Finisce anche questo dicembre 2017, e ci starebbe bene uno di quei post riassuntivi da fine anno, per dire cose arretrate rimaste impigliate nella tastiera e raccontare un po' il mood generale. Comincio a scrivere già sapendo che sarà una roba lunga, quindi mettetevi comodi, già lo so che faremo notte. Magari andiamo per capitoli, tanto per essere ordinati.
Dicembre.
A dicembre ci si gioca tutto. Ci si gioca l'anno, cioè: lo sapevate? Ecco, è così. Il mio lavoro si intensifica, anche dal punto di vista degli orari. Mediamente per tre settimane di fila si lavora per circa dodici ore al giorno, che non è esattamente un fatto sano ma è inevitabile. Ci si gioca il fatturato dell'anno - detto così forse è più chiaro. Si sommano quindi elementi di tensione e stress, purtroppo, peraltro miscelati al grande amore che ho per il mio lavoro. Amore, stress, ricorda qualcosa? L'esistenza intera, direi. Per questa specie di prova psicofisica bisogna prepararsi, quasi atleticamente. La prima cosa da considerare è che non è consentito ammalarsi: semplicemente, date le dimensioni della mia azienda (ditta individuale) io non posso crashare a dicembre. Il fatto è che la mia dimensione aziendale è obsoleta, tutto attorno al mio lavoro è alquanto obsoleto, ma di questo semmai ne parliamo dopo. Resta il fatto che a dicembre ci si deve arrivare allenati, freschi, e bisogna attrezzarsi preventivamente.
Gli attrezzi dell'enotecaro a dicembre (vedi foto).
Bisogna dotarsi in anticipo di alcuni ritrovati della chimica. Efferalgan, appena prendiamo freddo, e comunque serve a lenire dolori e prevenire altri disastri. Spray con propoli, io sono dipendente (non tossico, spero) da questo rimedio naturale. Non ho idea dei fondamenti scientifici di tale pozione, ma con me funziona, nel senso che mi sono ormai autoconvinto che sia miracoloso per le mie tonsille mai estratte. Un po' di magia ci sta bene, tutto sommato. Poi serve una crema per le mani, maneggiare cartoni taglienti ti ferisce a morte la pelle, e sanguinare mentre fai pacchetti regalo è disdicevole, quindi anche quella deve essere usata molte volte, quotidianamente. Per reggere la stanchezza è utile anche un preparato multivitaminico. E siccome l'herpes labialis alla fine arriva sempre, lo Zovirax per me è nel prontuario obbligatorio. Chi ha lo sguardo attento avrà notato che quello è scaduto nel 2011, ma io non credo ai complotti di big pharma e lo uso lo stesso.
(Taglio tutta la parte relativa all'alimentazione, si mangia frutta e panini con improbabili insalate e prosciutti, magari stando in piedi e rispondendo al telefono o sbrigando pratiche al computer, si beve moltissima acqua, ma appunto non serve che vi dia ricette su quelle robe, e poi questo non è mica un food blog).
Lo stupidario del cliente (sono già pentito di aver scritto "stupidario" ma ora spiego).
A dicembre in enoteca si sente letteralmente di tutto. Ci sono clienti fantastici (sì, tu che leggi sei esattamente quello, dai) e ogni tanto, raramente, esce fuori qualcosa di inenarrabile. Io ho sempre un notevole imbarazzo a compilare stupidari di clienti, cioè elencare le supercazzole che si sentono, perché lo trovo una pratica antipatica: un esercente dovrebbe evitare di fare il saputello a questo modo. Già solo il termine stupidario è odioso, chiedo scusa per averlo usato e davvero, serve solo a spiegare di che sto parlando. Ogni volta che qualcuno la spara grossa io gli chiedo: questa è bella, posso condividerla su Facebook? Se mi dice di sì, la adopero a quel modo, e solo in quel caso - poi ovviamente subito dopo provvedo a spiegargli dove ha sbagliato. Perché la missione qui è sempre quella, salvare il mondo alcolico, un cliente sperduto alla volta. In effetti, più che un elenco di efferatezze, mi va di compilare frasi al volo.
Spesso non sono nemmeno stupidari, a volte sono dichiarazioni d'affetto. La prima in classifica per me è questa (sentito ieri):
La concorrenza.
"Mia sorella lavora da [nome di enoteca concorrente] ma col c**** che vado a comprare vino da quelli là". Io ho provato blandamente a contraddire, "ma no, perché mai", però non ero del tutto sincero, ahem.
E poi ce ne sarebbero altri. Tipo questi:
Quello che va al supermercato.
"Volevo comprare un vino al supermercato e volevo sapere da lei sotto quale cifra non devo scendere per non bere vino scadente". Segue mia spiega sotto lo sguardo allibito degli altri clienti in coda. Essenzialmente ho spiegato che un assaggiatore per quanto esperto non è in grado di valutare un vino da una bottiglia chiusa, bisogna per forza versarlo in un bicchiere e procedere all'assaggio. Quindi dovrà correre qualche rischio, la vita è un fatto imprevedibile, il vino è uguale alla vita. Comunque sotto i cinque euro potrebbe rivelarsi qualche mezza delusione ma anche no, vedi sopra, auguri. (Il cliente in questione è ovviamente uscito senza comprare nulla, quindi non sarebbe neppure un cliente, sotto lo sguardo allibito degli altri, eccetera).
Birra originale.
