Diario enotecario
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
venerdì, aprile 12, 2024
Genova Wine Festival 2024, due o tre cose che so di lui
La seconda edizione del Genova Wine Festival, da qui in poi GWF, anno 2020, era bella che pronta a partire ma il lockdown ce l'ha levata di sotto il naso. Annullata, cancellata, non si fa. Tutto quel che è successo dopo è storia, ma ora che parlo di GWF 2024 non posso non iniziare con questo ricordo spiacevole. Un giorno studieranno questo incipit nelle scuole di scrittura creativa e lo indicheranno come esempio negativo: non iniziate un racconto con una menata. Quindi per emendarmi un po' da questo attacco respingente vi dico che succede adesso, ma a modo mio, per punti, elencando con attenzione le cose che non leggerete nei comunicati stampa. Che non cielo dicono.
Nota di stile: i link li metto tutti alla fine così se non vuoi sorbirti il pippone scrolla giù in fondo.
Il Genova Wine Festival è una figata
Nel panorama delle infinite rassegne enoiche questa è una fiera su invito. Significa cioè che noi, il team di Papille Clandestine che organizza, ci siamo tolti lo sfizio di creare il nostro dream team degli espositori, scegliendo chi ci piace. Questa cosa ha creato infiniti guai per un motivo essenziale: le aziende eno che hanno successo e vendono tutto il prodotto senza alcuna fatica non fanno fiere. "Non ho vino. A che mi serve? La domenica riposo. Non ne ho voglia. Quel giorno ho judo": normalmente ci hanno risposto così. Quindi li abbiamo implorati (alcuni anche moltissimo): per favore, siamo simpatici, siamo creativi, siamo umili, facciamo cose. Ha funzionato con una cinquantina di loro, che qui adesso ringrazio ancora, mentre a quelli che ci hanno risposto gne gne posso solo dire: vabbè tanto ci riproviamo l'anno prossimo. (Che a dirla tutta, veramente no, c'è pure qualcuno che ci siamo detti: "questo è simpatico come un ausiliario del traffico e lo depenniamo forever". Sei forse tu, che leggi ora, quello? Eh, saperlo).
Papille Clandestine è una macchina da guerra
L'associazione che organizza GWF si chiama Papille Clandestine ma nessuno la chiama così, ci chiamano tutti Papille Gustative e io ormai ci ho rinunciato a correggere, ragazzi cambiano nome che tanto usano quell'altro. Comunque sia l'associazione è composta da una cupola di (circa) una dozzina di pazzi furiosi, quorum ego, ognuno dedito a uno o più aspetti che compongono una fiera del vino: il termine "logistica" non spiega niente, ci sono un milione di dettagli che vanno incastrati con precisione e i papilli (chiamiamoli così che faccio prima), durante innumerevoli riunioni operative nottetempo che manco i carbonari, sono esattamente i cavalieri che fecero l'impresa. Ogni dettaglio ha avuto il suo curatore, e ogni associato ha lavorato assai. Io per esempio mi sono occupato tra l'altro di laboratori (alcuni), eventi off GWF (alcuni) ma soprattutto una parte che ho amato molto, sognare a occhi aperti: "Fiorenzo chi chiameresti? - Ecco, io vorrei questo e quello". E poi via così.
La ricaduta sul territorio
Questo capoverso ha un titolo troppo serio, era meglio se lo cambiavo con uno cazzaro. Però un po' è vero, ci piaceva l'idea che la città risentisse in positivo di questa rassegna. Per questo ci sono numerosi eventi che collegano alla rassegna le realtà produttive cittadine (sto parlando come un assessore leghista, lo so, ora la pianto). Insomma ci sono queste serate in diversi ristoranti ed enoteche di città che comunque generano una vibe positivissima intorno al GWF. (Ho usato "vibe", ora sono a posto). Inoltre questa fiera consente l'accredito gratuito agli operatori, e signori miei questo succede a Genova, scusate ma mi pare rilevante. Di nuovo, ci piace accogliere gli enofili e ci piace avere un occhio di riguardo per quelli che fanno del vino il loro lavoro: come mi disse una volta un signore che stimo, "il vino si fa per venderlo".
