martedì, dicembre 30, 2014

Questo potrebbe essere un altro di quei post di fine anno

Questo potrebbe essere un altro di quei post di fine anno, ed in effetti parte proprio così. Non ho grosse pretese di riassunti, è stato un anno un po' particolare e l'oversharing che ormai ci ottunde andrebbe temperato. Non parlerò della cosiddetta crisi solo per un motivo: ha rotto le palle. Soprattutto, non serve gran che parlarne: pure io faccio parte di una kasta, i commercianti, i quali si lamentano da sempre. E come dico ogni volta, il giorno che farò l'ennesimo lamento che annuncia la fine imminente del mondo nessuno ci crederà, e sarà due volte seccante, se ci pensate bene. Quindi saltiamo quella parte. Peraltro è in atto la fase suprema della lotta tra poveri dove al commerciante che si lamenta gli dicono "ti sta bene", che è speculare al commerciante che dà del fannullone all'impiegato e tutti e due dicono che è colpa dei prepensionati/extracomunitari/vattelapesca. E pure questa è una deriva ben triste delle molte conversazioni alle quali assistiamo. Abbiamo pochissima memoria, e del resto "divide et impera" è latino quindi pochi hanno chiaro il concetto.

Di quest'anno ricorderemo che è stato circa simile agli ultimi e probabilmente il prossimo sarà uguale. Quanto al mio quartierino (quello che io chiamo enomondo) forse il cambiamento maggiore sta nella massa notevole di partecipanti alle conversazioni online. E come si sa, non è tutto oro quel che luccica e non sono sempre i migliori a spiccare. Tra alcuni produttori che seguo c'è una carica di trombonismo esattamente uguale a quello dei peggiori giornalisti che ho smesso di seguire. Per cui mi succede di pensare: ma allora sono meglio i giornalisti. Perlomeno hanno il titolo (storico) per suonare lo strumento (il trombone, cioè). Alle solite moltissimi si prendono troppo sul serio ma alla fine si lamentano che nel giro c'è troppa serietà, insomma troppo stracciaballismo, e in definitiva tutto questo nuoce alla comunicazione. A questi auguro di fare pace con se stessi, e soprattutto di smettere di usare il termine COMUNICAZIONE come fosse un mantra, o una clava.

E a proposito di narrazione digitale, quest'anno ho visto un bel po' di eno-food blog andare definitivamente a puttane. "Miglior blog andato a puttane" non è un insulto, era (e credo sia ancora) un premio attribuito alla blogfest e nel giro ormai ci sarebbe il dubbio su chi sia il vincitore. Appunto non serve a dir male, ma a prendere atto che anche i blog sono un fatto naturale, hanno un inizio e una fine, che può essere più o meno dignitosa ma questo sì che è un punto doloroso quindi glissiamo. Ci sarebbe anche la cosa delle reti sociali che hanno o avrebbero sostituito i blog, ma già dissi che ne penso.

Tra le cose rimaste irrisolte quest'anno c'è la morte più o meno presunta dell'Unità, un foglio (anzi, web page) al quale ho prestato la mia ineffabile opera. Mi sorprende molto vedere come gli eventi siano precipitati in una maniera irrefrenabile, e considerando che tutto sommato io ho seguito il crollo dall'esterno, appare due volte inspiegabile. Io poi sono ancora convinto che esista una sinistra e che meriti un punto di aggregazione. Quindi non si spiega come un'azienda con un sito vivo e vitale si sia concessa il lusso di mandare tutto a puttane (rieccoci con l'elegante perifrasi). Devo solo trovare la forza di richiedere indietro il database dei miei post per salvarli per le future generazioni, si sa mai che io diventi uno famoso. Ciò detto, le cose scritte lì hanno sempre rappresentato (perlomeno per me) un lavoro di qualche impegno. Ergo, nuovamente, note to self: devo salvare quella roba dal gorgo del nulla. Oppure magari tutto ritorna a vivere e oplà, non è successo niente. Del resto, mi piace vivere alla giornata e oggettivamente domani non sai mai che ti si para davanti.

Permango invece abbastanza contento del lavoro su Intravino, però oggi farò una cosa insolita ed eviterò di fare il fiero parlando di quella roba là, quindi rallegratevi.

Di quest'anno ricorderò le persone che ci hanno piantato e non ci sono più. Capisco che sia triste ma abbiate pazienza. Tra questi c'è Stefano Bonilli. Il fatto è che io non ho mai conosciuto Stefano Bonilli: cioè, lo conoscevo in quanto suo lettore, ma non l'ho mai visto de visu. Ricordo però la volta che lo vidi più da vicino, e accadde molti anni fa: io ero in coda all'ingresso di Vinitaly e all'ingresso di destra c'era la coda riservata ai giornalisti, che entravano un po' prima. Bonilli era ancora il direttore del Gambero, e stava là magnifico e sorridente circondato da colleghi. Di Bonilli soprattutto ricordo questo scritto che ho riportato varie volte e che rileggo nei momenti di scazzo perché mi aiuta a correggere i miei errori. Quindi questo vale come ringraziamento, anche. Ecco di che si tratta:

"Ma il vino è proprio un mondo ormai marcio fin nel profondo, con rancori decennali, disistime ad personam, sette vinicole che sconfessano altre sette vinicole, gente che fa affari e, infine, un pubblico in molti casi che si è montato la testa e pensa di essere fichissimo e con grande palato. Una miscela che rende una degustazione uno dei luoghi più noiosi della terra, con le solite facce, il solito linguaggio, la solita gestualità e i soliti organizzatori. Una compagnia di giro che affosserà questo mondo ovvero lo renderà ancora più chiuso".

E' passato tempo da questo scritto, che è un rimprovero duro ma contestualizzato all'interno di uno scambio vivace. Non ci siamo ancora affossati ma alcuni ambiti permangono parecchio chiusetti, eh? Resta il fatto che da qui io riparto, ogni volta.

Va be', saremmo alla fine adesso, la parte in cui si fanno i saluti e gli auguri. Per la verità più che di auguri abbiamo bisogno di speranza fondata e ottimismo (e beccatevi 'sta botta renziana). Quindi io vi auguro quelle due robe lì.

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