Adesso che ho spento le luci e chiuso le serrande, accendo l'ultimo sigaro in ufficio e metto in ordine le ultime carte. La sera del 31 dicembre in enoteca è tutto rituale, resto qui a vedere che succede, e mi prendo il tempo per pensare a quel che è successo. Potrei andare via prima - ogni anno mi dico, il 31 pomeriggio non lavoro, che diavolo. E poi ogni anno resto qui, accanto alla mia creatura fino all'ultimo - perché questa è la mia enoteca, una mia creatura.
Me ne vado sentendo una canzone che mi si è infilata in testa, tratta dalla scena del film che vedete qua sotto. The ballad of Buster Scruggs è uno strano western, e non c'è modo di raccontarlo senza spoilerare quindi siete avvisati. È la scena di un finale di partita inaspettato, uno dei due pistoleri cade a terra morto e non doveva andare così. È una sorpresa, brutta per quello che cade, brutta per chi guarda, e ti mette davanti per l'ennesima volta al fatto che ti devi aspettare l'inaspettato.
Soprattutto, non passerà molto tempo, e ti ritroverai (inaspettatamente) a cantare la tua ultima cowboy song.
Let me tell you, buddy
There's a faster gun
Coming over yonder
When tomorrow comes
Let me tell you, buddy
And it won't be long
Till you find yourself singing
Your last cowboy song
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
lunedì, dicembre 31, 2018
giovedì, dicembre 27, 2018
Dieci assaggi memorabili. Sì, ecco un classico post di fine anno
Si può finire l'anno in due modi: fare un bilancio degli eventi e buoni propositi per l'avvenire, oppure elencare dieci assaggi memorabili del 2018. A me quest'anno andava di gran lunga la numero due.
Anche la classifica dei dieci non è esattamente una top ten di etichette - semmai è un elenco di aziende interessanti, con magari un assaggio specifico che ha brillato più di altri. In fondo anche l'idea di classifica si smaterializza. Alcuni di questi vini li vendo, altri non li vendo perché li ho esauriti, altri non li vendo perché (ancora) non li ho comprati, e questo più che un disclaimer è un fatto.
L'ordine non è in base alla preferenza, ma in base a quanto velocemente mi sono tornati in mente, essendo io affezionato al famoso "la cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto" - che ho sempre opposto alle scene mute che facevo durante le interrogazioni a scuola, senza successo, ma siccome mi piace tiro sempre fuori la citazione.
1. San Cristoforo, Franciacorta
È un po' che li tengo d'occhio, e il riassaggio del loro Brut, ma pure del finissimo millesimato, mi confermano l'idea di franciacortino di riferimento. Buoni, eleganti, di bella personalità. Bravi insomma.
2. Andreas Berger, Alto Adige
Ho notato che non esiste un vino di questa azienda (Thurnhof) che sia, semplicemente, sotto il livello dell'eccellenza. Potrei dire del loro Moscato secco (fermo) 2017, piccolo capolavoro, e farei un torto a tutti gli altri. Vabbe'. Per me cult.
3. Vis Amoris, Liguria
Qui più che il loro Pigato, la sua derivazione metodo classico. Le bollicine in Liguria per me restano un fatto difficoltoso, qui invece ho cambiato idea all'istante. Esiste anche una versione sur lie, col fondo, insomma quella cosa là ancestrale, ci siamo capiti. Ottimi livelli pure lì.
4. Garnier, Borgogna
Durante l'ultimo corso avevo inserito il loro Chablis 1er Cru, e capirai, è stato come vincere facile. Invece qui memorizzo il loro Pinot Noir Epineuil 2015, che è - come dirlo in modo non riduttivo? un Borgogna base, ma io direi basilare. Fruttini accennati, stile e trama, godevole e succoso.
5. Tenuta Belvedere, Oltrepò Pavese
Io credo che la Bonarda, quella frizzante, dovrebbe essere salvata dal destino di vino triste da supermercato. Ci riesce Gianluca Cabrini con questo 2016, un campione delizioso di piacevolezza bevibile, poi zero solfiti aggiunti che fa molto figo ultimamente.
6. Miotto, Veneto
Tra tanti prosecco a rifermentazione naturale, con il doveroso tappo metallico e il fondo, questo Profondo si piazza fisso nella memoria, e nella voglia di berlo e riberlo - pure troppo, l'ho venduto tutto e a me non ne resta, ma che ho combinato? Accidenti a me.
7. Weingut Am Stein, Franconia (Germania)
Poi giuro la smetto con i rifermentati naturali, ma questo Pure & Naked, pet-nat (petillant, naturale), è un capolavoro di memorabilità, anzi vorrei riberlo circa domani (a trovarlo: assaggiato durante una fiera). Leggiadro come una piuma e nello stesso tempo col cipiglio germanico. Comunque lo struggimento è tanto che gli dedico la foto del post.
8. Dettori, Sardegna
Sì va bene il loro Chimbanta, va bene l'Ottomarzo, ma pure il Tenores. Io quest'anno memorizzo il Renosu bianco, un colpo al cuore di sale, mare, erbe aromatiche, ma che ci hai messo là dentro? E questo sarebbe il loro bianco cadetto. Ma avercene.
