Dunque, succede che ho fatto il cameriere, per un paio di sere. Un amico ristoratore aveva una di quelle serate Slowfood, durante le quali si servono quattro-cinque vini a testa, durante la cena, in abbinamento al menù; pienone per due sere, e carenza di personale: cosi', per il servizio dei vini, ho dato una mano io, e mi sono esibito nelle vesti di sommelier.
E' stata un'esperienza di notevole utilita'. Tralascio la questione vini, l'esperienza e' stata significativa sotto altri aspetti: soprattutto e' utile, ogni tanto, cambiare prospettiva.
Nei confronti dei ristoranti io mi pongo essenzialmente come utente; per la maggior parte dei gourmet, degli aficionados, e' cosi' e basta; per questo e' utile, una tantum, passare dall'altra parte della barricata e sperimentare la fatica di chi lavora: camerieri, cuochi, il personale, insomma.
La fatica, quella fisica intendo, e' l'aspetto che piu' mi ha colpito. Mi ha ricordato, curiosamente, un'altra fatica fisica gia' provata, quella della vendemmia. Questo lavoro richiede una discreta preparazione, quasi atletica direi. Stare in piedi per molte ore, correre spesso, apri, versa, girati, abbassati, solleva, posa: e' una prova di resistenza muscolare; credo mi abbia soccorso il mio passato di palestra e jogging, alla fine. E poi, alla fatica fisica, si aggiunge quella psicologica: il lavoro dell'ospitalita' consiste nel creare un'atmosfera quanto piu' possibile confortevole, per il cliente; quindi si da il massimo, si cerca di essere disponibili, sorridenti, professionali, sereni, e poi didattici, esplicativi, seri con chi e' formale e spiritosi con chi e' piu' rilassato (facendo attenzione a non invertire le modalita' per errore), e comunque sempre gentili: anche con i clienti poco gentili.
Ecco, questo e' un aspetto al quale ero poco preparato. In situazioni come queste, sorprendentemente, si trova pure il commensale che tratta il cameriere in modo sgarbato, poco elegante. A tale situazione ho reagito in automatico, una specie di default genetico fatto di generazioni di bottegai che mi hanno preceduto: "il cliente ha sempre ragione" e cosi' ho moltiplicato le gentilezze e le attenzioni per chi ha rudemente lamentato "troppe spine nel piatto" (effettivamente c'erano, quella preparazione di mare lo rendeva inevitabile) -- ho considerato che la lamentela, pure se formalmente poco gentile, era fondata dal punto di vista del cliente, e cosi' ho fatto fronte, come dicevo, mostrando infinita gentilezza, comprensione, "mi scusi, ha ragione, provvedo immediatamente", eccetera. Sinceramente, non so dove sia il confine tra l'essere troppo accondiscendenti o essere semplicemente professionali, altri piu' bravi di me potrebbero dirmelo, ma io ho fatto come mi andava di fare, e alla fine della serata chi mi ha corretto bruscamente perche' ho servito il vino alla sua sinistra (cribbio, aveva ragione! Ma come ho fatto a sbagliare?) si e' rivelato piu' amichevole di altri.
Insomma, morale della vicenda: e' utile infilarsi nei panni altrui, ogni tanto. Credo che sia la morale piu' banale mai scritta, e comunque ci sono dovuto passare dentro per verificare quanto fosse vera. Anzi, consiglio un'esperienza simile a chi ancora non l'avesse fatta.
Sviluppi sul tema :-)
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