venerdì, dicembre 08, 2006

Tu chiamalo, se vuoi, Chianti

E fu vino dei blogger numero due. Si assaggia un Chianti hard (very hard) discount.
Chianti 2005 Ponte ai Massi, Euri 1,99. Imbottigliato da C.S.C. Soc. Coop. Agricola, a Madonnino in provincia di Grosseto. Prima annotazione: chi diamine sarebbe l'imbottigliatore? La scritta si trova in retroetichetta, a caratteri minuscoli, ed e' un fumosissimo acronimo dal quale si intuirebbe una cantina cooperativa (o sociale), che presumibilmente ha un nome ma che si guarda bene dal presentarsi; ti basti l'acronimo.

E' un po' come se io, declinando le mie generalita', mi presentassi come F.S. Enotcr. Ge.
Eh? Che ha detto?

In compenso il nome di fantasia, Ponte Ai Massi, e' sparato in etichetta bello grosso; ho una cattiva notizia, quasi certamente non esiste un ponte e nemmeno i massi, tràttasi di immaginifica panzana. Potevano scrivere pure, che so, Rocca Al Balzo, Torre al Giumbolo, Puffo al Prispolo, che tanto va tutto bene. Le panzane sono consentite, mentre la tracciabilita' e' una roba per pochi rompiscatole.
Sempre in retroetichetta, leggiamo: vitigni sangiovese e canaiolo - vino di corpo da non invecchiare (ma dai?) - vino indicato con arrosti e selvaggina. Nota: sul minuscolo tappo di sughero si legge: Vini di Qualita'. Ah, be', se lo dice il tappo...

Colore rosso rubino di buona intensita', tradisce una lievissima opalescenza all'unghia.
Naso che all'inizio apre con una irritante nota riduttiva, ma presto si autoelimina, per lasciare posto ad una fastidiosa nota di cantina sporca, un vinoso sgradevole che insiste senza nessun riconoscimento ne' fruttato, ne' floreale. E' paradossale la deprimente tenuita' del corredo aromatico, che si rivela un pregio, altrimenti veicolerebbe in maggior misura sensazioni sgradevoli.
In Bocca esibisce una mediocrita' francamente sconfortante, dominata com'e' dalla durezza acida amara, senza alcuna persistenza. E pure qui viene da pensare: menomale che non persiste.
Voto finale: 60/100

Considerazione accessorie (ma nemmeno poi troppo). Adesso vediamo se ci riesco io, a cacciarmi in un loop benaltrista.
Qui la questione, difatti, e' altra. Lo sappiamo gia': la denominazione di origine controllata serve solo a indicare l'origine del vino, non certo che il vino sia buono. Certo e' che il consumatore medio, a bottega, mi chiede un DOC pensando che sia meglio di un IGT ("che roba e' l'iggittì?") e comunque pensando che sia assai meglio di qualsiasi vino da tavola. E io, ogni volta, riattacco con la favola: "c'era una volta, tanto tempo fa, un vino che si chiamava Sassicaia...".
Poi ci sarebbe la nota incongruenza del DOCG: quella gi finale, che sta a dire "garantita", sembra messa lì apposta per risaltare il fatto che nella semplice DOC, ahem, manca la garanzia: "come, e questo, non me lo garantisce?". E via cosi'.
Ma appunto, tranquilli: dire DOCG non serve, neppure lui, a dire che e' buono. Come facciamo a qualificare in etichetta il livello di un vino? Il metodo ci sarebbe, i cugini francesi ce l'hanno spiegato da qualche secolo, basterebbe indicare il livello di cru (le parcelle dei vigneti migliori). Ma qui al massimo riusciamo a recepire la normativa che consente la rincorsa verso il basso (giuro che non evochero' l'innominabile) mentre ogni tentativo di qualificare il prodotto, pure in etichetta, e' semplicemente frustrato.
Correre a peggiorarci: si.
Cercare di qualificarci: hum, vediamo, il dottore e' fuori stanza, ripassi.
Eccolo qua il problema, alla fine. A che servono le commissioni di assaggio per concedere DOC e DOCG? Dal momento che queste sembrano puramente espressioni geografiche, tantovale lasciare l'incombenza delle attribuzioni al catasto.

Per tornare al vino in questione: che senso ha che una roba cosi' si chiami Chianti? A voler infierire, dal disciplinare del Chianti si legge: " I vini a denominazione di origine controllata e garantita “Chianti”, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche: [...] odore: intensamente vinoso, talvolta con profumo di mammola e con più pronunziato carattere di finezza nella fase di invecchiamento..."
Chissa' dove l'hanno sentita, la finezza e la mammola, qui.