E direi che basta, come post che annuncia "arriva il GWF 2024". Ci si vede il 4 e 5 maggio. Ecco i link come promesso.
Genova Wine Festival è una (orgogliosa) produzione di Associazione Culturale Papille Clandestine.
La homepage di GWF è qui, contiene tutto quel che c'è da sapere (tipo quali aziende ci sono).
Siccome tutto accade a Palazzo Ducale a Genova, date un'occhiata alla location (La grande bellezza, proprio).
giovedì, febbraio 22, 2024
Report, quello di adesso, 2024
Perché scrivere l'ennesimo wall of text quando c'è già chi se la sbriga meglio, e pure velocemente? Allora tanto vale linkare Ernesto Gentili, che dice tutto quel che va detto sulla nuova puntata di Report dedicata, con modi sommari, alla nostra bevanda del cuore. Giusto una citazione:
"Dopo aver sentito definire WineandSiena come uno degli eventi
più importanti del panorama nazionale e aver scoperto, bontà loro, che
ci sono perfino due produttori (uno scovato in Abruzzo e uno in Veneto)
dall’animo puro, qualche dubbio che ci stiano prendendo in giro può
anche sorgere".
venerdì, novembre 03, 2023
Di Fornovo, fiere, fastidi, e un libro (fondamentale)
Sono partito per Fornovo avendo in testa questo passaggio, tratto dall'opera più fondamentale recente sul vino (Epistenologia, cioè).
«Esco dall’ennesima fiera del vino, vivo vitale naturale indipendente nudo critico resistente e corsaro, con consueto disagio e un gran mal di testa. Non sono i solfiti, certo che no, e poi tanti vini che ho amato son qua, gli irregolari e scomposti. Non è questo, non ti agitare: non ho cambiato gusti rispetto al precedente viaggio. È piuttosto il chiacchiericcio costante da indulgenze plenarie, tutta quella polvere che l’ambulare continuo da un banco a un altro, da un “prova questo” a quest’altro solleva, insieme alle solite baggianate sulle annate e le frasi fatte che le accompagnano. Tutto questo mi procura un po’ di fastidio, ma sono io, non è certo colpa del vino. Abbiamo conosciuto dei vecchietti siciliani un po’ persi e sperduti per la prima volta evidentemente portati a Milano perché ora il loro “prodotto” si vende. Mi piace il loro vino ma non per quel misero assaggio al banchetto, dosi talmente omeopatiche che sembra di essere in quel film di Antonioni dove si gioca a tennis senza pallina; mi è piaciuto perché mi piacciono loro, e questo non è un surrogato rispetto al piacere del vino. Anzi, ormai sono questi gli aspetti del vino che noto: quella frase “conta solo quel che è dentro il bicchiere” – qualcuno ancora lo dice, e con supponenza, come se rivelasse una verità persino profonda – non vuol dire nulla. Non c’è nulla solo dentro il bicchiere, perché quel che è dentro è sempre anche fuori. Nemmeno dal rigoroso punto di vista delle ricerche sul percepire: perché gustare, come ormai sanno tutti, è multi- e cross-sensoriale.
Poi una volta che esco m’infastidisco anche di me che ho provato fastidio»
Insomma ero malmostoso, preventivamente. Ma poi quell'ultimo passaggio, "mi infastidisco anche di me che ho provato fastidio", per me arriva a proposito, siccome mi ci specchio dentro da un pezzo.
