Questo è un blog enoico. Il vino è un alimento totalmente diverso da qualsiasi altro: evolve, ha carattere ed è imprevedibile (come l'umanità, insomma). Per questo è interessante. E non è industriale.
mercoledì, gennaio 31, 2007
Stai parlando con me?
Ipse dixit: "... gruppo sociale e culturale che esiste anche in Italia, e che è del tutto sottorappresentato in ogni ambito: sono quelli che hanno tra i 25 e i 40 anni, curiosità per il mondo e i tempi e attenzione a quel che succede, cultura e privilegi per seguire molti interessi (su tutti l'attualità internazionale, la tecnologia, la musica, l'America, la cultura pop). Che hanno come modelli culturali i paesi anglosassoni e le loro modernità. Che non hanno nessuna rappresentanza politica e votano turandosi il naso, quando votano. Che non amano nessun giornale italiano (salvo Internazionale): al massimo li leggono, tollerandone le mediocrità. Che non si riconoscono nella programmazione da pensionati della gran parte delle reti generaliste ma nemmeno in quella da teenagers o da tiratardi-nei-centri-commerciali di Italia Uno. Che sono troppo vecchi o troppo colti per MTV. Che hanno un potere di consumatori e un'inclinazione al consumo del tutto attraenti per la pubblicità. Che privilegiano internet come fonte di informazioni, spettacoli, divertimento. La domanda è: lo fanno perché sono convinti che su internet ci sia tutto e che quello sia l'unico mezzo che conta, o perché non hanno alternativa, in Italia? Io chiedo in giro: la seconda, mi dicono".
domenica, gennaio 28, 2007
Figurati se questa me la facevo sfuggire
Via La Repubblica: "Mette Viagra nel vino del marito e gli causa infarto - Voleva movimentare un menage un po' spento e per questo, all'insaputa del marito divenuto troppo pantofolaio e poco attivo nella sfera sessuale, ha sciolto due pasticche di Viagra nella caraffa del vino. L'uomo tra un pasto e l'altro ha bevuto il miscuglio ed all'improvviso e' divenuto cianotico".
Insomma, da queste parti ci diamo daffare perche' non vi facciano trangugiare trucioli, e poi combinate simili intrugli a casa? Il fine era certamente nobile, non si discute, ma se la tipa fosse stata una seria wine lover non avrebbe mai inquinato l'amato nettare.
Comunque, l'avvelenato per amore, pare, si sta riprendendo, ma "i medici gli hanno consigliato riposo assoluto per mesi".
Nel frattempo, il mio consiglio non richiesto per la passionale avvelenatrice e' il seguente: lasci perdere la chimica, e curi la lingerie.
sabato, gennaio 27, 2007
Impossibile resistere
Da quando Antonio Tombolini ha scritto, prima qui e poi qui, della vicenda Eataly.it & Slow Food, ripreso successivamente, qui, da Stefano Bonilli, ho frenato il desiderio di scrivere a mia volta qualcosa; perche' sarebbe stato fatalmente troppo lungo, troppo verboso, ed io amo i post brevi e scattanti. Il mio punto di vista avrebbe dovuto inevitabilmente parlare della funzione del commerciante al dettaglio, anno domini 2007, con tutti gli sbrodolamenti autoreferenziali del caso; ho resistito finche' ho potuto, ma come vedete, alla fine ecco il cedimento: impossibile resistere.
Dice: non giudicare questa cosa, siccome nemmeno e' partita, e cribbio, almeno aspetta di vedere com'e'.
Ma certo. Il punto e' che a me della cosa non ne cale alcunche'. Io comincio ad averne abbastanza, anzi, meglio, io vado ormai in acido, ogni volta che leggo certe parole. Le parole che dovrebbero servire a dirci le cose e invece sono piegate agli usi e agli abusi piu' squallidi. Per una volta non ce l'ho con la mineralita', il territorio; la parola del giorno e' sostenibilita'.
