Pippone domenicale dove si dice che io sono stupendo ed il resto del mondo al massimo arranca. Qualora tu approvi, e desideri saltare il pippone, vai dritto ai commenti e scrivi pure "sei stupendo". Grazie.Nei mesi scorsi, durante un riordino del magazzino più tellurico del solito, ho affidato al cassonetto differenziato della carta il poco che restava delle riviste specializzate che compravo. Non ho il feticcio del collezionista, e nei vecchi numeri del Gambero Rosso (ma pure di Wine Spectator, pensa tu che gusti avevo) non c'era nulla che meritasse d'essere accatastato su qualche scaffale. Ma l'aspetto curioso che ora mi va di annotare è che tanta lettura, tanti acquisti cartacei, sono compresi in una specie di arco temporale, che va dall'inizio degli anni '90 (quando ho cominciato a fare sul serio con questo mestiere) e si chiude, all'incirca, con la fine dello stesso decennio. Dal 2000 i miei acquisti cartacei si sono via via ridotti, sino a diventare prossimi allo zero. Probabilmente il mio comportamento si presta a più di una critica, e verificando questo fatto, cioè la sparizione degli acquisti cartacei, io stesso, tra uno svuotamento di cartoni e l'altro, ero alquanto sorpreso e perplesso riguardo tale accadimento; ad un certo punto, quasi inconsapevolmente quindi (spero) incolpevolmente, ho smesso di spendere denaro per settimanali, mensili, guide: qualcosa è successo, e non aveva a che fare con la finanziaria prudenza dei liguri.
La Rete aveva sostituito la stampa nella mia gerarchia delle fonti, perlomeno quelle riferibili al mio àmbito lavorativo; le conversazioni reperibili su Internet avevano preso il sopravvento sugli operatori professionali dell'informazione, in un modo quasi subdolo, visto che, a un certo punto, ho ritenuto superfluo passare dall'edicola per leggere Civiltà del Bere, per citarne una - ed ancor oggi mi chiedo che diamine ci trovassi mai, nel 1993, in quella roba. Di fatto la natura e la qualità dell'informazione orizzontale, o dal basso come si ama dire, aveva in sé così tanti e tali elementi di superiorità, freschezza, veridicità rispetto a gran parte della stampa di settore, che abbandonare certi acquisti si è rivelato naturale, indolore, e perfino testate che hanno fatto la storia della cultura enogastronomica in Italia (il solito Gambero Rosso, intendo) hanno perso, ai miei occhi, ogni genere di appeal.
Oggi per chi scrive quella gente? Da come la vedo, la funzione comunicativa di questa stampa di settore non è più rivolta, in misura ristretta, all'utenza critica; parla, semmai, in misura massiva e (scusate) un po' fuffosa a lettori con scarse capacità di focalizzare gli elementi; mi pare che la stampa stia derivando nello stesso tragico precipizio in cui è sprofondata la televisione: ho difficoltà a trovare umani senzienti che delegano la funzione di reperire notizie e conoscenza al TG1, o al TG4, - e se li incontrassi, consiglierei loro un buon medico. Per venire poi al mio settore, quando la televisione parla di vino o cibo lo fa (o deve farlo) nei famigerati tempi televisivi che, tra uno spot e l'altro, comprimono ogni elemento di approfondimento serio fino ad azzerarlo, e riducono il racconto di cosa sia un vino ad una sarabanda di bicchieri roteanti e tre-parole-tre del guru di passaggio. Conoscenza? Zero. Sembra proprio che questa comunicazione fuffosa e superficiale sia inevitabile, dati i limiti del mezzo e dato il fatto che si "deve" raggiungere un'audience quanto più vasta; tuttavia guardare la televisione è evitabilissimo, e certamente obbligatorio se, per esempio, vuoi sapere qualcosa di food-and-wine. E allora ci sarebbe, appunto, la stampa specializzata. Forse questa si dimostra adatta all'utenza allargata, ma succede, come dicevo, che la Rete sorpassi a destra, per freschezza, velocità e possibilità interattive, gran parte dei più volenterosi giornalisti di settore.
Ah, i giornalisti di settore, poi. Certo, ci sono quelli bravi, e quelli bravissimi. Poi ci sono tutti gli altri (molti) che se non avessero una sedia calda in una bella redazione, in un giornale tenuto in piedi dai contributi statali, potrebbero solo mettere a frutto le loro competenze lavorando come garzoni dal salumiere (absit iniuria) - oppure potrebbero proprio fare i salumieri, caricandosi sulle spalle la croce di una partita IVA, e così sperimenterebbero, forse per la prima volta, cosa significhi far quadrare i conti senza che arrivino i contribuenti a rimetterti in piedi.
Ma non è questo il punto che mi sta a cuore; non volevo focalizzarmi sul finanziamento agli organi di stampa - anzi, arrivo a dire, io sarei pure favorevole, se serve a tenere in vita una forma espressiva minoritaria ma con elementi di valore storico-culturale. Non facciamo così pure per la lirica? Di nuovo, il punto non è il valore più o meno verificabile della stampa che parla (specificamente) di cibo e vino, ma della sua capacità di dire cose interessanti, della sua efficacia, in contrapposizione ad Internet.
Per non dire, poi, della stampa generalista. Questa settimana L'espresso ritorna a parlare del mio àmbito con
un'articolessa che, come d'uso, dice molte cose interessanti frammiste a schiamazzi, strilli di copertina acchiappagonzi, e qualche osservazione discutibile (in quanto inevitabilmente superficiale). Ora, si dà il caso che io sia un affezionato acquirente del settimanale cartaceo, e pure questa settimana la sua copertina mi appaia dal mio cesto delle riviste; tuttavia, per la prima volta in tanti anni, mi sono chiesto perché compro L'espresso: oddio, qualche dubbio era già sorto ai tempi della memorabile copertina "Velenitaly", ma oggi il dubbio si fa quasi certezza: L'espresso ha fatto l'ennesimo scivolone fuffoso, scarsamente efficace in termini di informazione - che poi, voleva informare davvero qualcuno di qualcosa, o voleva semmai fare il solito polverone? La sostanza potrebbe pure, in parte, essere interessante, ma la forma rivela il solito chiacchiericcio un po' superficiale. Quelli come me, abituati ad informarsi attraverso canali forse underground, non trovano elementi di informazione, di conoscenza, di confronto e di dibattito in questo articolo; questo articolo non parla a me, non mi serve. E allora: che compro a fare L'espresso? Due giorni fa pure
Franco Ziliani rilevava la discutibile qualità dell'articolo; ma il triste paradosso è che, ancora, la stampa sembra aver rinunciato a dare informazioni chiare, circoscritte, in favore di un sensazionalismo finalizzato solo, probabilmente, a vendere qualche copia in più; ora, chiedo: per cosa pago il prezzo della copertina? Soprattutto (e qui mi
ripeto) perché devo usare la Rete per ottenere, davvero, informazione? E, infine: quanto manca, prima che io smetta di comprare L'espresso?