Fatto sta che ho improvvisato qualcosa per evitare il fastidio. Questa edizione di Fornovo era per me più libertaria del solito, non avevo mappe o desideri. Così in mezzo ai molti produttori notissimi, con folle di assaggiatori al tavolo, ho scelto sempre i tavoli dove il produttore meno noto, o proprio sconosciuto, era da solo, mezzo triste mezzo assonnato. Ecco, ho fatto una raffica di assaggi così. E sono stati quasi tutti assaggi molto interessanti, al punto che pure essendo partito per Fornovo pensando "non mi serve nulla" adesso ho tre o quattro nomi che considero con favore. Forse questa formula destrutturata si rivela ideale, ma comunque Fornovo non ha deluso nemmeno quest'anno.
Sconosciuti a me, sconosciuti al mondo come lo frequento, il mondo digitale, internet, la conoscenza condivisa. Che nel frattempo è diventata cosa? Pure quella vittima di una forma di enshittification, ovvero: alcune cose cambiano, ma inevitabilmente in peggio. Potrei fare qualcosa in proposito per rimediare, uno di quei post riassuntivi di nomi, aziende, assaggi, schede, punteggi. Ma ci sono due problemi: ho detto che ho scelto in via preventiva produttori depressi e abbandonati, ora che figura ci faccio ad elencarli? Ma soprattutto: siccome non possiamo non dirci perulliani, cioè seguaci della filosofia di tanto autore, che smonta senza scampo chi fa il mestiere del redattore di schede (io, tra l'altro!), come si fa?
Ciò è fastidioso, no? E ovviamente m’infastidisco anche di me che ho provato fastidio.
mercoledì, ottobre 18, 2023
Due assaggi della domenica e si scopre che
Quando arriva domenica metto da parte qualche assaggio della festa, e riservo a quel giorno bevute che immagino più divertenti. Anche se come sempre quando apro una bottiglia di vino non so mai davvero cosa mi aspetta, come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump. C'è un'idea di massima, spesso delle aspettative, che finiscono sempre per intralciare l'assaggio, o ti deludono o resti sorpreso, ma appunto non sai mai.
Ecco il Rosso di Montalcino 2022 di Tiezzi: produttore molto stimato per il lungo cursus honorum, per aver fatto cose grandiose col sangiovese a Montalcino su due piccoli vigneti, il Poggio Cerrino e Vigna Soccorso. Dunque mi aspettavo la sangiovesitudine e la montalcinità (non saprei come dire meglio) in fondo a quel bicchiere. Aspettative molto soddisfatte: il Rosso subito ha un naso truculento di sangue e macelleria, poi si quieta piano verso il mentolato (un naso di erba aromatica, verde, direi) e il frutto. Bocca super salda, tannino davvero squillante, sorso dritto e verticale, come a dire di grande soddisfazione, nel complesso un vino che mi piace perché non rinuncia al carattere ruvido e nello stesso tempo è appagante, sul finale risulta confortevole a dispetto delle premesse e del quadro generale. Ma come ci riesce? Beh, ci riesce. Il genere di assaggio che vorrei rifare il giorno dopo.
E una retro etichetta non ce la vuoi mettere?
Nel relax del fine pranzo risento il Rum Millionario 15 Reserva Especial, solera, che viene dal Perù. Posso ripetere quel che ho detto lì per lì: non me lo ricordavo così buono. Assaggio che supera le aspettative quindi, perché io guardo spesso al Rum (quello nello stile dolcione, perlomeno) come a una bevuta un po' appesantita dalla zuccherosità, tant'è che il Rum migliore è quello che riesce a maneggiare la botta mielosa alternandola ad altro - ma a cosa? Qui c'era in effetti un alcol pulito, l'invecchiamento col metodo solera lo ha asciugato, la bocca era sollecitata ma non stuccata di dolcezza lasciva. Caspita, mi dico da solo, bravo Millionario, bel lavoro. Ancora adesso non so come mai non lo ricordassi così bene, serviva proprio il ripasso della lezione.
