Succede pure che, un bel giorno, scopri a bloggare uno dei tuoi champagnisti del cuore. Il blog della Maison Laherte, addirittura, e' nella duplice versione francese ed inglese: siccome io sono anglofono, ho considerato maggiormente la seconda; del resto, nelle nostre corrispondenze telematiche con Laherte, io scrivo in inglese, lui mi risponde in francese, e ci capiamo, in qualche arcano modo.
Su tutti, un post ha attirato la mia attenzione, dove si parla di sperimentazioni legate all'uso di lieviti selezionati, alternati a lieviti indigeni, o autoctoni che dir si voglia. Non desidero disquisire ancora sull'argomento: a commento di questo post di Fil, Mike Tommasi scriveva assai efficacemente che "la tesi dei lieviti nella pruina e' stata ripresa ad nauseam su internet" -- davvero, non essendo mia intenzione incrementare i consumi di Valontan tra chi mi legge, glisserei. Semmai, rimando a questa ponderosa lettura quanti desiderano approfondire.
L'aspetto che preferisco rilevare, in questo caso, attiene alla difficolta' del lavoro di chi fa vino. Fare vino e' un mestiere duro, le variabili da affrontare sono numerose, ed il tempo non e' dalla parte del vigneron; per spiegare il concetto, nel nostro ambiente si usa normalmente questo esempio: il cuoco che sperimenta una preparazione, la esegue per dieci, venti volte, a titolo di prova finche' non ottiene il risultato desiderato. Il vigneron fa lo stesso, ma per arrivare al risultato passano dieci (pure venti) anni.
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