"Mi hanno detto che lei vende birra originale" - "Ma, veramente", rispondo, "si definisce artigianale".
Ah, i ricordi.
"Mi ricordo che sono entrato nella tua enoteca anni fa per chiederti l'ora, e sono uscito con due sacchetti di bottiglie".
Quello dell'anno scorso.
C'è un vasto numero di clienti che vedo solo una volta all'anno, a dicembre, e solitamente mi richiedono "quello che ho preso l'anno scorso". Ora, come al solito questo fatto mi getta nell'angoscia: io non ricordo cosa ho mangiato ieri sera, figurati se mi ricordo che ti ho venduto un anno fa. Fatto sta che uno mi ha chiesto, all'inizio di dicembre "quello che ho comprato cinque anni fa". Io mi sono limitato a dirgli bentornato, mi sei mancato.
Che poi, a pensarci bene, che cos'è questo blog, se non un gigantesco stupidario dell'enotecario? E va avanti da anni e annorum, per dire. "Nessuno è innocente".
La mia obsolescenza (non programmata).
Alla fine di tutto 'sto lungo discorso, oggi meditavo sul fatto dell'obsolescenza del mio lavoro. In particolare c'è un punto che non ribadisco mai abbastanza, il mio essere un commerciante indie, cioè indipendente, uno che vende in sostanza solo quel che gli piace, e non sta dietro all'industria o alla griffe - o almeno, ci provo. Nel frattempo la struttura che mi sono dato è diventata anacronistica, obsoleta appunto. Questo è forse il cruccio maggiore che ho, perché ha a che fare col mercato, con il confrontarsi con un mercato che cambia ed evolve in modi che tendono a mettere al margine quelli come me. Basterebbe pensare al fatto che io ho iniziato questo mestiere quando internet in Italia non esisteva. Ma ci pensate? Una volta internet non c'era - e le sfide che pone questo mezzo, semplicemente, non esistevano. Credo che la mia obsolescenza risieda anche nel fatto di non aver raccolto adeguatamente quelle sfide. Si tratta di osservare con attenzione e studiare. Tutto questo richiede tempo ed energie che non sono certo di avere, o peggio, non sono certo di voler dedicare al cambiamento. Mi accorgo di amare forse troppo la mia obsolescenza, e il miglior buon proposito per l'anno nuovo che riesco a fare è questo: pensarci bene.
Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
domenica, dicembre 24, 2017
venerdì, dicembre 08, 2017
Assaggi con finto birrino finale
In questi giorni prenatalizi mi sto divertendo ad aprire un po' la qualunque, a bottega. Il rito è più o meno sempre il solito, da queste parti io non creo eventi alla maniera Facebook, semplicemente stappo random quel che mi va. Chi c'è c'è, e chi passa da queste parti già sa.
Per esempio ieri scaricavo i nuovi arrivi dalla Montagna di Reims (giretto di parole per dire Champagne). Manceaux è la cosa nuova e manco a dirlo l'ho aperto al volo, tanto per. L'assaggio del Premier Cru non mi ha deluso, e menomale, adesso è bello brioscioso (sa di brioche, cioè) e ha tutto il necessario per riconciliarmi col mondo - perché a questo serve, lo Champagne. "Cosa ci abbini con lo Champagne?", mi chiede uno. "Quasi tutto, e soprattutto i momenti felici", rispondo io. Non so, forse non è una risposta tecnica da sommellerie, ma è la migliore che mi è venuta fuori. Questo champ costa sui 32 euri, qui.
Ieri poi passa un altro cliente, mai visto prima. Mi dice se (pagando) da me si può bere qualcosa. Così gli spiego che no, io non faccio quel genere di servizio, questa è ancora un'enoteca terribilmente old economy, "però ho dello Champagne aperto, assaggialo gratis, tutto sommato non caschi male", aggiungo. Quello mi guarda un po' sorpreso, e poco dopo eravamo amiconi. In fondo 'sto mestiere non è difficile.
Giorni fa invece apro l'Amarone 2013 Le Bignele, altra new entry. Il genere di assaggio ti piace vincere facile, potremmo dire, ma c'è di buono che quell'Amarone contiene con eleganza la botta da fruit bomb che affligge un po' la denominazione. Volendo scrivere la sua recensione, nella terminologia minimalista che oggi caratterizza il linguaggio della nuova critica del vino, che è destrutturata, potremmo dire che è molto, molto buono. Poi ci scappa pure un accenno al perfetto equilibrio tra freschezza (acidità, cioè) e frutto, ma questo sarebbe old school, come descrizione. L'Amarone di Bignele costa sui 33 euro.
Alla fine degli assaggi, il più delle volte giocavo a spiazzare i clienti. Da queste parti è disponibile, in mezzo alle altre cose birrarie, una versione affinata in barrique (sì, botti usate che hanno contenuto vino) dell'Extra Brune di Maltus Faber - qui ci sarebbe un approfondimento su Extra Brune, per chi vuole saperne di più.
Com'è, come non è, ogni volta che i miei clienti enofili mi vedono maneggiare una birra, mi guardano sospettosi. E ogni volta spiego che esiste questa cosa, la birra artigianale, che sto studiando come si studia il greco e il latino (ma prima o poi questa cosa sarà tema di un altro post, ancora da scrivere). La bottiglietta si piazza cospicua e apparentemente fuori posto in mezzo ad Amarone e Champagne. "Ma che c'entra?" mi dice il cliente più benevolo.