Ora mi devo studiare qualcosa di nuovo per la prossima domenica, vediamo che mi invento.
martedì, ottobre 10, 2023
Brut Tradition Vorin-Jumel. Le basi, proprio
Qualche considerazione dopo l'assaggio del nuovo Champagne Brut Tradition di Voirin-Jumel. Nuovo in quanto c'è stato un piccolo cambiamento nelle percentuali delle uve dell'assemblaggio, ora predomina il pinot nero col 61%, il restante è chardonnay. Fino a un paio d'anni fa era cinquanta-e-cinquanta. Essendo arrivato fresco fresco, potevo esimermi dall'assaggiare subito, curioso come sono? Non potevo.
Quindi ecco: il pinot nero prevale quanto basta, senza strafare, cioè non esagera in potenza ma fa il suo bel lavoro, conferisce una certa fierezza. Lo chardonnay segue a ruota, in secondo piano ma certo non dimesso, col suo corredo di crema pasticcera, insomma un po' di delicatesse che serve a completare il quadro. La retro etichetta è del genere parecchio esplicativo, ci tiene a dire tra l'altro che la cuvée in questione è essenzialmente figlia della vendemmia 2020, e fa bene siccome è una bellissima annata, col tradizionale saldo di vini di riserva.
Questo è il genere di Champagne-base che praticamente ogni maison ha nel suo listino, in un certo senso è il vino che rappresenta lo stile e le capacità appunto basiche di chi produce. Per me i brut tradition (spesso si chiamano tutti così) sono assai significativi, perché definiscono la champagnitudine (esiste 'sta parola? Boh) in maniera essenziale: eccolo qui, lo Champagne. Un po' come quando metti alla prova lo chef chiedendogli di fare la pasta al burro: vediamo un po' quanto sei bravo. E succede che quello ti stupisce tirando fuori un gran piatto, fatto di semplici materie prime di alto livello, e classe nell'esecuzione.
La retro in tutta la sua dettagliata spiegazione
Ma questo brut tradition, si diceva: bello e godevole, profuma di agrume e pan brioche, in bocca ha la vena salata tipica del genere, con quel dosaggio zuccherino che non è né poco né tanto, ma è in grado di sedurre le masse. Nuovamente, questa è la missione delle cuvée basiche, essere facili senza tradire la verve della tipologia. E farsi bere con voluttà. Il tradition di Voirin non mi delude nemmeno stavolta col piccolo cambiamento nel dosaggio. Ce ne sono tanti come lui, ma questo è il mio. In quanto scelto da me.
venerdì, luglio 07, 2023
Com'è fatto un produttore di vino
Oggi ho mandato un mail ad un vigneron che mi fornisce cose buone. L'indirizzo mail solito ha un autorisponditore, ed ecco la risposta:
Tradotto liberamente: ciao ma ho avuto una bimba, la seconda (la famiglia cresce!) quindi fino ad agosto ho il mio da fare, parlane con mia sorella o col cantiniere (seguono email relativi).
Ecco, quando si parla, molto, di differenza tra produzione artigianale e produzione industriale, io ci mettere pure questo, come distinguo: il vignaiolo (vignaiola, in questo caso) artigianale è un umano, al quale capitano felicemente cose umane, quindi regolati di conseguenza, aspetta un attimo, parlane con chi mi sostituisce perché adesso non posso. Questo, spero sia chiaro, è alquanto meraviglioso, è l'essenza dell'avere a che fare con umani, e non con misteriose SpA, o gente che in vigna ci va per sport, se ci va. E again spero sia chiaro, questa enoteca sceglie pervicacemente fornitori della prima specie.