Eh si, perche' l'ennesimo, non ultimo, tentativo di far passare un rutilante (lèggasi orrido) ipermercato come un benefattore dell'umanita' e' che questo e' sostenibile. Passi che abbia l'imprimatur di Slow Food, passi che Slow Food doveva stare fuori da logiche commerciali, ma invece ciccia. Quello che non va giu' e' che lorsignori applicheranno prezzi sostenibili, mentre il restante mondo bottegaio permane insostenibile. Se poi i prezzi sostenibili si ottengono nel modo indicato da Claudio Sacco in questo commento, eh be', che sara' mai.
Ebbene, lorsignori hanno re-inventato la GDO. Che dire? Tra i cool linx da sempre elencati in questo blog, qua in basso a destra, c'e' La Grossa Distribuzione, un pezzo storico che dice, con anni di anticipo su questi fatterelli, tutto quello che c'era da dire in proposito.
La qualita' per le masse. Possibile mai che ci si caschi ancora, in questa illusione? Come ho gia' avuto modo di dire, esistono produzioni fisiologicamente limitate nei numeri. Se hai cinque ettari di vigna, puoi star certo che da quella vigna escono poche migliaia di bottiglie. Dire questo non e' snobismo, e neppure elitarismo; i meccanismi della natura sono questi, punto. Anche qui, mi preme focalizzare altro: il gigantismo.
Il gigantismo della distribuzione, della produzione, e dei fatturati (figuriamoci, dobbiamo puntare al massimo, sempre e comunque); questo gigantismo genera i centri commerciali, ha definitivamente cambiato le citta' e ci illude di chissa' che progresso, ed e' male. E' il responsabile di sconvolgimenti ecologici, di spersonalizzazione e alienazione nei rapporti interumani; e ci viene gabellato come la panacea di ogni male. Non e' un caso che il linguaggio adottato da queste strutture sia, ora e sempre, il linguaggio vacuo, demenziale, degli slogan pubblicitari; il claim di questo ennesimo (e non ultimo, ripeto) supermarket (Eataly.it) e' "gestire il limite", che e' una cosa lunare, siccome identifica esattamente la contraddizione in termini dell'altro slogan "la qualita' per tutti". Cosi' gestire il limite si svuota di ogni contenuto, e allora tanto valeva usare qualsiasi altro roboante proposito, che so, "verso l'infinito, ed oltre"!
Comunque, e' un fatto, il gigantismo e' la norma, e il suo superamento probabilmente e' pura utopia. Per come la vedo io, con il gigantismo (e le sue improbabili promesse) si puo' pure convivere. Si puo' continuare a girare per gli scaffali di un supermercato e ascoltare una irritante voce amplificata che mi ricorda "la Coop sei tu"; e' incontrovertibile che la Coop non sia io, ma pazienza, dobbiamo farcela andare bene. Resta il fatto che nessuno di noi si rivolge al suo prossimo con frasi demenziali del tipo "ciao, sono Fiorenzo, e gestisco il limite". Nessuno si riempie la bocca di termini fuffosi, pena essere spernacchiati dagli astanti. Pero' questo tipo di comunicazione (per le masse) si concede il lusso di usare, sempre, questo insopportabile linguaggio privo di senso comune. Devo dire che mi va bene? Non lo diro'.
Arrivati a questo punto dello sbrodolamento, bisogna per forza di cose essere propositivi. Esistono alternative? E soprattutto: che alternative si propone alla distribuzione massificata? Che ruolo potra' mai avere, alternativamente e residuamente, il vecchio bottegaio?
La risposta a queste domande sara', per forza, bignamesca. Non posso rischiare che il lettore di questo blog stramazzi sulla tastiera.
Se la domanda del consumatore-tipo e' "dove si puo' acquistare il vino di qualità", ebbene, la risposta e' facile: "dal produttore".