Esiste un solo modo per rispondere correttamente a 'sta domanda: mettere quella birra nel bicchiere.
Molto scura, alcolica, molto morbida, naso alquanto sconvolgente tra liquirizia, spezie, torrefazione, chiodi di garofano, vaniglia - potrei andare avanti ancora un po' ma la smetto qui. La cosa più divertente a quel punto era vedere le espressioni di chi la assaggiava. Era un crescendo che culminava, di solito, con "ahh, ma allora, ecco perché".
Ecco perché la vendo, voleva dire. La bottiglietta da 33 cl. sta sui 6 euro. Con cosa si abbina? Vista la potenza alcolica (10 gradi) e la stazza morbidona, io la vedo a fine pasto, per chiudere in bellezza su un dessert cioccolatoso, oppure assieme al mio sigaro toscano preferito, se avete lo stesso mio vizio. Oppure associata a momenti di felicità, ecco, esattamente come quell'altra cosa che dicevo prima. Sì, in fondo 'sto mestiere non è difficile.
Il senso del titolo "finto birrino" si deve al fatto che la bottiglietta in questione ogni volta appariva come fosse intrusa, in quegli assaggi, come fosse un birrino, termine diminutivo, e invece no, non è affatto un birrino, lo è solo per finta.
Per esempio ieri scaricavo i nuovi arrivi dalla Montagna di Reims (giretto di parole per dire Champagne). Manceaux è la cosa nuova e manco a dirlo l'ho aperto al volo, tanto per. L'assaggio del Premier Cru non mi ha deluso, e menomale, adesso è bello brioscioso (sa di brioche, cioè) e ha tutto il necessario per riconciliarmi col mondo - perché a questo serve, lo Champagne. "Cosa ci abbini con lo Champagne?", mi chiede uno. "Quasi tutto, e soprattutto i momenti felici", rispondo io. Non so, forse non è una risposta tecnica da sommellerie, ma è la migliore che mi è venuta fuori. Questo champ costa sui 32 euri, qui.
Ieri poi passa un altro cliente, mai visto prima. Mi dice se (pagando) da me si può bere qualcosa. Così gli spiego che no, io non faccio quel genere di servizio, questa è ancora un'enoteca terribilmente old economy, "però ho dello Champagne aperto, assaggialo gratis, tutto sommato non caschi male", aggiungo. Quello mi guarda un po' sorpreso, e poco dopo eravamo amiconi. In fondo 'sto mestiere non è difficile.
Giorni fa invece apro l'Amarone 2013 Le Bignele, altra new entry. Il genere di assaggio ti piace vincere facile, potremmo dire, ma c'è di buono che quell'Amarone contiene con eleganza la botta da fruit bomb che affligge un po' la denominazione. Volendo scrivere la sua recensione, nella terminologia minimalista che oggi caratterizza il linguaggio della nuova critica del vino, che è destrutturata, potremmo dire che è molto, molto buono. Poi ci scappa pure un accenno al perfetto equilibrio tra freschezza (acidità, cioè) e frutto, ma questo sarebbe old school, come descrizione. L'Amarone di Bignele costa sui 33 euro.
Alla fine degli assaggi, il più delle volte giocavo a spiazzare i clienti. Da queste parti è disponibile, in mezzo alle altre cose birrarie, una versione affinata in barrique (sì, botti usate che hanno contenuto vino) dell'Extra Brune di Maltus Faber - qui ci sarebbe un approfondimento su Extra Brune, per chi vuole saperne di più.
Com'è, come non è, ogni volta che i miei clienti enofili mi vedono maneggiare una birra, mi guardano sospettosi. E ogni volta spiego che esiste questa cosa, la birra artigianale, che sto studiando come si studia il greco e il latino (ma prima o poi questa cosa sarà tema di un altro post, ancora da scrivere). La bottiglietta si piazza cospicua e apparentemente fuori posto in mezzo ad Amarone e Champagne. "Ma che c'entra?" mi dice il cliente più benevolo.
Esiste un solo modo per rispondere correttamente a 'sta domanda: mettere quella birra nel bicchiere.
Molto scura, alcolica, molto morbida, naso alquanto sconvolgente tra liquirizia, spezie, torrefazione, chiodi di garofano, vaniglia - potrei andare avanti ancora un po' ma la smetto qui. La cosa più divertente a quel punto era vedere le espressioni di chi la assaggiava. Era un crescendo che culminava, di solito, con "ahh, ma allora, ecco perché".
Ecco perché la vendo, voleva dire. La bottiglietta da 33 cl. sta sui 6 euro. Con cosa si abbina? Vista la potenza alcolica (10 gradi) e la stazza morbidona, io la vedo a fine pasto, per chiudere in bellezza su un dessert cioccolatoso, oppure assieme al mio sigaro toscano preferito, se avete lo stesso mio vizio. Oppure associata a momenti di felicità, ecco, esattamente come quell'altra cosa che dicevo prima. Sì, in fondo 'sto mestiere non è difficile.
