giovedì, ottobre 04, 2007

Bere Barolo

Il caldo africano dell'estate 2003 condiziona i Barolo di quell'annata ora sul mercato; la vendemmia ha dato uva supermatura e con poca acidita', sbilanciando il vino a favore della sfericita', cioe' a dire morbidezza e frutto, senza punte di durezza, ovvero di acidita', che servono ad armonizzare e rendere complesso, stratificato (e pure piu' longevo) il prodotto di tanti fattori. Per farla breve: questi vini sono morbidi ma a rischio marmellata, e non dureranno i decenni. E allora che si fa? Se riusciamo a vedere il bicchiere mezzo pieno anche in questo frangente, potrebbe essere la volta buona che il Barolo si beva pure, oltre che a iconizzarlo come una divinita', che in quanto tale e' intangibile. Qualche giorno fa assaggiavo la vendemmia 2003 di Bartolo Mascarello, cantina ipertradizionalista e iconica (questa si) del comune omonimo; i vini di Bartolo sono la quintessenza della tradizione, quindi della longevita' associata a questo rosso; l'assaggio da giovane ha un valore estremamente relativo (normalmente si definisce "infanticidio") e serve piu' che altro ad avere un'idea della caratura generale, ed a scrutare nella sfera di cristallo come potra' evolvere nei secoli a venire. Eppure, l'assaggio del 2003 m'ha sorpreso in quanto molto, molto buono; intendiamoci, normalmente i Barolo di Bartolo Mascarello sono tali; ma dopo un decennio dalla vendemmia, minimo. Invece, sorpresa: questo 2003 cosi' serico e fruttato (ebbene si', l'ho detto: fruttato) ha buone possibilita' di essere aperto da giovane senza far gridare all'infanticidio.
Che poi, diciamolo, ecco il limite vero di questo immenso vino: tutti lo idolatrano ma a berlo sembra che siano quattro enofili in croce; il destino di questa etichetta, per le masse, e' di finire su uno scaffale (se va male, in piedi alla luce) ad affrontare i decenni in attesa del mitico momento giusto nel quale aprirlo (che e' sempre di la' da venire, ovvio). A perenne monito di tale sciagurato comportamento io a bottega tengo questa vecchia bottiglia di Bareul Vej (ah, i bei tempi in cui le denominazioni d'origine erano autoprodotte) del 1958. Il sedicente Barolo appartenne ad una vecchia, amata zia che lo conservo' come una reliquia in attesa del gia' citato momento giusto per aprirlo; la zia passo' serenamente a miglior vita, ed io ereditai la bottiglia; questa ora e' un caro cimelio, e serve a ricordarmi che le bottiglie non dovrebbero, mai, sopravvivere al loro padrone; a parte il fatto che il vino si fa tutti gli anni, e non si da in natura che l'umanita' resti priva di Barolo, e' comunque troppo triste vivere una vita aspettando chissa' che per godersi il Barolo. Adesso, con l'annata 2003, abbiamo la scusa buona per non aspettare.

3 commenti:

  1. carissimo Lorenzo, sei arrivato (quasi) a conclusioni da Suckling! Chi vuol ber Barolo beva, del doman non v'é certezza... Scherzo, molti Barolo 2003 sono sorprendentemente piacevoli e già da bere... ma il vero Barolo é di ben altra annata! Vedrai come ti "divertirai" con i 2004!
    franco

    RispondiElimina
  2. Be', non faccio mistero del mio amore per la devianza modernista; del resto, Saffirio forever, per me. Ma pure la vecchia scuola mi piace; sono un barolista lib-lab.

    RispondiElimina
  3. Almeno tu avevi una zia con il barolo in credenza. Io solo zie con verticali di Riccadonna President Brut, rigorosamente conservate in piedi, in piena luce, nel "sacrario" del soggiorno, sotto le foto dei cari estinti.
    Che tristezza...

    RispondiElimina