Avete capito bene. Non ho detto "in enoteca"; nemmeno nell'autogrill, in farmacia, nemmeno in piazza al mercato; e non parlo di Internet, solo perche' altri ne hanno gia' parlato, meglio di me. Esistono prodotti per i quali la disintermediazione e' cosa fatta, quindi il mio consiglio e': approfittatene. Lo stesso prodotto, se comprato da me, costera' di piu'; vi potra' costare anche il 40%-50% in piu' rispetto al costo di origine. Tuttavia non abbiatene a male, accade cosi' per ogni prodotto che consumate (consumiamo; pure io, come voi, sono un consumatore). Sfortunatamente, non per ogni prodotto e' possibile disintermediare (non ancora, diciamo) quindi, ribadisco: approfittatene, e comprate direttamente.
Se non riuscite a comprare direttamente, esistono altre vie per approvvigionarsi a prezzi interessanti: i grossisti (che di fatto vendono pure al dettaglio, e per come la vedo io fanno bene) - e ancora, i rappresentanti, gli intermediari (idem come sopra). In ultima istanza, esistono pure le enoteche.
A questo punto e' giusto chiedersi: e a che diamine serve, allora, un enotecaro? Risposta: serve a raccontarvi qualcosa. Serve a cercare qualcosa di nuovo, insolito, speciale, artigianale, qualcosa che magari ancora non consideravate, e ve lo racconta. E ancora: serve a tutti quelli che non hanno tempo, o voglia, di disintermediare. Serve a tutti quelli che ancora non hanno imparato a disintermediare (e sono tanti). Non sempre ci riesce, e non costantemente, ma in via generale e' cosi' che lavora. Insomma, non e' del tutto inutile.
A questo punto bisogna precisare un dettaglio. Contrariamente a quanto potrebbe apparire, io non sono ideologicamente contrario alla GDO, ai supermercati, alle varie la-Coop-sei-tu. Vedete, io credo che ci sia posto per tutti. Diro' di piu': io auguro, a lorsignori di Eataly.it et similia, ogni successo. Auguro loro di fare i miliardi, di trionfare (e magari di gestire davvero il limite).
Poi, pero', auguro qualcosa pure a me (e a quelli come me). Auguro di sopravvivere, di avere il diritto di esistere; si, perche' il gigantismo di cui sopra non contempla, non piu', l'esistenza di noi che facciamo un lavoro antico (non proprio il piu' antico, ma quasi). Cioe' il lavoro di chi cerca qualcosa di convincente e di valido, lo compra, e lo rivende. Facile, no? Eppure noi siamo sempre meno, stiamo sparendo -- e abbiamo le nostre colpe, certo, ma abbiamo, credo, pure il diritto di provarci. E abbiamo il diritto di non sentirci dire che tutto questo sia insostenibile.
Dice: non giudicare questa cosa, siccome nemmeno e' partita, e cribbio, almeno aspetta di vedere com'e'.
Ma certo. Il punto e' che a me della cosa non ne cale alcunche'. Io comincio ad averne abbastanza, anzi, meglio, io vado ormai in acido, ogni volta che leggo certe parole. Le parole che dovrebbero servire a dirci le cose e invece sono piegate agli usi e agli abusi piu' squallidi. Per una volta non ce l'ho con la mineralita', il territorio; la parola del giorno e' sostenibilita'.
Eh si, perche' l'ennesimo, non ultimo, tentativo di far passare un rutilante (lèggasi orrido) ipermercato come un benefattore dell'umanita' e' che questo e' sostenibile. Passi che abbia l'imprimatur di Slow Food, passi che Slow Food doveva stare fuori da logiche commerciali, ma invece ciccia. Quello che non va giu' e' che lorsignori applicheranno prezzi sostenibili, mentre il restante mondo bottegaio permane insostenibile. Se poi i prezzi sostenibili si ottengono nel modo indicato da Claudio Sacco in questo commento, eh be', che sara' mai.
Ebbene, lorsignori hanno re-inventato la GDO. Che dire? Tra i cool linx da sempre elencati in questo blog, qua in basso a destra, c'e' La Grossa Distribuzione, un pezzo storico che dice, con anni di anticipo su questi fatterelli, tutto quello che c'era da dire in proposito.
