giovedì, novembre 23, 2006

Dum Romae consulitur


[Scusate il latinismo, e' piu' forte di me. Comunque c'e' sempre Wikipedia a salvarci]

Forse vi sara' sfuggito che, secondo Wine Spectator, il miglior vino italiano nella lista dei Top 100 e' italiano: il Brunello 2001 di Casanova di Neri.
La falange dei tradizionalisti, qui da noi, non s'e' fatta aspettare e ha sbertucciato la scelta di WS: quel Brunello, difatti, e' profondamente a-territoriale, e' stipicizzato, e' un pacioso barricone, denso cupo e fruttato; non c'entra quasi nulla, di fatto, col sangiovese di Montalcino. Il mio tradizionalista di riferimento e' Franco Ziliani, e questo e' il suo salace commento.

Ci sarebbe materia per un dibattitone degno della defunta rubrica peperossiana de Il Rosso e il Nero. Oggi transitavo per l'amato blog di Tom Wark, e leggevo questo post a commento della stessa vicenda: letto e riletto, letti pure i siti linkati, ma da nessuna parte ho trovato la parolina magica: territorio. Oibo', non sara' mica che la cosa del territorio, per questi rozzi americani, non significa quasi nulla? Vuoi vedere che questi privilegiano indiscriminatamente la piacevolezza sulla tipicita' territoriale?

Per la verita', tra gli aspetti della vicenda meritevoli di attenzione c'e', secondo Tom, la reperibilita' del prodotto: dato il piazzamento in classifica, il Brunello di Casanova di Neri pare gia' una chimera introvabile.
Cita a questo proposito le disavventure di un enotecaro di sua conoscenza, che ora e' sommerso dalle richieste di quel Brunello: "the messages on his answering machine offered just about everything short of sexual favors in exchange for the #1 wine".
Mentre a Roma si discute, a Sagunto son disposti a (quasi) qualsiasi cosa, per quel Brunello.

2 commenti:

  1. E' lo star system. Fenomeni di isteria collettiva inclusi. Fino al prossimo idolo, e quello dopo, e ancora. Quanto dura una star? E soprattutto: cosa lo decide? Puo' basare sullo stardom la strategia aziendale chi opera nel viti(sottolineato)vinicolo?
    Mi sono riseguito un interessante seminario sulle negotiations e sul bidding, l'altra sera. Parlava di un concetto interessante, ritenuto cruciale, il BATNA, o best alternative to a negotiated agreement. Cruciale cioe' arrivare a un tavolo negoziale (e l'incontro con un nuovo promettente e rischioso mercato si puo' vedere sotto questo profilo) con una corretta percezione della propria BATNA. E di quella della controparte. Per evitare di cadere vittime di una errata definizione di "vincere" e "perdere" in un negoziato che porta a una escalation del proprio impegno, e a voler concludere per forza tale negoziato, rimanendo prigionieri di irrazionali valutazioni.
    Ecco, questa del bidding per un mercato "dinamico" fatto di chi si strappa i vestiti e fa stampede per toccare bottiglia namberuan, mi potrebbe assomigliare a uno di quei casi in cui potrebbe essere better off chi dice passo, non chi va a vedere.
    Per ritornare il latinismo, timeo Danaos et dona ferentes.

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  2. Gran bel commento, Filippo. Ma a me la questione sembra piu' terra-terra; a costo di sembrare un sempliciotto, la vedo cosi': piu' che l'hipe, conta il fatto che quel prodotto sia buono. Lo e' secondo standard modernisti ed americani, ma e' buono. Quindi vince, quindi e' ricercato. "Andare a vedere", come scrivi tu, potrebbe non significare nulla di esiziale, magari significa solo qualche piacevolezza di piu'. E qualche tipicita' di meno.

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