7 commenti:

  1. Fiorenzo, io sono d'accordo con lo spirito che credo sia dietro a questo tuo articolo. Pero' non capisco se veramente sei meravigliato e indignato di fronte a questo tipo di commercializzazione del vino. L'hai dato un occhio agli "Esempi di etichettatura del vino", guida redatta dal Mipaf, per la precisione dall'Ispettorato Centrale Repressione Frodi? Non ha un URL suscettibile di citazione, ma si trova al sito del Mipaf (www.politicheagricole.it) sotto la sezione Documenti e Pubblicazioni. Mettendo come testo per la ricerca le parole "etichettatura vino" e selezionando Vitivinicolo dalla drop-down list di Argomento sotto Raffina la ricerca, si arriva a 10 documenti, il sesto dei quali e' il PDF di questo vademecum ai dos 'n' donts dell'etichettatura. Tu guarda li' e ti rendi conto di quello che la legge non solo consente, ma richiede. Poi sappimi ridire che ne pensi.
    Il discorso su come bisognerebbe che funzionassero le DOCG/DOC (fra l'altro ho pensato esattamente la stessa cosa che hai detto in questi giorni.La G di DOCG comunica esattamente questo al consumatore tipo-nordeuropeo: i soliti bloody wops imbroglioni, evidentemente con la DOC "controllano", si', ma quanto all'esito dei controlli lasciamo stare, tant'e' che non riescono a "garantire". Un autogoal clamoroso che solo i cretini italici che hanno cosi' strutturato il sistema italiano dei vqprd potevano concepire), dicevo il discorso dell'ideale certificazione d'origine e' troppo interessante, e non sara' mai discusso abbastanza.

    RispondiElimina
  2. Filippo, direi che la questione ruota attorno al fatto che si immetta sul mercato un DOCG a prezzi non comprensibili. Per poi scoprire che il vino e' a livelli davvero deprimenti. Ma si chiama Chianti, esattamente come un Chianti serio. Ragionando da consumatore (quale sono) forse c'e' un po' di posto per l'indignazione (piccola, dai), ma nessuna sorpresa.
    Ho trovato il pdf che dici, visibile qui, ed effettivamente si conferma che l'etichetta fornisce molti dati tutti neutri, nessuna qualifica relativa alla "bontà". Anche se, credi, il pensiero comune ritiene vera l'equazione "DOC uguale buono".

    RispondiElimina
  3. Intanto provvedo a toglierti una curiosità: dai dati che citi credo che l'imbottigliatore siano "Le Chiantigiane", una cooperativa credo, che ha acquistato una struttura piuttosto grossa sull'Aurelia a pochi km da Grosseto qualche anno fa. Tra l'altro si sono distinti, si fa per dire, per un ricorso avverso alla DOCG Morellino di Scansano, contro l'imbottigliamento obbligatorio nella zona di origine (dalla quale sono fuori). Senza questo ricorso, va detto del tutto lecito anche se discutibile, il Morellino avrebbe avuto la "G" da questa vendemmia. Il ricorso poi è stato rigettato, e quindi il vino sarà DOCG l'anno prossimo. Anche se le deroghe, anche sine die, all'imbottigliamento in zona sono già ammesse per legge (per questo dicevo che era discutibile perché se lo facevano prima lo potranno fare pure dopo).
    Per quanto riguarda la seconda parte della tua domanda, a che servono le commissioni di assaggio delle CCIAA sulle DOC? Per me a poco o nulla, salvo a volte a creare problemi a chi lavora bene e far passare invece vini come quelli di cui all'oggetto.

    RispondiElimina
  4. Sottoscrivo in pieno il pensiero di Gianpaolo sulle commissioni DOC, questi vini ne sono la dimostrazione evidente.

    RispondiElimina
  5. hai ragione da vendere quando dici che purtoppo per l'italiano medio l'equazione DOC=buono e' realta'.

    anche io nel mio piccolo, prima di essere da te istruito... (corso degustazione vino di qualita') quasi la pensavo cosi... ora so benissimo che e' purtoppo una mera indicazione territoriale...

    per la questione dei cru alla francese, sarebbe interessante se pero' gli italiani la ripettassero... (purtoppo credo che ci sarebbe qualcuno che barerebbe...), ad ogni modo anche in francia penso che qualcosina forse forse possa sfuggire... domenica scorsa ero di ritorno da pittsburgh e all'aereoporto di parigi ho visto una bottiglia di pommerol grand cru a 24 euri.. del 2003 (sull'ano dovrei verificare la bottiglia)... mi sembra un po strano, il Petrus credo costi un po' di piu'... comunque l'ho comprata... e appena torno da questa altra trasferta alle canarie glie tiro il collo cercando di capire se era realmente un gran cru od era un errore di stampa.

    RispondiElimina
  6. @Max: non so che Pomerol possa essere stato, ma vedi bene che 24 euri e' assai distante da 2...

    RispondiElimina
  7. Basta con queste c..zzate..costa pochissimo.. è un chianti..se voglio il miglior chianti spendo 30 euro.se voglio il peggiore..ne spendo 3..io ho provato il 2014 riserva..la cacca e il sapore di cantina sporca (Brett..per i puristi come te)..non l' ho sentito.mentre ho sentito le note tipiche.durano 3 secondi.. è vero..ma costa 3 euro..magari un neofita la prossima volta lo apprezza..e compra qualcosa di meglio.con rispetto..ma non con condivisione.

    RispondiElimina