La qualita' per le masse. Possibile mai che ci si caschi ancora, in questa illusione? Come ho gia' avuto modo di dire, esistono produzioni fisiologicamente limitate nei numeri. Se hai cinque ettari di vigna, puoi star certo che da quella vigna escono poche migliaia di bottiglie. Dire questo non e' snobismo, e neppure elitarismo; i meccanismi della natura sono questi, punto. Anche qui, mi preme focalizzare altro: il gigantismo.
Il gigantismo della distribuzione, della produzione, e dei fatturati (figuriamoci, dobbiamo puntare al massimo, sempre e comunque); questo gigantismo genera i centri commerciali, ha definitivamente cambiato le citta' e ci illude di chissa' che progresso, ed e' male. E' il responsabile di sconvolgimenti ecologici, di spersonalizzazione e alienazione nei rapporti interumani; e ci viene gabellato come la panacea di ogni male. Non e' un caso che il linguaggio adottato da queste strutture sia, ora e sempre, il linguaggio vacuo, demenziale, degli slogan pubblicitari; il claim di questo ennesimo (e non ultimo, ripeto) supermarket (Eataly.it) e' "gestire il limite", che e' una cosa lunare, siccome identifica esattamente la contraddizione in termini dell'altro slogan "la qualita' per tutti". Cosi' gestire il limite si svuota di ogni contenuto, e allora tanto valeva usare qualsiasi altro roboante proposito, che so, "verso l'infinito, ed oltre"!
Comunque, e' un fatto, il gigantismo e' la norma, e il suo superamento probabilmente e' pura utopia. Per come la vedo io, con il gigantismo (e le sue improbabili promesse) si puo' pure convivere. Si puo' continuare a girare per gli scaffali di un supermercato e ascoltare una irritante voce amplificata che mi ricorda "la Coop sei tu"; e' incontrovertibile che la Coop non sia io, ma pazienza, dobbiamo farcela andare bene. Resta il fatto che nessuno di noi si rivolge al suo prossimo con frasi demenziali del tipo "ciao, sono Fiorenzo, e gestisco il limite". Nessuno si riempie la bocca di termini fuffosi, pena essere spernacchiati dagli astanti. Pero' questo tipo di comunicazione (per le masse) si concede il lusso di usare, sempre, questo insopportabile linguaggio privo di senso comune. Devo dire che mi va bene? Non lo diro'.
Arrivati a questo punto dello sbrodolamento, bisogna per forza di cose essere propositivi. Esistono alternative? E soprattutto: che alternative si propone alla distribuzione massificata? Che ruolo potra' mai avere, alternativamente e residuamente, il vecchio bottegaio?
La risposta a queste domande sara', per forza, bignamesca. Non posso rischiare che il lettore di questo blog stramazzi sulla tastiera.
Se la domanda del consumatore-tipo e' "dove si puo' acquistare il vino di qualità", ebbene, la risposta e' facile: "dal produttore".
Avete capito bene. Non ho detto "in enoteca"; nemmeno nell'autogrill, in farmacia, nemmeno in piazza al mercato; e non parlo di Internet, solo perche' altri ne hanno gia' parlato, meglio di me. Esistono prodotti per i quali la disintermediazione e' cosa fatta, quindi il mio consiglio e': approfittatene. Lo stesso prodotto, se comprato da me, costera' di piu'; vi potra' costare anche il 40%-50% in piu' rispetto al costo di origine. Tuttavia non abbiatene a male, accade cosi' per ogni prodotto che consumate (consumiamo; pure io, come voi, sono un consumatore). Sfortunatamente, non per ogni prodotto e' possibile disintermediare (non ancora, diciamo) quindi, ribadisco: approfittatene, e comprate direttamente.
Se non riuscite a comprare direttamente, esistono altre vie per approvvigionarsi a prezzi interessanti: i grossisti (che di fatto vendono pure al dettaglio, e per come la vedo io fanno bene) - e ancora, i rappresentanti, gli intermediari (idem come sopra). In ultima istanza, esistono pure le enoteche.