9. Terre Bianche, Liguria
Cos'è che mi piace di più nel Rossese di Dolceaqua? È perché è ligure? È perché è teso e leggiadro? Sono le spezie, il marino, è perché è un vino di montagna? È perché parte piano poi si svela alla grande, e quando credi di averlo compreso è finita la bottiglia? Comunque parlavo del Rossese 2017.
10. Poderi Cellario, Piemonte
C'è questa generazione di vini minimalisti, nella bottiglia da litro, col nome pure lui minimalista. Per esempio "È Rosso". E di più non chiedere, bevi e poche pippe. E noi wine blogger allora che dovremmo fare, bere e zitti? Ecco, non sempre: È Rosso mi piace tanto. Va bene come rece minimalista?
Buon anno nuovo, e tutto quanto.
Anche la classifica dei dieci non è esattamente una top ten di etichette - semmai è un elenco di aziende interessanti, con magari un assaggio specifico che ha brillato più di altri. In fondo anche l'idea di classifica si smaterializza. Alcuni di questi vini li vendo, altri non li vendo perché li ho esauriti, altri non li vendo perché (ancora) non li ho comprati, e questo più che un disclaimer è un fatto.
L'ordine non è in base alla preferenza, ma in base a quanto velocemente mi sono tornati in mente, essendo io affezionato al famoso "la cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto" - che ho sempre opposto alle scene mute che facevo durante le interrogazioni a scuola, senza successo, ma siccome mi piace tiro sempre fuori la citazione.
1. San Cristoforo, Franciacorta
È un po' che li tengo d'occhio, e il riassaggio del loro Brut, ma pure del finissimo millesimato, mi confermano l'idea di franciacortino di riferimento. Buoni, eleganti, di bella personalità. Bravi insomma.
2. Andreas Berger, Alto Adige
Ho notato che non esiste un vino di questa azienda (Thurnhof) che sia, semplicemente, sotto il livello dell'eccellenza. Potrei dire del loro Moscato secco (fermo) 2017, piccolo capolavoro, e farei un torto a tutti gli altri. Vabbe'. Per me cult.
3. Vis Amoris, Liguria
Qui più che il loro Pigato, la sua derivazione metodo classico. Le bollicine in Liguria per me restano un fatto difficoltoso, qui invece ho cambiato idea all'istante. Esiste anche una versione sur lie, col fondo, insomma quella cosa là ancestrale, ci siamo capiti. Ottimi livelli pure lì.
4. Garnier, Borgogna
Durante l'ultimo corso avevo inserito il loro Chablis 1er Cru, e capirai, è stato come vincere facile. Invece qui memorizzo il loro Pinot Noir Epineuil 2015, che è - come dirlo in modo non riduttivo? un Borgogna base, ma io direi basilare. Fruttini accennati, stile e trama, godevole e succoso.
5. Tenuta Belvedere, Oltrepò Pavese
Io credo che la Bonarda, quella frizzante, dovrebbe essere salvata dal destino di vino triste da supermercato. Ci riesce Gianluca Cabrini con questo 2016, un campione delizioso di piacevolezza bevibile, poi zero solfiti aggiunti che fa molto figo ultimamente.
6. Miotto, Veneto
Tra tanti prosecco a rifermentazione naturale, con il doveroso tappo metallico e il fondo, questo Profondo si piazza fisso nella memoria, e nella voglia di berlo e riberlo - pure troppo, l'ho venduto tutto e a me non ne resta, ma che ho combinato? Accidenti a me.
7. Weingut Am Stein, Franconia (Germania)
Poi giuro la smetto con i rifermentati naturali, ma questo Pure & Naked, pet-nat (petillant, naturale), è un capolavoro di memorabilità, anzi vorrei riberlo circa domani (a trovarlo: assaggiato durante una fiera). Leggiadro come una piuma e nello stesso tempo col cipiglio germanico. Comunque lo struggimento è tanto che gli dedico la foto del post.
8. Dettori, Sardegna
Sì va bene il loro Chimbanta, va bene l'Ottomarzo, ma pure il Tenores. Io quest'anno memorizzo il Renosu bianco, un colpo al cuore di sale, mare, erbe aromatiche, ma che ci hai messo là dentro? E questo sarebbe il loro bianco cadetto. Ma avercene.
9. Terre Bianche, Liguria
Cos'è che mi piace di più nel Rossese di Dolceaqua? È perché è ligure? È perché è teso e leggiadro? Sono le spezie, il marino, è perché è un vino di montagna? È perché parte piano poi si svela alla grande, e quando credi di averlo compreso è finita la bottiglia? Comunque parlavo del Rossese 2017.
10. Poderi Cellario, Piemonte
C'è questa generazione di vini minimalisti, nella bottiglia da litro, col nome pure lui minimalista. Per esempio "È Rosso". E di più non chiedere, bevi e poche pippe. E noi wine blogger allora che dovremmo fare, bere e zitti? Ecco, non sempre: È Rosso mi piace tanto. Va bene come rece minimalista?
Buon anno nuovo, e tutto quanto.
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