Il senso del titolo "finto birrino" si deve al fatto che la bottiglietta in questione ogni volta appariva come fosse intrusa, in quegli assaggi, come fosse un birrino, termine diminutivo, e invece no, non è affatto un birrino, lo è solo per finta.
venerdì, ottobre 27, 2017
Tre cose da fare prossimamente
Ci sono almeno due modi efficaci di conoscere da vicino l'enomondo con qualche successo. Il primo è andare per vigne, cioè visitare le cantine e i produttori. Il secondo è frequentare le fiere di settore. (Poi vabbe' sì, ci sarebbe anche un terzo modo, il vostro enotecario di fiducia). Ma parlando di fiere, queste per la verità sono un bel po' numerose, ne abbiamo di tutti i gusti e insomma, non sempre è facile scegliere. Il mese di novembre ne mette assieme ben tre di fila ed ecco qua: i miei consigli per gli acquisti. In ordine di data. Io sarò ad ognuna, e vale il perenne "ci si vede là".
Vini di Vignaioli - Fornovo di Taro (Parma) - Domenica 5 e lunedì 6 Novembre
Se ancora non la conoscete, dovete andarci. Sia per l'atmosfera che si respira in questa fiera molto selettiva di piccoli produttori, sia per il livello dei prodotti. Vini contadini, bio-natural-qualcosa, pieni di carattere, come quelli che li fanno. Nel suo genere è diventato un appuntamento irrinunciabile. [Link alla homepage].
Terra e Libertà/Critical Wine - Genova - Sabato 11 e Domenica 12 Novembre
Se possibile una rassegna ancora più alternativa e contadina, non a caso collegata al ricordo veronelliano di un ambito agricolo attivo anche sul piano etico e politico. Anche qui atmosfera totalmente diversa da qualsiasi fiera formale e ingessata: uno spazio aperto su produzioni davvero molto piccole, in una sede (il Laboratorio sociale occupato autogestito Buridda) che da solo spiega già molto. È una fiera che vede la partecipazione (abbastanza oceanica) di una massa di visitatori difforme da quella che capita di vedere a questo tipo di appuntamenti - e pure questo credo sia un grande merito di Critical Wine. [Link alla homepage].
The Wine Revolution - Sestri Levante (Genova) - Domenica 19 e lunedì 20 Novembre
Altra rassegna dedicata alle piccole produzioni (eh sì, ho la fissa), con attenzione alle produzioni naturali. Qui c'è una notevole concentrazione di distributori e importatori ultra qualificati, e sospetto si berranno cose notevoli. L'organizzazione tiene a dire che ci saranno anche specialità alimentari (come anche nelle altre due rassegne qua sopra) e si potranno fare acquisti, sullo stile della mostra-mercato. Extra bonus, tutto accade nel vecchio Convento dell'Annunziata davanti alla Baia del Silenzio - che è proprio niente male. [Link alla pagina Facebook, che la loro homepage è ancora inattiva].
Vini di Vignaioli - Fornovo di Taro (Parma) - Domenica 5 e lunedì 6 Novembre
Se ancora non la conoscete, dovete andarci. Sia per l'atmosfera che si respira in questa fiera molto selettiva di piccoli produttori, sia per il livello dei prodotti. Vini contadini, bio-natural-qualcosa, pieni di carattere, come quelli che li fanno. Nel suo genere è diventato un appuntamento irrinunciabile. [Link alla homepage].
Terra e Libertà/Critical Wine - Genova - Sabato 11 e Domenica 12 Novembre
Se possibile una rassegna ancora più alternativa e contadina, non a caso collegata al ricordo veronelliano di un ambito agricolo attivo anche sul piano etico e politico. Anche qui atmosfera totalmente diversa da qualsiasi fiera formale e ingessata: uno spazio aperto su produzioni davvero molto piccole, in una sede (il Laboratorio sociale occupato autogestito Buridda) che da solo spiega già molto. È una fiera che vede la partecipazione (abbastanza oceanica) di una massa di visitatori difforme da quella che capita di vedere a questo tipo di appuntamenti - e pure questo credo sia un grande merito di Critical Wine. [Link alla homepage].
The Wine Revolution - Sestri Levante (Genova) - Domenica 19 e lunedì 20 Novembre
Altra rassegna dedicata alle piccole produzioni (eh sì, ho la fissa), con attenzione alle produzioni naturali. Qui c'è una notevole concentrazione di distributori e importatori ultra qualificati, e sospetto si berranno cose notevoli. L'organizzazione tiene a dire che ci saranno anche specialità alimentari (come anche nelle altre due rassegne qua sopra) e si potranno fare acquisti, sullo stile della mostra-mercato. Extra bonus, tutto accade nel vecchio Convento dell'Annunziata davanti alla Baia del Silenzio - che è proprio niente male. [Link alla pagina Facebook, che la loro homepage è ancora inattiva].
martedì, settembre 12, 2017
Nebbiolo a Barolo, due paroline che suonano così piacevoli
A volte girare per cantine e vigneti a caccia di cose da comprare non è un fatto di scoperte ed esplorazioni. È piuttosto un fatto di lavori arretrati, è una cosa sul genere "c'è quel vino assaggiato in quella certa occasione, devo assolutamente andare in cantina dal taldeitali". Ad un certo punto gli arretrati diventano quasi una faccenda che ti fa sentire in colpa.
Per esempio: come mai ci ho messo tutto 'sto tempo per andare a trovare Scarzello? Gli assaggi dei suoi vini (Barolo del comune di Barolo, nebbioli soffusi e pieni di stile) risalivano allo scorso Vinitaly. Finalmente ieri una trasferta da quelle parti mi ha consentito di riassaggiare, e finalmente comprare, almeno un paio di cose.