A questo punto e' giusto chiedersi: e a che diamine serve, allora, un enotecaro? Risposta: serve a raccontarvi qualcosa. Serve a cercare qualcosa di nuovo, insolito, speciale, artigianale, qualcosa che magari ancora non consideravate, e ve lo racconta. E ancora: serve a tutti quelli che non hanno tempo, o voglia, di disintermediare. Serve a tutti quelli che ancora non hanno imparato a disintermediare (e sono tanti). Non sempre ci riesce, e non costantemente, ma in via generale e' cosi' che lavora. Insomma, non e' del tutto inutile.
A questo punto bisogna precisare un dettaglio. Contrariamente a quanto potrebbe apparire, io non sono ideologicamente contrario alla GDO, ai supermercati, alle varie la-Coop-sei-tu. Vedete, io credo che ci sia posto per tutti. Diro' di piu': io auguro, a lorsignori di Eataly.it et similia, ogni successo. Auguro loro di fare i miliardi, di trionfare (e magari di gestire davvero il limite).
Poi, pero', auguro qualcosa pure a me (e a quelli come me). Auguro di sopravvivere, di avere il diritto di esistere; si, perche' il gigantismo di cui sopra non contempla, non piu', l'esistenza di noi che facciamo un lavoro antico (non proprio il piu' antico, ma quasi). Cioe' il lavoro di chi cerca qualcosa di convincente e di valido, lo compra, e lo rivende. Facile, no? Eppure noi siamo sempre meno, stiamo sparendo -- e abbiamo le nostre colpe, certo, ma abbiamo, credo, pure il diritto di provarci. E abbiamo il diritto di non sentirci dire che tutto questo sia insostenibile.
venerdì, gennaio 26, 2007
Il fatturato innanzitutto
Dice che Teri Hatcher (Desperate Housewives) preferisce versare un bicchiere di vino nella vasca da bagno (vinoterapia, fa bene alla pelle, robe cosi') piuttosto che berlo. Non saprei dire se cio' sia bene o male; d'accordo, e' pure questo un modo di vendere il vino, pero'... naah, meglio l'uso solito.
mercoledì, gennaio 24, 2007
Che ci fate qui?
martedì, gennaio 23, 2007
Ne voglio uno anch'io. Anzi no
Per chiudere le mie bottiglie smezzate, e prevenire l'ossidazione, uso da sempre il vacu-vin, semplice tappo di gomma attraverso il quale, mediante pratica pompetta, si estrae l'aria dalla bottiglia lasciata a meta'; ha buone rese pure sui tempi lunghissimi, tipo due-tre settimane.
Oggi leggo del sistema Epicurean, che e' sostanzialmente un vacu-vin con pompetta elettrica, e spia rossa che s'accende quando si e' ottenuto il vuoto. A guardare il filmato di presentazione viene voglia di averne uno. Poi, vedo il prezzo: "with a 6-foot-long cord, 12-volt plug adapter and two wine stoppers, it runs about $60".
Ripensandoci, meglio il caro vecchio vacuvin a mano.
domenica, gennaio 21, 2007
Avanzi domenicali (ritagli e frattaglie di post inutilizzati) #6
E basta con 'sto Nero d'Avola!
In enoteca la vendita del Nero d'Avola incontra qualche difficolta'; si tratta di un vino definitivamente troppo deja-vu, che inflaziona ogni wine bar improvvisato; il quale (winebar) si improvvisa tale solo perche' sbicchiera un Nero d'Avola da un euro al calice. Il consumatore non enobanale squadra male l'enotecaro che propone Nero d'Avola, ed al massimo questo vino riscuote qualche successo presso utenze marginali (esempio, la consumatrice poco piu' che ventenne, fashion victim, appena approdata al mondo del vino di qualita'; roba da temere che pure Cioè, il settimanale, abbia una rubrica sui vini). Insomma, in totale controtendenza, ho un adolescenziale innamoramento per questo Nero d'Avola; al punto che mi dilungo in verbose e poetiche descrizioni del suo corredo aromatico, fitto di more selvatiche. Ingenerando perplessita' in molti clienti, ma ottenendo grande successo tra le ventenni fashion victim. Il che non e' poi malissimo.