venerdì, giugno 09, 2023
Di ritorno da Pantelleria, assaggi e cogitazioni laterali
Pantelleria è una terra aspra. Distante, ai confini meridionali dell'Europa, spazzata da un vento impietoso che non a caso è all'origine del suo nome arabo. Terreno vulcanico, ovunque la lava spunta con le sue lame di pietra nera e affilata. Isola senza spiagge, circondata da scogli inaccessibili fatti della stessa lava che scartavetra le estremità degli umani, i quali pensando di essere al mare cercano un punto dove, chessò, fare un tuffo. Molto meglio fare camminate in mezzo a quella natura, meglio il trekking. Le strade sono spesso strettissime e inerpicate, ricordano le single track road viste in Scozia, quando preghi di non trovare nessuno in direzione opposta, perché non sapresti dove accostare. Ma così hai la scusa buona per percorrere quelle strade molto lentamente, per goderti i paesaggi spettacolari tutto intorno. Nei pochi giorni in cui ho pilotato la vettura noleggiata, ho tenuto praticamente sempre la seconda marcia. La terza quasi mai. La quarta e la quinta sono praticamente inutili.
Pantelleria è una terra estrema e difficile, le piante della vite sono alberelli infossati a proteggersi dal vento, e sono un bel disagio da vendemmiare, là in basso. Questa terra dove l'uomo ha dovuto creare residenze, i dammusi, fatti di mura spessissime a proteggersi dal caldo che diciamo africano per amore dell'iperbole ma qui lo è davvero, siccome siamo davanti all'Africa, questa terra durissima produce uno dei vini più dolci, flessuosi, accoglienti, confortevoli e deliziosi del globo.
Il Passito di Pantelleria sembra la reazione opposta al suo contesto, quasi a contraddire le premesse. Qui sostanzialmente c'è un'unica uva, il moscato di Alessandria o moscatellone o zibibbo, clone diverso dal piemontese moscato bianco di Canelli. Vinificato come vino secco, senza alcun residuo zuccherino, ha l'aromaticità gradevole del vitigno con un carattere spiccato e, questo sì, direi territoriale, indomito. Nella versione passita tocca il suo vertice, come dicevo pare un negativo fotografico di quella terra.
La situazione produttiva enologica a Pantelleria non è dissimile da quella del resto del mondo: esiste un artigianato encomiabile che propone passiti da tuffo al cuore, struggenti e sensazionali. Esiste anche qualche tipo di industria che fa numeri ed è certamente più pittoresca e turistica, diciamo. Nelle loro cantine si trovano più facilmente etichette disponibili e milanesi imbruttiti. I vini della prima categoria sono eternamente introvabili, e pure la visita in cantina è meno agevole ("venite pure ma vino non ce n'è"). Lascio al mio lettore indovinare quello che piace a me. A questo proposito, ecco un paio di assaggi.
Salvatore Murana
Produttore storico, amato, stimato, rispettato. Vini inappuntabili e densi non solo nella struttura della dolcezza, ma anche densi di suggestioni e richiami. Murana ha diverse versioni del suo passito, Martingana imperativo e solenne, Mueggen una pietra miliare, Turbé apparentemente più delicato. Gadì è la versione secca della stessa uva, salino e ampio. Il "Creato" è raro e prezioso, ora si beve il 1983 (non è un refuso) perché affina per decenni, letteralmente. Ho provato a chiedere il suo prezzo, e alla risposta ("costa come un biglietto aereo per Pantelleria") non ho ritenuto di fare altre domande. Certo, che meraviglioso privilegio averlo nel bicchiere, con quel colore brunito e il finale interminabile.
Ci vuole un po' di fortuna, nel caso di Ferrandes: per trovarlo, anche geograficamente intendo, e trovarlo disponibile perché gli impegni che ha sono numerosi, il lavoro in vigna per esempio. E comunque è un altro produttore che, dati i numeri, ha scarsissimo vino disponibile - abbiamo prenotato qualcosa, abbiamo incrociato le dita, ora speriamo. Il suo passito ha una tensione dolce struggente, tiene impegnato l'assaggiatore per mezz'ore col naso infilato nel bicchiere perché ogni olfazione è un nuovo riconoscimento, una nuance inedita. In bocca pressoché infinito.
Assaggio di grande intensità, definitivamente.