L'azienda sta nel centro del paesino di Barolo, e ha circa cinque ettari in aree stracult (Sarmassa, per dirne una, vero e proprio cru storico). Il suo Barolo 2011 essendo in vigneti dello stesso comune ha appunto la denominazione comunale, Barolo di Barolo - che suona un po' come una reiterazione del concetto, "te lo ripeto, io sono proprio quello". Ecco i miei assaggi del cuore.
Langhe Nebbiolo 2015. Qui c'è quello che potrei dire lo stile aziendale: un vino che tiene a bada la durezza dei tannini del nebbio con una delicata eleganza, e poi la morbidezza dell'alcol fa il resto. Si apre con note di spezie e poi segue quella vena quasi di carne, o brodo di carne, che ricorda la nobiltà dell'uva di provenienza, e del territorio che ormai solo col nome evoca importanza. Alla fine, sarà la suggestione da terroir, senti anche un po' di nocciola. Amore a prima vista. 89/100, sui 18 euro.
Barolo del Comune di Barolo 2011. Dominare la potenza di questo vino in chiave di bevibilità e attraenza sembra una quadratura del cerchio impossibile, eppure Scarzello ci riesce. È per questo che un assaggio del genere si fissa nella memoria, non solo per le note olfattive un po' dark, tra la carne e la terra. Qui c'è soprattutto una bevibilità vivida, dove l'importanza non si trasforma mai in respingenza, è segnata in modo amabile dalla tostatura (cacao) e di nuovo viene da pensare ad un qualche tipo di stile aziendale. Assaggio notevolissimo, 91/100, sotto i 40 euro in enoteca.
mercoledì, settembre 06, 2017
Talmente possibile che ecco qua il programma
Dunque appunto, si diceva. Il nostro corso intravinico sul vino a Genova adesso ha il suo programma ufficiale:
Le date: si inizia il 9 ottobre prossimo, lunedì sera ore 21, e poi via via per i successivi lunedì fino alla serata conclusiva del 13 novembre, quindi 9 – 16 – 23 – 30 ottobre e 6-13 novembre. Ogni incontro dura circa un paio di ore ma è facile che si sfori – sai com’è, il tempo passa veloce quando ci si diverte. Ore 21, puntuali, non so se l’abbiamo già detto.
Dove: a Genova presso il bar Soul Note Caffè, in Via Cesarea 95. È centrale, posteggi se ne trovano, insomma splendida cornice.
Cosa succede in sostanza: si impara ad assaggiare, o si ripassa il concetto per chi già è capace, fornendo gli strumenti critici di analisi che sono tipici dell’assaggiatore. Il tutto (promettiamo) senza addormentare nessuno con digressioni enotecniche e di fisiologia dei sensi. Il materiale utilizzato è quello già online, selezionato in diversi post pubblicati su Intra.
Cosa si beve: ecco, a questo ci teniamo un bel po’. Cose serie, importanti, niente vinelli didattici ma robe gloriose. Venite cenati, ma qualche grissino sì, dai, lo troviamo da mettere in tavola.
Prezzo: le sei serate vi costeranno la bella cifra di 250 euro a persona. Non è poco, non è troppo, ma si berranno vini memorabili e vi resta il prezioso set da sei bicchieri da assaggio – del tipo grande, niente bicchierini piccoli sul genere Iso.
giovedì, agosto 31, 2017
Un altro corso (sul vino) è possibile
Dopo un bel po' dall'ultima volta, mi rimetto al lavoro ripensando un corso di assaggio. Stavolta, una cosa Intravino-style, e difatti non sarò da solo ma con la copertura culturale di Pietro. Qui un po' di anticipazioni. Per aumentarvi l'appetito (o la sete) potrei dire solo che ogni sera l'idea è quella di aprire, sempre e soltanto, vini grandiosi. Alle solite i corsi come piacciono a me sono senza vini didattici.
I vini didattici sono quelli difettosi. Si chiamano didattici perché ve li fanno bere volentieri ai corsi. Qui evitiamo, dai.
Poi ovviamente ci sarà molto di più di quello, ma insomma state con noi e non cambiate canale.
I vini didattici sono quelli difettosi. Si chiamano didattici perché ve li fanno bere volentieri ai corsi. Qui evitiamo, dai.
Poi ovviamente ci sarà molto di più di quello, ma insomma state con noi e non cambiate canale.
martedì, maggio 16, 2017
La Casetta a Salino. Per la serie i vini sentimentali del lunedì
Salino, entroterra di Sestri Levante, sulla strada per Varese Ligure. È un borgo di tre case che si trova facilmente solo sulle mappe militari, e vederlo dal vivo fa un effetto del tipo "qui finisce la civiltà". La Casetta è un'azienda (e azienda suona già esagerato) che produce da un ettaro di vigna meno di tremila bottiglie tra rosso e bianco, e sta esattamente in questo posto sospeso sotto le nuvole. Per me è una vecchia conoscenza, ormai.
I fatti sentimentali si mettono di traverso, quando assaggi. Quelle strade, quella parte di Appennino, sono i luoghi della mia infanzia, quindi va a finire che il giudizio non è sereno. In questi casi moltiplico lo stress test a cercare difetti e imperfezioni: e niente, in questi vini non ne trovo, e a un certo punto accetto il fatto.