Chiacchiere da ascensore.
A volte temo che la discussione sui trucioli stia diventando una chiacchiera da ascensore per enofili: "hai visto? Adesso propongono niente trucioli neppure per gli Igt" -- "terzo piano, per me, grazie". Per ora i lieviti non corrono ancora questo rischio, e comunque per i lieviti servono ascensori di buona percorrenza, tipo grattacieli; pure se questa cosa dei lieviti transgenici si presterebbe bene. In attesa dei trucioli transgenici, ed allora saremo a posto.
giovedì, gennaio 18, 2007
Caldo, eh?/2
Ancora a proposito di riscaldamento globale e sovvertimenti climatici: niente eiswein piacentino, quest'anno; l'azienda vinicola Croci ha dovuto rinunciare alla produzione, viste le temperature assai poco invernali.
Tempi duri per i portali
Che seccatura: hanno chiuso d'imperio il portale sulle droghe leggere, psicoattivo.it.
In compenso, il mai abbastanza esecrato portale italiano del turismo, Italia.it, ancora non apre. Sfortunatamente, il problema non sembra essere competenza della Polizia Postale.
martedì, gennaio 16, 2007
Fialette?
Bei tempi andati, le scuole elementari, e gli scherzi terribili, tipo gettare fialette puzzolenti nelle classi femminili (poi si cresce, e si cambiano le prospettive).
Ma forse quei tempi tornano; almeno in parte. Nel Regno Unito, pare, hanno rilevato che i tappi a vite per il vino, gia' considerati in via definitiva la chiusura ideale, ingenerano un noioso difetto: il vino puzza in modo terribile, tipo uova marce. Appena hai una certezza, arriva qualcosa che ti ridimensiona.
[Qualche altro link: The Herald, Daily Record]
domenica, gennaio 14, 2007
Avanzi domenicali (ritagli e frattaglie di post inutilizzati) #5
L'etichetta innanzitutto.
Se siete produttori, e il vostro cruccio e' trovare l'etichetta giusta (magari gratis, che non guasta) approfittate dell'offerta di Francesco: ci pensa lui. Oppure fate come lui (che pero' regala sei bottiglie, in cambio).
I food blog ti salvano la vita.
Qualche buon motivo per imparare nuove ricette? Eccolo: "Cucina solo pasta, marito la uccide". Aggiunge pure: "non si interessava a me". Eh, ma allora ha ragione lui, che si invochino tutte le attenuanti!
Slow Silvio.
Se vi siete persi questo zuccherino, andate e leggete tutto per bene. Poi tornate.
Tornati qui? Bravi. Carina la risposta di mr. slow, vero? In sostanza esistono svariate societa' Slow Food: c'e' Slow nr. 1, Slow nr. 2, poi magari Slow nr. 3, Slow nr. eccetera. Ehi, chi vi ricorda?
No, vabbe', io voglio troppo bene a Slow Food, che mi possono pure usare come loro zerbino. Davvero. Ma questa storia e' indigeribile.
Se siete produttori, e il vostro cruccio e' trovare l'etichetta giusta (magari gratis, che non guasta) approfittate dell'offerta di Francesco: ci pensa lui. Oppure fate come lui (che pero' regala sei bottiglie, in cambio).
I food blog ti salvano la vita.
Qualche buon motivo per imparare nuove ricette? Eccolo: "Cucina solo pasta, marito la uccide". Aggiunge pure: "non si interessava a me". Eh, ma allora ha ragione lui, che si invochino tutte le attenuanti!
Slow Silvio.
Se vi siete persi questo zuccherino, andate e leggete tutto per bene. Poi tornate.
Tornati qui? Bravi. Carina la risposta di mr. slow, vero? In sostanza esistono svariate societa' Slow Food: c'e' Slow nr. 1, Slow nr. 2, poi magari Slow nr. 3, Slow nr. eccetera. Ehi, chi vi ricorda?
