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Il miglior post che io abbia mai scritto, nella mia lunga carriera di bloggarolo, non sta qui su Diario enotecario, ma alloggia sui server di Intravino, ed è
questo. Ora, io posso cercare molti modi per definire il senso di quanto sta scritto in quel post, ma gira e rigira non riesco a trovarne uno migliore: quel post è una gigantesca cazzata. E' una delle peggiori cazzate che si possano fare, cioè mettersi a correggere qualcun altro, e scoprire che il
qualcun altro aveva ragione, e tu invece torto: come vedete, mueller thurgau è perfettamente corretto.
Quel post è la quintessenza, è il più puro, cristallino distillato delle dinamiche virtuose riferite alle conversazioni in rete. E' la prova provata che scrivere idiozie su internet non ti concede scampo, se chi commenta liberamente può intervenire a ristabilire la verità; perché, com'è ovvio, la parte seria del post, in questo caso, sta solo nei commenti. L'errore contenuto nel post ha avuto un correttore eccezionale, Fabio Rizzari de
L'espresso (a proposito: grazie, Fabio) che ha
precisato, tra l'altro: "l’uso dei digrammi ae, oe, ue in luogo di ä, ë, ü, è considerato da sempre accettabile". Anche
Andrea, con le sue parentele tedesche, ha le sue buone
ragioni: "la mia metà di famiglia germanica conferma che MUELLER è dizione corretta come sempre quando non è tipograficamente possibile mettere l’umlaut - ma fiorenzo non si consulta con i germanisti in redazione…"
Il commento di gran lunga più interessante però è quello di
Vuggì, che (a parte qualche risentimento personale) focalizza il punto più importante: "quale sarebbe il proposito nel fare i maestrini dalla penna rossa? Trovare un giorno un lavoro vero e candidarsi per lavorare all’ANSA ? Torna a stupà i butiglun da quel bun. Và là".
Tutto vero. Questo commento serve a ricordare, a me e chiunque altro, che scrivere in rete non fornisce alcun privilegio, se non qualche minima credibilità smontabile in qualunque momento, non appena chi legge è in grado di dimostrare che sei in errore. Nello specifico, mi rammenta la mia essenza di bottegaio, cioè uno che nella sostanza compra e vende vino, con l'unico orgoglio che deriva dall'essere una delle tante rotelle di questo ingranaggio. E' il mio lavoro
vero, e quel commento mi ricorda cosa sono. Considerando cosa ho scritto nel
post precedente a questo che state leggendo, è un bel passo avanti.
Scrivere su un blog o da qualsiasi altra parte deve essere un costante esercizio di umiltà. Ogni volta che penso d'aver fatto chissacché, vado a prendere il mocio Vileda e lavo il pavimento, per tornare sulla terra. Pure ora, alla fine di questo post.