Questo post doveva essere scritto ad ottobre o novembre, ma è rimasto appiccicato alla tastiera ed esce adesso; parla di Champagne, ed avrei fatto meglio ad editarlo prima di Capodanno, per essere minimamente corporate, visto che parla dello Champagne ultimamente importato (Voirin-Jumel). Eh sì, perché qui non ci accontentiamo mai, e ce la tiriamo pure da importatori. Anche solo per la libidine di rispondere, al cliente che domanda "scusi, qui avete Champagne?" - "Mah, veramente, io lo Champagne lo importo". E invece il post esce ora, in doppia controtendenza vista la deflazione, la stagflazione, e il conseguente crollo della Civiltà Occidentale. Ma
ari-citerò Napoleone: lo Champagne ti premia nel trionfo e ti consola nella sconfitta.
Voirin-Jumel è un récoltant, cioè uno di quei produttori che vinifica esclusivamente uve di proprietà; ha 11 ettari in area particolarmente vocata, è una maison familiare, sono pure simpatici; in definitiva soddisfa molti dei prerequisiti che
amo (scusate, ma ultimamente indulgo in un delirio autocitazionista). Tra le proposte aziendali ho selezionato il
Brut 1er Cru ed il
Millesime 2004. Sono due cuvée notevolmente differenti tra di loro: e difatti sono molto diversi i motivi che mi entusiasmano, a riguardo.
Partiamo dal Brut 1er Cru: si tratta di un vino meno ecumenico e piacione rispetto agli standard che ho proposto ultimamente; al naso annuncia un attacco salino/minerale di carattere, ha spessore, non ammicca in nessun modo. In bocca procede coerente, è affilato, si pianta sui bordi della lingua con qualche autorevolezza. Probabilmente non è per tutti, ma non è allineato, e soprattutto rifugge dalla aborrita banalità che credo sia uno dei peggiori difetti di qualsiasi vino. In questa fase, merita 86/100 (e costa 32 euri, in enoteca).
Il Millesime 2004 è, semplicemente, un altro mondo. Voirin ha profuso in questa cuvée uno sforzo insolito per un piccolo produttore francese: ha, cioè, curato la forma della bottiglia e dell'etichetta, pure in modo efficace; bella l'etichetta dorata, piccola, e bella la serigrafia sul vetro - mentre il Brut di cui sopra ha del tutto in spregio questo aspetto fatuo, quasi volesse dimostrare superiore distacco da tali garrule cose; e difatti esibisce con orgoglio l'orrenda etichetta aziendale. Il Millesime invece mira in alto; il naso ti spiazza quasi, la prima volta, tanto è concettuoso e fitto di frutta bianca e fiori, perfino sopra le righe; i toni butirrosi dello chardonnay sono sovrastati da una aromaticità quasi aliena; il dosaggio (cioè la pratica di ricolmatura dopo la sboccatura) deve essere stato generoso di zucchero, perché questa cuvée si allarga in bocca con lo smaccato desiderio di piacere ad ogni costo, magari deludendo l'utente smaliziato, ma accendendo d'entusiasmo il restante uditorio dei miei clienti (i feedback sono ottimi); del resto, cari colleghi enosnob, ricordatevi che noi siamo schiacciante minoranza. Il mondo attende di essere rieducato, come diceva Pol Pot. Comunque: il punteggio del secondo, per motivi diversissimi, è identico al primo: 86/100 (ma il prezzo è di 44 euri).
A questo punto è lecito chiedersi come mai vini sostanzialmente uguali sul piano del punteggio centesimale abbiano prezzi diversi. Verrebbe da rispondere: benvenuti nel mondo del vino di qualità, dove questa incongruenza è la norma, e non l'eccezione. Qui la differenza di prezzi è giustificabile essenzialmente in ragione della lavorazione più lunga, in termini di tempo, richiesta dal millesimato; la veste più elegante, inoltre, ha un suo costo; a questo proposito sono comprensibili le obiezioni di quanti potrebbero trovare irrilevante tale dettaglio estetico; ma gli stessi sarebbero sorpresi nel vedere quante clientesse impellicciate, in enoteca, mi hanno snobbato il Brut 1er Cru per colpa dell'etichetta: "con un'etichetta così non lo regalo certo al dottore" - e per me, una coltellata nel costato sarebbe stata meno dolorosa.