Il Bianco Liguria di Levante Igt 2016 è morbido, con frutta già matura, insospettabilmente pronto: magari non sarà longevo, ma ora è perfetto, col giusto equilibrio sale/frutta. Essenzialmente uva albarola, con un 10% di sauvignon che accenna solo vagamente il tono aromatico.
Spezie e ciliegie nel Rosso Liguria di Levante Igt 2015, scattante e finto-facile. Tra l'altro ha un aspetto che io amo ritrovare, ha capacità di evolvere nel bicchiere: parte riottoso ma dopo pochi minuti diventa confidenziale e infine si apre, concedendosi. Carattere ligure, potrei dire. Curioso mix di uve "c'è quel che c'è", dal syrah al dolcetto al pinot nero al cabernet (a un certo punto ho smesso di scrivere, tanto ce n'erano troppe da segnare). Un anno di barrique molto usata, che quindi non segna con note legnose. Nella foto in alto, la barricaia (si fa per dire).
Ci sarebbe, poi, il mito della produzione ridottissima, semi introvabile. La foto sotto dice qualcosa del marketing aziendale.
Alle solite quello, da solo, non è un valore, ma è comunque un aspetto che aggiunge fascino, perché alla fine conta quel che c'è nel bicchiere, cercando di mettere da parte i sentimenti (ma che fatica). In mezzo a quei punti vendita oggi ci si aggiunge il mio: prezzi in enoteca sugli undici euri, al netto dello sconto simpatia.
venerdì, aprile 21, 2017
Vinitaly edizione 2017. Mi si nota di più se
Fammi dire due cose pure a me su Vinitaly edizione 2017, altrimenti pare che non sono abbastanza mediattivista. Per prima cosa ovviamente gli assaggi, che sono stati (facile da indovinare) una cifra iperbolica. Nel consueto mood "ricicliamo il lavoro già fatto altrove" quindi segnalo:
«Barolo 2011 di Giorgio Scarzello. Perché va bene la profondità, le spezie, la complessità e insomma la barolitudine austera, tutte componenti che qui ci sono con abbondanza. Però poi c’è quel bum di bontà in bocca, un po’ indicibile in quanto spiazzante, cioè quasi intimorisce la perfezione bilanciata di questo nebbiolo, che si infila dritto e inamovibile tra i vini che non si dimenticano. Intorno ai 35 euro in enoteca, secondo me l’affare del millennio. Poi di seguito, c’è il Pinot Bianco Flowers 2015 di Von Blumen, un altoatesino che passa 8/10 mesi in botte grande e se ne esce bel bello ad esibire sontuosità e lunghezza, importante ma non lo fa pesare, con un finale da pasticceria che lo rende simpy. Per coerenza è importante pure il prezzo, sui 20».
In quel minireport, è inevitabile, resta fuori moltissimo, e al ritorno uno consulta gli appunti allungando un'ideale lista della spesa. Per esempio ci sarebbe il Raboso di Casa Belfi, assaggiato a Villa Favorita. Belfi poi fa un prosecco sur lie altrettanto glorioso ma quel rosso brillante con bollicina era micidiale per delizia di beva. Il classico vino che induce ammirazione nei confronti del vignaiolo. Per esempio (2) ci sarebbe un solito noto di Liguria, Terre Bianche, che non contento di fare Rossese di Dolceacqua grandiosi ha infilato due bianchi 2016, Vermentino e Pigato (Riviera di Ponente) solo spettacolari: pure un po' pirazinici/minerali, e sappiamo che minerale non si dice ma ecco, l'ho ridetto. Pazienza dai.
(Cosa vuol dire pirazinico/minerale, spiegato: immagina una cosa che ricorda vagamente l'odore dell'acqua di mare quando l'onda evapora veloce sui sassi roventi della spiaggia. Forse ci sono riuscito, o perlomeno ti sarà venuta voglia di vacanze).
Vinitaly inoltre consente quegli assaggi che hanno già fatto tutti i tuoi amici da anni, e un po' per caso e un po' per sfortuna tu hai sempre saltato. Per questo dire che Damiano Ciolli in Lazio fa cose sensazionali (Silene 2015, Cirsium 2013) non mi procurerà gloria, ma ci tenevo lo stesso a partecipare: rossi raffinati, speziati, morbidi. Considerando che a tutti e due ho dato punteggi prossimi ai 90/100, ora la domanda è solo una: perché diavolo ho aspettato tanto.
Ci sarebbe da dire, poi, qualcosa sulla annosa vicenda dell'organizzazione carente della fiera. Il fatto è che quest'anno, pare, non c'è quasi niente da dire. Personalmente non ho notato grossi problemi, anzi tutto filava liscio, lo stesso mi ha fatto notare più di un amico, e quindi insomma qui abbiamo un problema: abbiamo poco da lagnarci. Una funzione della blogghitudine viene meno.
Oppure, potremmo fare i ganassa e immaginare, anche, che le vecchie lagnazioni siano servite a dare un contributo. Ma no, pare troppo autoreferenziale.