No, vabbe', io voglio troppo bene a Slow Food, che mi possono pure usare come loro zerbino. Davvero. Ma questa storia e' indigeribile.
sabato, gennaio 13, 2007
Indovina il prezzo
Domanda: quanto costano 135 bottiglie di Chateau d'Yquem? Risposta: un milione e mezzo di dollari. Che fa la bella media di undicimila dollari la bottiglia. Certo, annate risalenti: la collezione copre tre secoli, dal 1860 al 2003. Il prezzo e' giusto.
venerdì, gennaio 12, 2007
Caldo, eh?
Cosa fermera' il rullo compressore dell'export vinicolo australiano? Non sara' l'abuso dei trucioli; e nemmeno la rivincita dei vitigni autoctoni. Pare che dovranno fare i conti, piuttosto, col riscaldamento globale: "Australian wine has become a major export over recent years, yet the end could be near, due to global warming".
Solo che c'e' poco da stare allegri; mentre da quelle parti si parla gia' di spostare le colture in aree piu' fresche, qui si nicchia. Benche' la questione sia, appunto, globale.
martedì, gennaio 09, 2007
L'eccesso cartaceo
Se questo fosse un mondo perfetto, i miei amati produttori vinicoli eviterebbero di spendere capitali in presentazioni cartacee del loro lavoro (vulgo depliant). Non ho ancora completamente metabolizzato la notizia di una piccola cantina cooperativa che ha speso circa trentamila euro in carta patinata: la cifra mi sembra lunare, e pure se proviene da un loro dir. comm.le, mi lascia incredulo. Certo e' che io sono ignaro di queste dinamiche comunicative. Ed e' altrettanto certo (parlo sempre per me) che questo genere di massa cartacea finisce per accumularsi, intonso, in ufficio, mancando cosi' il suo obbiettivo di "comunicare" qualchecosa; al punto che, quando il produttore mi dice "ti lascio la brochure con le schede, le foto delle etichette, la mappa della cantina, il paginone centrale delle barrique" cerco sempre di scoraggiarlo, sperando di far leva su un argomento sensibile: "risparmia i soldi del depliant, non mi serve"; ma sembra che questo argomento vada bene solo per i genovesi. Di fatto, sulla scrivania si accumulano le cartelline policrome e rutilanti di troppe aziende; quando la pila ha raggiunto un livello considerevole, finisce nel contenitore per la raccolta differenziata.
Ma da tempo faccio pure di peggio; di fronte al produttore che mi copre di carta patinata, mi limito a dire: lascia stare, quello che mi serve lo trovo sul tuo sito; perche' ce l'hai, il sito, si?
Ecco una domanda che, anno di grazia 2007, riesce a mandare in acido piu' di un vignaiolo. Sulla qualita' delle presentazioni online di molti produttori ci sarebbe di che scrivere post per anni; ci starebbe bene una sezione apposita; ovviamente, ci sono quelli ben fatti: sono una minoranza all'interno di un'altra minoranza. Inutile indagare sui perche', di fatto il famoso digital divide si vede qui, nell'incapacita' di utilizzare la rete come strumento ideale di comunicazione (incapacita' che e' pure strutturale, sia chiaro, non e' solo mancanza di competenze).
Viene pure il sospetto che l'uso di internet renda meno utilizzabile un elemento comunicativo trionfante all'interno dell'obsoleto depliant, cioe' il linguaggio tipico della pubblicita': la famigerata comunicazione unidirezionale, che sarebbe pure tollerabile; assai meno tollerabile e', ormai, l'uso di vuote formule sul genere "piu' bianco del bianco" che sono la quintessenza dei roboanti slogan da depliant; l'alternativa sarebbe smettere con un sistema di comunicazione pubblicitaria basato sull'iperbole; questa, nella miglior parte dei casi, e' un fanfaronesco sistema per celare, essenzialmente, l'intento di raccontar fandonie; inutile dire quanto sia irritante la percezione di un tale genere di messaggio.
