Brunello di Montalcino sia il prossimo Lardo di Colonnata.
Proprio quando stavo per eradicare definitivamente lo uniform resource locator del forum del Gambero dall'elenco dei miei segnalibri, vista la caotica inconcludenza di quel povero luogo virtuale lasciato a se' stesso senza alcun governo moderatore, ho trattenuto il mio mouse per seguire questo succoso dibattito. A riprova del fatto che pure dal caos e dall'anarchia nasce qualcosa di buono.
In estrema sintesi, in mezzo al cazzeggio e al trollismo sta finalmente emergendo qualche elemento (per me) utile a circoscrivere le ultime vicende rubricabili sotto “Brunellopoli”. Stanno uscendo allo scoperto quelli che dicono: basta tirarvela da fighetti con 'sto vinone costoso e per pochi, il brand è cosa nostra, ne faremo un vino per tutti – all'incirca. Quindi, venga finalmente un nuovo disciplinare, venga finalmente ammessa, perché no, una percentuale di uva alloctona, venga avviata la santantimizzazione del Brunello. [Sant'Antimo è una Doc minore dell'area, per la quale è all'incirca consentito tutto o quasi].
Sono scene già viste, e per questo le dinamiche relative al rosso ilcinese si stanno facendo appena un po' più comprensibili. Sono le sempiterne, inossidabili meccaniche che attengono all'industrializzazione del prodotto artigianale. Sono robe che abbiamo già visto millanta volte, ogni volta che l'industria si è appropriata del prodotto – o meglio, della sua immagine, della sua forza sul mercato, e l'ha svuotato, diluito, predigerito, precotto, ed infine squalificato. E' il caso di fare esempi? Solo qualcuno: avete comprato Montasio, Lardo di Colonnata, Castelmagno, recentemente, presso la vostra coop-sei-tu? Se sì, come me, allora avete afferrato il concetto. I prodotti in vendita presso la distribuzione industriale sono una patetica citazione dell'originale.
Certo, ora, è necessario che faccia un inciso: comprendo che il mio discorso segua una deriva ideologica che possa suonare irritante, per qualcuno. Me ne scuso e, anzi, terrei a precisare: io credo che, come sempre, il mezzo sia neutrale e il giudizio sul mezzo debba derivare dall'uso che se ne fa; ed infatti io vorrei, da consumatore, un'industria in grado di mantenere standard appena maggiori di quelli verificabili ora, che sono improntati unicamente al profitto irrispettoso del cliente, visto come limone da spremere e non come utente da servire.
Tornando al nostro Brunello, accade quindi che qualcuno, da qualche parte, abbia definitivamente chiaro che questo brand (che schifezza di inglesismo, sia consentito dire ad uno che si nutre di inglesismi) è pronto per la manovra di svuotamento.
Però, come ho quassù titolato: perche' il Brunello è il Brunello? (E avrei potuto dire, il Barolo è il Barolo, e via così). Quello che terrei a dire ora, con qualche forza, riguarda proprio l'essenza di questo vino, e la sua conseguente grandezza, che ne fa purtroppo un brand appetibile dai vasti e/o vastissimi mercati.
Qui non si tratta di essere snob, di enfatizzare l'abusato “per pochi ma non per tutti”; personalmente, poi, sono quanto di piu' distante dall'enosnobbone che ritiene che solo quel vino, da quella sola vigna, da quella sola annata sia l'unico vino che meriti d'essere bevuto; chi mi conosce sa che riesco a trovare gradevole quasi qualsiasi intruglio, perfino la Cocacola. Però credo pure di essere enofilo abbastanza da saper distinguere la grandezza dalla banalità.
Riferita al vino, la banalità è la capacità di essere prevedibile, oppure l'incapacità di destare qualche emozione. La grandezza di certi vini, storicamente, è stata determinata appunto dalla loro potente capacità di suscitare emozioni.
Se siete arrivati fino a questo punto senza scuotere la testa, bravi, siete enofili quanto basta – sennò pazienza, ci mancherebbe.
Il Brunello è il Brunello perché nel corso di decenni i pochi produttori dell'area ilcinese, con il loro lavoro, hanno contribuito a creare un prodotto suggestivo, emozionante, fatalmente per pochi, in ragione delle capacità produttive limitate; successivamente, il prodotto è risultato pure costoso ed elitario.
Ora, il tentativo messo in atto dai soliti industriali di renderlo per tutti, e meno costoso, passando magari per modifiche al disciplinare di produzione o chissà che altro, ha pochissimo a che fare con la filantropia, e molto a che fare con i loro bilanci aziendali. Ma siccome la grandezza di quel vino è appunto nella sua essenza, modificandone l'essenza si corre oggettivamente il rischio di comprometterne la futura grandezza, secondo schemi già visti e correndo il rischio che il Brunello di Montalcino sia il prossimo Lardo di Colonnata.
sabato, agosto 02, 2008
Dice che fa caldo
Non lamentiamoci troppo per il caldo: questa sembra un'altra estate tollerabile. Ed infatti i contadini in langa si lamentano dello sviluppo vegetativo in ritardo - pero' il ritardo fa riferimento all'anticipo inusuale delle annate ultime, troppo calde, quindi non c'e' ritardo ma semmai c'e' puntualita', vabbe', spero si sia capito.
Comunque, ogni scusa e' buona per aprire una bolla estiva da serbare opportunamente in frigo, anche se il caldo non opprime: la mia etichetta del momento e' la Malvasia Colli di Parma 2007, di Monte delle Vigne. Charmat apparentemente senza troppe pretese di complessita', deve il suo fascino all'uso dell'uva aromatica, Malvasia di Candia, in grado di sviluppare un clamoroso bouquet floreale/fruttato, amplissimo, spiazzante. Nessun residuo zuccherino in bocca, quindi lievissimo amaro; tuttavia questa interpretazione dello spumante, sopra le righe a causa del suo naso eccessivo e strabordante, e' il mio vino per l'estate - e difatti, visto che stasera la bottega chiude per le immeritate ferie, un paio di casse son gia' pronte per l'autoconsumo dell'enotecaro.
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