Per me vale l'eterna idea che ho di questa fiera. Quindi ritorna il mood "ricicliamo il lavoro già fatto altrove":
«mi piace l'aria da grande mercato di paese che si respira. Questo probabilmente perché molta parte di chi espone appartiene, comunque, ad un certo mondo contadino che si sta estinguendo (evolvendo, diciamo) e che mi ricorda l'infanzia; alla Fiera ritorno un po' alle radici, e le suggestioni dettate dai ricordi di mio padre che trattava con i contadini (fornitori, si deve dire oggi) ha un peso non piccolo: stringere quelle mani e guardarsi negli occhi parlando di vendemmie e lavori in cantina fa scordare ogni ressa o coda».Sarà che ormai ho superato le venti edizioni visitate (non ho tenuto il conto preciso, accidenti).
venerdì, marzo 31, 2017
Appunti per il prossimo Vinitaly
La fiera veronese si avvicina, e possiamo cominciare a fare la lista della spesa. Per esempio un ripasso di questo nebbiolo alternativo:
La storia è più o meno sempre la stessa: assaggi molte cose, una sola ti resta in mente. Puoi usare i descrittori più fantasiosi e anche dare punteggi, ma c'è questa cosa dell'elemento affettivo, quella che ti fa ripensare a un assaggio anche giorni dopo, che vale ogni primato. Così adesso salto la fase degli assaggi totali durante Barolo Barbaresco & Friends (organizzato a Genova da GoWine) e mi dedico alla faccenda veloce: the winner is.Il resto del post continua da questa parte.
venerdì, marzo 10, 2017
Vecchio Samperi, il destino di un vino bizzarro (si parla di Marsala)
Qualche settimana fa ho assaggiato il Vecchio Samperi di De Bartoli, grazie al giovane De Bartoli che mi ha fatto visita a bottega. Questa per inciso è una parte del mio lavoro che amo particolarmente, quando un produttore dura la fatica di scarpinare fino da me e mi fa assaggiare le sue cose. In più c'era il prestigio storico dell'azienda e tanti ricordi personali legati a quel nome, insomma ero molto contento. E quel Vecchio Samperi era un'altra ragione di contentezza.
Il fatto è che quel vino era, è, pazzescamente buono. Si potrebbe definire un Marsala, ma vecchio stile, pre-english come dice De Bartoli, senza aggiunta d'alcol cioè prodotto nello stile ossidativo precedente alla colonizzazione commerciale fatta dagli inglesi, per quell'area. È un non-Marsala perché trascende il profilo noto di quel vino, riuscendo a superarlo, e diventando altro. E tecnicamente non è un Marsala quanto a denominazione, si chiama vino, e basta.
Già, il Marsala, si diceva. Un vino bizzarro, che ha un destino incredibile (lo dico sommessamente, facciamo finta che nessuno di Marsala stia leggendo) se pensiamo che nella sua denominazione contiene il descrittore di un difetto. Perché sì, non l'hai mai sentito dire, marsalato, di un vino che non è più buono? "È marsalato, puoi buttarlo". Cose così.
Ma allora, chi vorrà mai bere Marsala?
Comunque, avendo questo mezzodito di Vecchio Samperi, mi sono tenuto lì il bicchiere in enoteca per un paio di giorni. Ogni tanto ci mettevo il naso dentro, ne bevevo un goccio per farlo durare. Più ci stavo assieme più mi piaceva. Poi lo facevo annusare ai clienti di passaggio - "ma che cos'è??" - e ogni volta spiegavo.
Quando è finito ho continuato a parlarne con un certo trasporto mistico a tutti quelli che incontravo. Qualcuno ha cominciato a chiedere: sì va be' ma lo vendi? Dov'è? Quanto costa? Vedere?
Il fatto è che non lo avevo comprato. Nemmeno io so perché, parlavo in continuazione di un vino che non avevo in vendita. Perché anche io, da qualche parte, avevo in testa la vocina che chiedeva "chi vorrà mai bere Marsala?" - solo che io continuavo a pensare a quel vino con struggimento. Insomma ora l'ho comprato.
Non costa poco (49 euro la bottiglia da 75) e per quello lo terrò aperto, per farlo assaggiare. E probabilmente lo faccio anche per me, visto che ho una certa nostalgia di riaverlo nel bicchiere.
venerdì, marzo 03, 2017
E adesso anche la mia newsletter
Dopo circa un milione di anni mi decido, oggi, a settare la newsletter dell'enoteca, che, in un impeto di creatività, si chiama Notiziario enotecario. Chi desidera sottoscriverla può usare questo form:
Non so bene spiegare perché ci ho messo appunto un milione di anni, ma probabilmente ha a che fare con letture recenti, come questa: "Facebook Users Becoming Less Satisfied And Using The Service Less", uno dei molti (ormai) articoli che criticano l'effettiva utilità di altre forme di comunicazione social.
Quindi faccio qualcosa che mi viene familiare, si torna all'antico cioè alle newsletter, che sono una forma di comunicazione/racconto molto meno invasiva e (diciamolo) stressante rispetto a quel che consente, per esempio, Facebook. Comunque sia, la mia newsletter servirà a informarvi su qualsiasi evento/iniziativa/enochiacchiera che avviene a bottega, e perché no, offerte, corsi, ricchi premi eccetera.
mercoledì, febbraio 08, 2017
Un arretrato e un note to self
Ci sarebbero queste due vicende, un arretrato e un appunto per future produzioni letterarie inestimabili.
Un post scritto per Intra che per una volta non parla di produttori, di prodotti né di terroir o cose simili, ma parla di quelli come me: quelli che vendono il vino. E di come quelli come me siano (oppure no) il tramite adeguato alla diffusione di prodotti che provengono da un ambito anche etico, cioè schierato per esempio secondo il criterio di sostenibilità ecologica dell'azienda.