Se questo fosse un mondo perfetto ci dovremmo tutti lasciare alle spalle queste formule comunicative, una volta per sempre.
Ma da tempo faccio pure di peggio; di fronte al produttore che mi copre di carta patinata, mi limito a dire: lascia stare, quello che mi serve lo trovo sul tuo sito; perche' ce l'hai, il sito, si?
Ecco una domanda che, anno di grazia 2007, riesce a mandare in acido piu' di un vignaiolo. Sulla qualita' delle presentazioni online di molti produttori ci sarebbe di che scrivere post per anni; ci starebbe bene una sezione apposita; ovviamente, ci sono quelli ben fatti: sono una minoranza all'interno di un'altra minoranza. Inutile indagare sui perche', di fatto il famoso digital divide si vede qui, nell'incapacita' di utilizzare la rete come strumento ideale di comunicazione (incapacita' che e' pure strutturale, sia chiaro, non e' solo mancanza di competenze).
Viene pure il sospetto che l'uso di internet renda meno utilizzabile un elemento comunicativo trionfante all'interno dell'obsoleto depliant, cioe' il linguaggio tipico della pubblicita': la famigerata comunicazione unidirezionale, che sarebbe pure tollerabile; assai meno tollerabile e', ormai, l'uso di vuote formule sul genere "piu' bianco del bianco" che sono la quintessenza dei roboanti slogan da depliant; l'alternativa sarebbe smettere con un sistema di comunicazione pubblicitaria basato sull'iperbole; questa, nella miglior parte dei casi, e' un fanfaronesco sistema per celare, essenzialmente, l'intento di raccontar fandonie; inutile dire quanto sia irritante la percezione di un tale genere di messaggio.
Se questo fosse un mondo perfetto ci dovremmo tutti lasciare alle spalle queste formule comunicative, una volta per sempre.
sabato, gennaio 06, 2007
Tal dei Tai
E cosi' ci sono riusciti, il Tocai in Veneto avra' un altro nome, Tai. L'anno e' appena iniziato, ma questa si candida ad essere una delle cinque notizie meno folgoranti dell'italico enomondo, per il 2007. Che persino il calendario delle produttrici di Tocai, cioe' Tai, sembra piu' interessante.
giovedì, gennaio 04, 2007
Un vino dell'altro mondo
Qualche giorno fa ho avuto il piacere di fare un nuovo cliente, il locale convento dei frati francescani. Fare nuovi clienti e' sempre una gran cosa; se vestono il saio dei francescani, per molti motivi, mi rallegra pure di piu'.
Certo e' che le vie della disintermediazione sono infinite. Per un convento che si rifornisce in enoteca, succede che in California una diocesi decida di impiantare un bel vigneto, per autoprodurre il vino per la Messa. Dove? beh, nel cimitero, naturalmente; avevano giusto qualche acro disponibile.
Nell'articolo non manca qualche amenita': per esempio, dove si fa riferimento all'inesperienza degli addetti cimiteriali circa la coltivazione della vitis vinifera; "siamo solo capaci a bere", pare abbiano detto. Poi merita una menzione la scelta dei vitigni: Pinot Nero, niente Merlot, "il mercato e' allagato di Merlot". Deve essere ancora l'effetto Sideways.
martedì, gennaio 02, 2007
Typos
Si dice spesso che una marca sta cadendo in disgrazia quando il suo nome smette di essere pronunciato correttamente, ma viene storpiato in ogni modo. Non so quanto questo possa essere vero; di fatto, un brand come Veuve Cliquot, da tempo, viene evocato coi fonemi piu' fantasiosi: viu' clico', clicotte, vu' chico'; i piu' sgamati si levano d'impiccio chiedendo la vedova, ma non e' mancato chi mi abbia chiesto la vedova nera, versione entomologica della decaduta griffe. Stamattina, scorrendo i termini inseriti nel form di ricerca di questo blog (ti saluto, privacy), trionfa un correttissimo Veuve, seguito da uno sciagurato Clichuot.
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