Va bene, allacciamoci alla catena dei ricordi gastronomici come da post di Arma.
La mia infanzia culinaria e' in gran parte legata ai nonni materni, che nella sperduta campagna tra San Pietro Vara e Varese Ligure, Appennino al confine tra le province di Parma e La Spezia, avevano questo mulino ad acqua. Il mulino funziona ancora, ne parlo quasi riluttante, siccome il luogo ignora ogni regola HACCP.
Comunque, ecco la lista dei cinque cibi dell'infanzia che ricordo con nostalgia. Non necessariamente in ordine di importanza.
1) Al mulino si macinava, tra l'altro, la farina di castagne; con questa la nonna preparava quello che localmente si chiama panella e altrove e' noto come castagnaccio. Si cuoceva nei testi, cioe' in formelle di terracotta del diametro di un palmo; queste venivano impilate una sull'altra, poi messe a contatto col fuoco del camino. Le focaccette ottenute erano ottime con la ricotta appena fatta (avevano pure mucca, maiali, conigli, eccetera).
2) Il sapore del latte appena munto. Per i bimbi naturalmente veniva fatto bollire a lungo. Lo so che quel che sto per dire suona da trombone passatista, ma ho l'impressione che certi gusti siano persi (forse) per sempre.
3) Il pane. La nonna preparava il pane con la farina poco setacciata del mulino, quindi piena di quella crusca che, anni dopo, scoprii con sconcerto che si vendeva nelle erboristerie a caro prezzo mentre la' al mulino era considerata scarto; prima della preparazione il nonno andava nei boschi a raccogliere foglie di castagno, con le quali la nonna fasciava la grande forma di pane, circa un metro di diametro, alta quasi un palmo nella parte centrale. La forma cosi' fasciata stava sotto un enorme testo metallico (ghisa, forse, era nerissimo) e posto letteralmente dentro il caminetto; oggi, credo di capire che le foglie servivano affinche' la crosta non bruciasse in cottura. Il pane cosi' ottenuto durava almeno una settimana, dieci giorni, sempre buono fino all'ultima fetta. Aveva un sapore che ricorda vagamente il pane di segale che si trova oggi.
4. Le braciole cotte sul fuoco, del maiale appena macellato. Questo non piacera' ai vegetariani, ma ho assistito a piu' di un macello del maiale. Curiosamente, mai a quello degli agnelli; ricordo una volta che, al macello di alcuni agnelli, noi bimbi venimmo affidati ad una contadina e portati lontano, affinche' non sentissimo. Questo non mi ha impedito di crescere carnivoro, ed infatti il sapore della carne cotta appena macellata lo ricordo in modo speciale. E che buoni, durante l'anno, i salami che faceva il nonno.
5. Buon ultimo, e maggior motivo per cui sono grato ad Arma per questo tuffo nei ricordi, il vino bianco che produceva, dalle poche vigne, il nonno. Un vino che aveva un colore terribile, tipo tè, insomma una cosa che non passerebbe la fase visiva dell'esame Onav; in piu' asprigno, con una acidita' alquanto sgraziata. Ma avevo si e no dieci anni, era il primo vino che assaggiavo, e su quell'assaggio ora si innestano troppi ricordi, cosi' che la valutazione non puo' essere obiettiva: oggi, ripensandoci, quel vino era fenomenale.
Allora la prossima volta che vado a Vernazza mi dirai come ci si arriva, al mulino :)
RispondiEliminaAnche se da tempi molto più recenti, sono molto legato a quei posti anche io. perciò non ti offenderai se ti "spammo" questo mio piccolo contributo.
RispondiEliminahttp://www.tigulliovino.it/scrittodavoi/art_144.htm
Luk
Scherzi? Grazie della segnalazione, semmai, me l'ero perso questo pezzo. Enologicamente parlando, io ero rimasto alle cose di Pino Gino, giu' a Castiglione Chiavarese.. ma resta fuori dalla piccola Loira, direi.
RispondiEliminaGià; altra valle, altra provincia, altra DOC.
RispondiEliminaMi hai fatto venire in mente che due bottiglie di Missanto 04 stappate di seguito, imbottigliate con tappo di silicone, erano irrimediabilmente maderizzate.
Luk (su IHV)