In ogni post c'è un testo e c'è un sotto-testo: stavolta il sottotesto era fondamentalmente questo (e non pare piacevole): ci sono commercianti migliori di altri perché si pongono il problema. Indovinate chi sono io? Quello che si pone il problema. Ve l'avevo detto che il sottotesto era spiacevole, nel senso di scomodo. Il produttore, dal suo punto di vista, non si interroga più di tanto perché probabilmente noi nella filiera siamo un fatto slegato ed individualista, non siamo parte del sistema. E poi 'sto vino bisogna pur venderlo e, come nello spot dello shampo, io guardo al risultato, avrà pensato qualcuno. Quindi qualsiasi Coop-sei-tu va benissimo, non c'è differenza sostanziale nei canali di vendita. A 'sti punti potrei dire evabbè, pace, ma invece no, non mi rappacifico.
Parliamo invece di un altro fatto divertente: giorni fa ero in giro per i miei consueti tour per territori selvaggi (Castagnole Lanze, nell'estremo Monferrato, quasi Langa) ad assaggiare cose prodotte da Gianni Doglia.
Dall'azienda ho avuto solo (solo si fa per dire, non è poco) belle conferme, e pure una sorpresa: assaggio un rosso a base merlot, due anni di botte piccola - un vino in controtendenza, potremmo dire, rispetto al culto del territorio e dell'autoctono. Ebbene, grande assaggio: vino assolutamente monferrino, perché assieme alla confortevole posa orizzontale del merlot associava la spinta verticale che non so imputare ad altro se non all'area di provenienza. Insomma il territorio che domina comunque l'uva non territoriale. Orizzontale e verticale, 'mazza che bella 'sta descrizione, ma quanto mi piace? (Chiaramente comprato al volo. In enoteca sta sotto i trenta euri, prezzo importante ma vino prodotto in 600, dicasi seicento, bottiglie).
Ripensando all'assaggio del merlottone orizzontale+verticale ricordo un descrittore olfattivo facile facile: tartufo. Caspita, dico, che nuance di tarfufo che esce dal bicchiere.
Ecco il note to self: prima o poi bisognerà dire che le descrizioni dei vini non possono essere per forza "mi piace-non mi piace", come ogni tanto qualcuno esce fuori a reclamare, provocando il mio sgomento. La semplificazione delle cose complesse, che è così rassicurante, ogni volta si rivela una discreta fregatura. Note to self: elencare le metafore collegate con l'apparente semplificazione, il gentismo, il populismo, l'uscita dall'Euro e i rettiliani.
Un post scritto per Intra che per una volta non parla di produttori, di prodotti né di terroir o cose simili, ma parla di quelli come me: quelli che vendono il vino. E di come quelli come me siano (oppure no) il tramite adeguato alla diffusione di prodotti che provengono da un ambito anche etico, cioè schierato per esempio secondo il criterio di sostenibilità ecologica dell'azienda.
In ogni post c'è un testo e c'è un sotto-testo: stavolta il sottotesto era fondamentalmente questo (e non pare piacevole): ci sono commercianti migliori di altri perché si pongono il problema. Indovinate chi sono io? Quello che si pone il problema. Ve l'avevo detto che il sottotesto era spiacevole, nel senso di scomodo. Il produttore, dal suo punto di vista, non si interroga più di tanto perché probabilmente noi nella filiera siamo un fatto slegato ed individualista, non siamo parte del sistema. E poi 'sto vino bisogna pur venderlo e, come nello spot dello shampo, io guardo al risultato, avrà pensato qualcuno. Quindi qualsiasi Coop-sei-tu va benissimo, non c'è differenza sostanziale nei canali di vendita. A 'sti punti potrei dire evabbè, pace, ma invece no, non mi rappacifico.
Parliamo invece di un altro fatto divertente: giorni fa ero in giro per i miei consueti tour per territori selvaggi (Castagnole Lanze, nell'estremo Monferrato, quasi Langa) ad assaggiare cose prodotte da Gianni Doglia.
Dall'azienda ho avuto solo (solo si fa per dire, non è poco) belle conferme, e pure una sorpresa: assaggio un rosso a base merlot, due anni di botte piccola - un vino in controtendenza, potremmo dire, rispetto al culto del territorio e dell'autoctono. Ebbene, grande assaggio: vino assolutamente monferrino, perché assieme alla confortevole posa orizzontale del merlot associava la spinta verticale che non so imputare ad altro se non all'area di provenienza. Insomma il territorio che domina comunque l'uva non territoriale. Orizzontale e verticale, 'mazza che bella 'sta descrizione, ma quanto mi piace? (Chiaramente comprato al volo. In enoteca sta sotto i trenta euri, prezzo importante ma vino prodotto in 600, dicasi seicento, bottiglie).
Ripensando all'assaggio del merlottone orizzontale+verticale ricordo un descrittore olfattivo facile facile: tartufo. Caspita, dico, che nuance di tarfufo che esce dal bicchiere.
Ecco il note to self: prima o poi bisognerà dire che le descrizioni dei vini non possono essere per forza "mi piace-non mi piace", come ogni tanto qualcuno esce fuori a reclamare, provocando il mio sgomento. La semplificazione delle cose complesse, che è così rassicurante, ogni volta si rivela una discreta fregatura. Note to self: elencare le metafore collegate con l'apparente semplificazione, il gentismo, il populismo, l'uscita dall'Euro e i rettiliani.
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