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Riemergo da due-tre giorni di febbrone inenarrabile; ho addirittura abbandonato la mia creatura (l'enoteca) per fare il fannullone, come direbbe qualcuno, cioè per curarmi a casa. Incredibile, Brunetta ha reso appetibile lo status del commerciante: puoi stare a casa se sei malato (e perdi qualche euro, come fossi un impiegato comunale) ma non te ne importa nulla della visita del medico fiscale: sei liberissimo di tracollare. Quindi, allegria.
Pochi giorni di blackout accumulano subito un corposo arretrato. Ho del tutto perso questo succulento dibattito sulla funzione (tra l'altro) dell'enotecaro, che vi consiglio di leggere; ho prodotto (oddio, termine un po' forte) unicamente questa bella pensata su Dissapore, e per il resto mi sono lagnato.
Ma tra tanti arretrati, devo subito eliminare un malefico sassolino nella scarpa. Cari produttori di vino, parliamo del Vinitaly. Ora, io mi sono infilato, da un bel po', in un curioso tunnel: spesso acquisto da produttori che non hanno rete vendita; quindi, col passare del tempo, le visite dei rappresentanti da me si sono rarefatte fino a diventare zero, perché tanto, nella loro immaginazione, io li aborro. E probabilmente li terrifico pure, boh. Di fatto, ora che si avvicina il Vinitaly, mi ritrovo (pure quest'anno) quasi senza biglietti per l'ingresso: e sapete perché? Perché voi, cari i miei produttori, fornite i biglietti solo ai rappresentanti! Basta, disintermediate, e mandateli direttamente a me. Anziché spammarmi, per dire, mai uno che mandi un biglietto aggratis. Poi dite dei genovesi, eh?
Dura la vita dell'enoblogger. In fiera non si entra in quanto blogger, e nemmeno in quanto commerciante; questa è la volta buona che, come forma di protesta, pago il biglietto.